Libertà individuale e lotta alla pandemia
di Alessandro Mammoli
Le notizie di questi ultimi giorni ci raccontano alcuni comportamenti che possono essere presi ad esempio di come in questo paese si vivono le regole che ci vengono di volta in volta dettate, per contrastare l’epidemia di Covid-19, ma anche, più in generale, per disciplinare la convivenza civile.
Governo e regioni hanno introdotto un orario di chiusura obbligatorio per gli esercizi pubblici, bar, pub ristoranti ecc. per limitare gli assembramenti dovuti alla movida. In un paio di casi, a Bologna e a Catanzaro, gli esercenti hanno chiuso all’orario previsto, per riaprire poco dopo, sfruttando una lacuna della norma, che non si esprime sulla durata della chiusura.
In altri casi i ristoratori danno per scontato che le persone che si siedono allo stesso tavolo siano tutti congiunti, salvo che non affermino il contrario, per non applicare la regola del distanziamento. Qualcuno fa addirittura firmare una liberatoria in tal senso, dato che gli avventori, pur di consumare il rito del pranzo con gli amici, sono ben lieti di assumersi il rischio.
Una volta si diceva: fatta la legge trovato l’inganno. Quello che è accaduto in questi mesi non è altro che l’ennesima dimostrazione dell’approccio che noi italiani applichiamo a obblighi e divieti. Fa parte della nostra cultura, del nostro modo di essere. E qui non sto parlando solo di casi limite come quelli appena citati, ma mi riferisco al florilegio di interpretazioni, discussioni e interventi sui giornali e in televisione che hanno accompagnato tutti i DPCM emanati dal governo durante il lockdown.
Ci siamo sfiniti a discutere delle attività che si potevano fare all’aperto quando tutti dicevano di stare a casa, abbiamo calcolato con precisione certosina i metri che separano casa dall’edicola per andare a prendere il giornale o la distanza massima dalla propria abitazione durante la passeggiata mattutina, abbiamo sfinito i nostri amici cani nel proporre loro la ripetizione ad libitum del quotidiano espletamento dei loro bisogni, si sono improvvisati mezzofondisti anche quelli che solitamente prendono la macchina anche per andare in bagno, abbiamo scoperto tutti di avere un orto da coltivare, sia che fosse poco più grande di un’aiuola o una tenuta di dieci ettari, abbiamo ironizzato a più non posso sulla definizione di congiunto e sulla sua estensione; tutto questo perché per noi il problema non è il virus, ma la regola.
Non dobbiamo battere l’epidemia, dobbiamo fare quello che ci piace, evitando le sanzioni. Il motivo per cui una regola viene dettata è del tutto indifferente. Non serve per orientarsi nella lettura del testo di una disposizione (l’hanno scritta perché tu non esca, quindi stai a casa, punto), la norma viene interpretata alla luce dei nostri bisogni (io devo/voglio fare questo, come posso fare, quale appiglio posso trovare per non rischiare una multa?). E’ il rovesciamento sistematico del paradigma interesse pubblico, norma, sanzione (lo stato tutela la salute pubblica dettando regole per contrastare l’epidemia e imponendo sanzioni in caso di inosservanza), nel più prosaico sanzione, norma, interesse privato (se esco per andare a trovare l’amante rischio una multa di 500 euro perché non si può circolare; come posso fare per espletare il mio bisogno primario di vedere Pamela?).
Anche gli esempi virtuosi di altri popoli vicini e lontani sono liquidati come eccentrici o frutto di coercizione. La Cina che ha battuto il virus azzerando il contagio e che per sei tamponi positivi sottopone a test i milioni di persone che abitano un’intera città (milioni di test significano investimenti rilevantissimi in mezzi, organizzazione e strutture, a vantaggio della salute pubblica) per noi è solo una dittatura che opprime il suo popolo e che solo grazie alle maniere forti può ottenere questi risultati. Con ciò passando sopra, per ignoranza diffusa o per convenienza, su secoli di filosofia e cultura confuciana, peraltro condivisa con molti altri paesi asiatici, come la Corea, che hanno ottenuto risultati analoghi nella lotta alla pandemia. E ignorando brillantemente che la comunità cinese in Italia è uscita praticamente indenne dalla prima ondata del Covid, grazie ai suoi comportamenti e senza gli stimoli delle baionette, tanto che adesso alcuni cinesi residenti in Italia stanno rientrando in patria perché non si fidano di noi.
A questa innata mancanza di disciplina da parte della popolazione, bisogna aggiungere il comportamento ondivago, poco determinato e a volte contraddittorio delle istituzioni che, pur essendo ben consapevoli della gravità della situazione, più che in altri paesi, non foss’altro per la durezza con cui l’epidemia ha colpito le nostre regioni settentrionali in primavera, non riescono ad uscire dalla logica delle raccomandazioni, per adottare misure più decise e controlli più efficaci.
Pesano gli interessi, anche legittimi, delle varie categorie economiche, che premono per evitare lo spettro delle chiusure, e i diversi orientamenti di ampi settori della pubblica opinione, che ad esempio non è disposta ad accettare ulteriori provvedimenti restrittivi nei confronti delle scuole, perché si creerebbe un danno alle giovani generazioni, privandole dell’interazione diretta con insegnanti e compagni.
