La Pala di Bosco ai Frati del Beato Angelico restaurata grazie al contributo dei Friends of Florence ritorna a San Marco, museo dove vi è la più importante collezione e molti capolavori di Guido da Pietro da tutti conosciuto come “Beato Angelico”.
Il ritorno di questo splendido dipinto nella Sala del Beato Angelico aggiunge un’opera fondamentale alla ineguagliabile esposizione monografica degli straordinari capolavori del pittore e frate domenicano, che riunisce le tavole monumentali, i dipinti di dimensioni minori, le raffinatissime predelle e i reliquari. La Pala di Bosco ai Frati è certamente da annoverare nel nucleo dei grandi capolavori all’interno della copiosa produzione del frate pittore arrivata fino ai nostri giorni. Si tratta dell’ultima, grande impresa su tavola dal grande artista domenicano, prima artista che frate ma con una cultura e con un ingegno tale che meglio di altri riuscì sempre nel suo ruolo di grande comunicatore della spiritualità. La pala eseguita con ogni probabilità negli anni 1450/52 - in concomitanza con i pannelli affascinanti dell’Armadio degli Argenti per la chiesa della Santissima Annunziata di Firenze -, quando egli rivestiva l’incarico di Priore del Convento di San Domenico di Fiesole, prima di partire per Roma dove si sarebbe spento nel 1455. Quasi alla fine della sua esperienza umana e artistica, il Beato Angelico rinnovò con questa prestigiosa commissione, quasi certamente affidatagli da Cosimo il Vecchio, il suo legame profondo con i Medici e con il loro architetto prediletto, Michelozzo di Bartolomeo.
La pala infatti fu eseguita per la chiesa del convento francescano di Bosco ai Frati in Mugello di cui i Medici erano patroni e che fu progettato da Michelozzo. Il Bosco ai Frati si trova vicino alla Villa Medicea di Cafaggiolo e al Castello Mediceo del Trebbio. La composizione della pala è dominata dalla figura centrale della Vergine affiancata da due angeli, assisa non sopra un trono, ma su un singolare seggio completamente celato da un fastoso drappo dorato ed elegantissimo, con un cuscino sontuoso di lontano ricordo bizantino, anch’esso dorato. Il manto della Madonna si espande ai suoi piedi fino ad occupare quasi l’intero gradino marmoreo e, inoltre, per la larghezza dell’ampia nicchia sullo sfondo, anch’essa nascosta da un altro drappo dorato di grandi dimensioni. In primo piano, sulla sinistra, sono dipinte le figure dei Santi Francesco, Ludovico di Tolosa e Antonio da Padova, caratterizzate da un forte accento naturalistico. Sulla destra, si vedono i Santi medici Cosma e Damiano e San Pietro martire. L’opera nel suo complesso è una mirabile sintesi fra la sfarzosità di un’opera cortese e la semplicità francescana, sostenuta dall’inarrivabile preziosità della stesura pittorica angelichiana. Come in moltissimi altri casi, anche questo capolavoro non è sfuggito alle sconsiderate puliture aggressive del passato, che hanno compromesso sensibilmente alcune parti, ad esempio le fisionomie dei santi Antonio da Padova e Pietro martire alle estremità laterali della ha reso al dipinto i suoi valori pittorici, soprattutto l’estrema trasparenza e luminosità. A parte le note scure del cielo “notturno” in alto e delle tonache dei santi a sinistra, i colori sono ovunque chiari, stesi in strati sottili, così che la luce penetra sino alla preparazione di base, e in molti casi è visibile il disegno preparatorio. La tavolozza è accordata su tonalità fredde. La nota calda e avvolgente è rappresentata essenzialmente dal baldacchino della Vergine, tutto in oro zecchino inciso con maestria stupefacente. Le campiture azzurre sono totalmente a base di lapislazzuli, nella sua varietà più preziosa, proveniente dall’Afghanistan. Il largo impiego di oro zecchino e lapislazzuli, un pigmento molto costoso, confermano una committenza importante quale era quella di Cosimo de’ Medici. Stefano Casciu, Direttore regionale musei della Toscana -ha affernmato che questo magnifico restauro ha restituito i valori più sottili di questa tavola sontuosa e allo stesso tempo essenziale, che ancora una volta dimostra i legami sotterranei tra l’arte del Beato Angelico e le contemporanee esperienze della pittura fiamminga. Questa affermazione conferma come il Beato Angelico sia anche un’avanguardia delle tecniche pittoriche poi utilizzate dal Baldovinetti e dal Botticelli. Anche il direttore del Museo di San Marco, Angelo Tartuferi, fa presente che la tecnica del Beato Angelico apre nuove strade.
Certo è che la pittura dell’Angelico è luminosa e trasparente. Viene raccontato che i due grandi artisti americani Pollock e Rothko che amavano definisrsi artisti con “divergenze parallele”
avessero in comune proprio il Museo di San Marco e il Beato Angelico e gli affreschi e le opere del domenicano.
Rothko visitò il convento con Giulio Carlo Argan quando proprio l’artista stava facendo il passagio cruciale dai multiformi alla liberazone dall’immagine e passò, grazie proprio alla riconsiderazione delle celle affrescate del convento, a dare importanza solo alla luce e al colore. Come gli affreschi i dipinti di Rothko saranno appesi ad altezza d’uomo perché chi li osserva deve entrare dentro e perdersi nel colore. Rothko definì questa la breathingness, la respirablità della pittura, una forma di visione luminosa e avvolgente che l’Angelico aveva già trovato oltre 500 anni prima.
Pollock invece troverà nell’ Angelico l’importanza dei dettagli decorativi. Intuisce che non sono fine a se stessi quei finti marmi dipinti, quelle invenzioni pittoriche che sipossono vedere anche nella Pala ora restaurata, ma il colore i disegni hanno un fine, un significato.
Gregorio Botta, artista, critico e giornalista, ci dice infatti “Nell’antico convento fiorentino, si compie un incontro tra vette dell’arte. Estetico, ma anche spirituale: la stella polare Beato Angelico
Rothko – che nell’arte cerca il non sé, e che persegue un’arte capace di parlare da sola nel silenzio della contemplazione. E Pollock le cui opere evocano uno sciamano flusso di semicoscienza e di inconsapevolezza – “io sono la natura” diceva.
Resta comunque un caldo invito a tutti per ritornare a visitare il ricco e prezioso museo di San Marco dove quella appena restaurata non è che una delle tante magnificenze che vi si trovano.
Carlo Biancalani.