Il restauro della Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo (Pietà Bandini)
Fino alla fine di marzo 2022 l’occasione unica di vedere la Pietà salendo sul cantiere di restauro.
Anche questo restauro e tutte le analisi diagnostiche è stato possibile grazie alla donazione della Fondazione non profit Friends of Florence e la Presidente Simonetta Brandolini d’Adda ha detto che per il restauro di quest’opera ha ricevuto molte offerte dall’estero.
Il restauro della Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo, nota come Pietà Bandini prima nel Duomo di Santa Maria del Fiore ma da tempo nel Museo dell’Opera del Duomo, è iniziato nel novembre 2019, interrotto più volte durante la pandemia da Covid 19, il restauro è stato un’occasione unica per comprendere la complessa storia dell’opera, le varie fasi di lavorazione e la tecnica scultorea utilizzata. Un intervento che restituisce al mondo la bellezza di uno dei capolavori più intensi e tormentati di Michelangelo, liberato dai depositi superficiali docuti a molte cause (calchi di gesso, cera, affumicamenti da candele e polvere) che ne alteravano fortemente la leggibilità dell’eccezionale plasticità e la cromia. L’obiettivo del restauro, è stato quello di raggiungere una lettura uniforme ed equilibrata dell’opera, riproponendo l’immagine della Pietà, scolpita in un unico blocco, come probabilmente pensata in origine da Michelangelo. Grazie alla scelta di realizzare un cantiere di restauro “aperto” i visitatori del Museo dell’Opera del Duomo hanno potuto vedere il restauro in corso d’opera. In via eccezionale, per i prossimi 6 mesi, dal 25 settembre 2021 al 30 marzo 2022, l’Opera di Santa Maria del Fiore ha deciso di lasciare il cantiere per permettere al pubblico, con delle visite guidate, di vedere da vicino e in un modo unico e
Le quattro figure che compongono l’opera, tra le quali l’anziano Nicodemo a cui l’artista ha dato il suo volto, sono scolpite in un blocco di marmo, alto 2 metri e 25 centimetri, del peso di circa 2.700 kg. Le indagini diagnostiche hanno portato alla scoperta che si tratta di un marmo proveniente dalle cave di Seravezza (LU) e non di Carrara, come ritenuto fino ad oggi. Una scoperta significativa perché le cave di Seravezza erano di proprietà medicea e Giovanni de’ Medici, futuro Papa Leone X, aveva ordinato a Michelangelo di utilizzarne i marmi per la facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze e di aprire una strada per trasportarli al mare. Come mai questo enorme blocco di marmo fosse nelle disponibilità di Michelangelo a Roma, quando scolpisce la Pietà tra il 1547 e il 1555, rimane però un mistero. Sappiamo anche che Michelangelo non era soddisfatto della qualità di questi marmi (non era infatti il bianco statuario delle cave di Carrara) perché presentavano venature impreviste e microfratture difficili da individuare dall’esterno. Grazie al restauro è stato possibile confermare, per la prima volta, che il marmo utilizzato per la Pietà era effettivamente difettoso e quindi anche duro e difficile da lavorare, come racconta anche il Vasari nelle “Vite” descrivendolo pieno d’impurezze e che “faceva fuoco” a ogni colpo di scalpello. Sono, infatti, emerse tante piccole inclusioni di pirite nel marmo che colpite con lo scalpello avrebbero certamente fatto scintille, ma soprattutto la presenza di numerose microfratture, in particolare una sulla base che appare sia davanti che dietro, e che fa ipotizzare che Michelangelo incontrandola mentre scolpiva il braccio sinistro di Cristo e quello della Vergine, sia stato costretto ad abbandonare l’opera per l’impossibilità di proseguire il lavoro. Un’ipotesi più credibile di quella di un Michelangelo che oramai anziano, scontento del risultato, abbia tentato in un momento di sconforto di distruggere la scultura a martellate e delle quali il restauro non ha individuato traccia, a meno che Tiberio Calcagni suo collaboratore poi intervenuto per completare la Maddalena non ne abbia cancellato i segni.