Ogni iniziativa è inoltre soggetta a un fuoco di fila di critiche, a prescindere dalla loro effettiva validità. Si critica l’APP Immuni, perché minaccia la nostra privacy, i banchi con le rotelle perché sono ridicoli, i limiti di orario perché il virus circola anche dopo le chiusure, l’obbligo di indossare le mascherine perché fanno male, i dati sulla diffusione del virus perché sono falsi.
Il risultato è un’impennata nel numero dei contagi, che è andata montando con l’atteggiamento disinvolto di buona parte della popolazione durante l’estate, mantenuto per inerzia anche a settembre, al rientro delle vacanze, con la prospettiva di ricadere in un lockdown generalizzato prima di Natale.
Il problema di fondo è che, al di là dell’improvvisazione e dell’approssimazione con cui ci si è mossi in alcuni casi (la vicenda della scuola è esemplare, a questo riguardo), lo Stato ha dimostrato di non essere in grado, di convincere i cittadini a seguire le disposizioni emanate di volta in volta, in un modo o nell’altro.
Per non parlare sempre delle mascherine, ignorate alla grande per tutta la bella stagione, e dei relativi controlli, la vicenda dell’APP Immuni è esemplare. Lo Stato ha fatto un investimento in questa applicazione per il tracciamento, come altri paesi prima di noi hanno fatto con alterne fortune (benissimo in Corea, meno bene altrove), di fatto vanificato dalla scarsa adesione della popolazione. Solo recentemente c’è stato un significativo aumento del numero dei download per la paura conseguente all’aggravarsi della situazione.
La gente non scarica Immuni perché teme per la privacy, per ignavia, perché pensa che scarichi la batteria del cellulare (a cui peraltro è costantemente attaccata per futili motivi, senza analoga preoccupazione), perché ha paura che dia la segnalazione per cui è costruita. Altri non la scaricano perché l’hanno scaricata in pochi e quindi non serve a niente. Che ci sia poca convinzione anche nelle istituzioni lo dimostra la regione Veneto, che non ha nemmeno attivato la procedura per la segnalazione dei casi positivi.
Ora, visto che si sono spesi dei soldi per questa applicazione, a mio parere sarebbe stato opportuno accompagnare l’iniziativa con un’adeguata informazione, su tutti i canali disponibili, e magari incentivarne l’uso in qualche modo. Avrei inoltre ritenuto necessario che la segnalazione dei casi positivi, fosse effettuata dalle ASL in automatico, anziché lasciarla al buon cuore dell’interessato, introducendo così un ulteriore criticità nella sua efficacia. Mi rendo conto che renderla obbligatoria o disincentivare economicamente il mancato utilizzo sia molto difficile, ma così, oltre a vanificare l’investimento, si perde anche una utile opportunità.
La vicenda di Immuni è inoltre un brutto precedente per quando ci sarà il vaccino. Abbiamo tutti ben chiaro cosa è successo con la vaccinazione obbligatoria dei bambini e le polemiche che l’hanno accompagnata. In questo caso sicuramente c’è una maggiore attenzione da parte della popolazione, per la gravità delle conseguenze della pandemia e per l’abitudine a vaccinarsi per altre patologie, come l’influenza o la polmonite pneumococcica, soprattutto fra i soggetti più a rischio, anziani o persone fragili. C’è però da aspettarsi una certa resistenza in altre fasce della popolazione.
In questo caso lo Stato ha il dovere di far prevalere l’interesse pubblico sulle scelte individuali, sostenendo la campagna di vaccinazione con una normativa adeguata. Se l’obbligatorietà non è perseguibile, ci sono altri strumenti che possono servire allo scopo, come l’imposizione di ticket specifici per le persone che rifiutano di vaccinarsi senza un valido motivo, ad esempio un’intolleranza/allergia accertata e documentata o controindicazioni mediche effettive per altre patologie.
Come nel caso dei controlli sull’uso delle mascherine e sul rispetto del distanziamento negli esercizi pubblici, che devono essere resi effettivi ed efficaci, con il peggiorare della situazione, su questo tema il governo si gioca la sua credibilità.
Ci sono circostanze in cui, a mio parere, lo Stato ha il dovere, oltreché il diritto, di far valere la propria autorità per salvaguardare interessi vitali del paese, come la salute e la tenuta complessiva dell’economia, che potrebbero essere compromessi da comportamenti utilitaristici di singole componenti della società, siano esse individui o categorie economiche.
Senza volere a tutti i costi buttarla in politica, giacché ormai mi vengo a noia da solo, il problema in questo caso è la presenza di un’opposizione che sta dimostrando ogni giorno la sua inutilità e la sua pericolosità. Un problema come un’epidemia globale come quella che stiamo vivendo non può essere affrontato come un tema su cui aizzare lo scontro politico. In un paese civile, il governo decide le misure da adottare sotto la sua responsabilità, così come prevede la Costituzione, coinvolgendo necessariamente il parlamento e l’opposizione, nelle forme e nei modi da essa previsti.
Quando è in discussione la vita e la salute delle persone, dall’opposizione è quasi scontato attendersi un atteggiamento costruttivo, pur nel pieno rispetto dei ruoli, come in caso di guerra. In questo modo, le istituzioni si presentano ai cittadini con forza e autorevolezza piena e sono legittimate a chiedere loro completa adesione ai comportamenti attesi.
Gridare continuamente al regime e opporsi con la propaganda a qualsiasi misura viene presa dal governo, ora in un senso, ora nell’altro, senza curarsi di mantenere una pur minima coerenza d’indirizzo, non indebolisce tanto il governo, quanto la lotta alla pandemia e arreca danno a tutto il paese.