Quello da poco concluso può essere considerato il primo restauro della Pietà fiorentina, in quanto le fonti non riportano particolari interventi avvenuti in passato, se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo, entro il 1565. Nell’arco di oltre 470 anni di vita, durante i numerosi passaggi di proprietà e le traumatiche vicende storiche (il gruppo marmoreo venne venduto ad un collezionista romano e poi acquistato dal Granduca Cosimo III de’ Medici nel 1671 che lo fece trasferire a Firenze prima in san Lorenzo e poi in Duomo), la Pietà è stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che però non risultano documentati. Sulla Pietà di Michelangelo non erano presenti patine storiche, a eccezione di alcune tracce riscontrate sulla base della scultura. Molti, invece, i depositi superficiali, a partire dalla presenza di elevate quantità di gesso, residui del calco eseguito nel 1882, che aveva lasciato un vistoso candore e un’eccessiva aridità sulle superfici. Per ovviare a questo sgradevole effetto, sopra i residui di gesso erano state applicate, ripetutamente e nel corso del tempo, delle cere. Il naturale processo d’invecchiamento delle cere, miste a depositi di polvere, soprattutto sulle pieghe delle vesti e sui rilievi del modellato, in evidente contrasto con i sottosquadri rimasti più chiari, rendevano la superficie ambrata e cromaticamente squilibrata.
La Pietà dell’Opera del Duomo a Firenze, carica di vissuto e sofferenza, è una delle tre realizzate dal grande artista. A differenza delle altre due - quella giovanile vaticana e la Rondanini- il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato il proprio volto. Particolare confermato anche dai due biografi coevi all’artista, Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, grazie a cui sappiamo anche che la scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, ai cui piedi l’artista avrebbe voluto essere sepolto.
Michelangelo scolpisce la Pietà dell’Opera del Duomo nota come pietà Bandini tra il 1547 e il 1555, quando aveva circa settantacinque anni. Michelangelo non termina la scultura e la dona al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vende al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi, il quale la colloca nel giardino della sua villa romana a Montecavallo. Nel 1649, gli eredi Bandini la vendono al cardinale Luigi Capponi che la porterà nel suo palazzo a Montecitorio a Roma e quattro anni dopo nel Palazzo Rusticucci Accoramboni. Il 25 luglio 1671, il pronipote del cardinale Capponi, Piero, la vende a Cosimo III de Medici, Granduca di Toscana, su mediazione di Paolo Falconieri, gentiluomo alla corte fiorentina. Dopo tre anni di ulteriore permanenza a Roma, per le difficoltà incontrate nel trasportarla, nel 1674 la Pietà è imbarcata a Civitavecchia, raggiunge Livorno, e da lì, lungo l’Arno, arriva a Firenze, dove viene posta nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo. Vi rimarrà fino al 1722, quando Cosimo III la farà sistemare sul retro dell’altare maggiore della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Nel 1933, il gruppo scultoreo viene spostato nella Cappella di Sant’Andrea per renderla più facilmente visibile. Dal 1942 al 1945, per proteggerla dalla guerra, la Pietà è messa al riparo in Duomo. Nel 1949, l’opera ritorna nella Cappella di Sant’Andrea in Cattedrale, dove rimarrà fino al 1981, quando sarà spostata nel Museo dell’Opera del Duomo. La decisione di trasferirla al Museo è motivata dalla necessità di non arrecare disturbo al culto per la grande affluenza di turisti e per ragioni di sicurezza (nel 1972 era stata vandalizzata la Pietà vaticana). Dalla fine del 2015, nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo, la Pietà è posta al centro della sala intitolata Tribuna di Michelangelo, su un basamento che rievoca l’altare a cui era destinata.foto. Il gruppo statuario Nicodemo (autoritratto scultoreo del Buonarroti)
Presidente Friends of Florence
nota......Peccato che non si possano restaurare le città invece che le loro singole opere. Penso a Firenze dove la città vuole cercare di essere nuova e perfetta ma mancano le cose più importanti e difficilmnte restaurabili le persone che ci vivono e che la rendono unica. Il turismo, una fonte di ricchezza e lavoro per molti ma che purtroppo, nelle attuali condizioni, visto quanto inquina (spostamenti, consumi, ecc.) ha un futuro incerto!
ndr non credo che sia opportuno pubblicare la mia nota ma è quanto sempre più percepisco.
Un saluto a tutti
Carlo Biancalani