Riportiamo utili informazioni per la dichiarazione 2024 sui redditi prodotti nel 2023, tratte dai colleghi Pensionati della BMPS.
Modello 730/2024
- La dichiarazione precompilata sarà disponibile sul sito dell'Agenzia delle Entrate (agenziaentrate.gov.it→ area riservata: accesso con SPID, CIE o CNS) a partire dal 30.4 p.v., con possibilità di effettuare modifiche e invio della medesima a partire dalla data che verrà indicata dall'Agenzia medesima. Quest'anno, in via sperimentale, sarà disponibile un'ulteriore modalità di compilazione semplificata e guidata con la quale le informazioni in possesso dell'Agenzia delle Entrate saranno proposte con linguaggio semplificato, con possibilità di conferma o modifica da parte del contribuente e successivo inserimento automatico nel mod. 730. La dichiarazione dovrebbe già contenere tutti gli elementi trasmessi dai vari soggetti obbligati e quindi i dati delle certificazioni CU2024, i dati relativi ad oneri detraibili e/o deducibili e le rate aggiornate di oneri pluriennali. Nella dichiarazione vengono inoltre riportati i terreni e i fabbricati già presenti nella dichiarazione dell'anno precedente, eventualmente aggiornati, di solito in maniera incompleta, con le variazioni intervenute nell'anno oggetto di dichiarazione;
- La dichiarazione deve essere presentata, direttamente o tramite intermediario abilitato (CAF, commercialisti), entro il 30.9.2024. In caso di presentazione diretta con modifiche che comportino una variazione del reddito complessivo e/o delle imposte dovute, l'Agenzia può chiedere al contribuente di esibire la documentazione inerente alle modifiche effettuate. In caso di presentazione tramite intermediario, che appone alla dichiarazione un “visto di conformità”, la richiesta documentale verrà rivolta direttamente al medesimo, in quanto il contribuente, esonerato da errori di calcolo o trasmissione dei dati, è responsabile solamente di eventuali comportamenti fraudolenti (per esempio in caso di esibizione all'intermediario di documentazione falsificata). Tutta la documentazione deve essere conservata fino al 31.12.2029;
- I conguagli derivanti dalla dichiarazione inizieranno sulla rata di pensione INPS del mese di agosto (o nei mesi successivi in funzione della data di trasmissione del modello), mentre a novembre verrà trattenuta la seconda (o unica) rata di acconto Irpef e/o cedolare secca. Chi vorrà variare in diminuzione od annullare la seconda rata dovrà comunicarlo per iscritto al sostituto d'imposta o all'intermediario entro il 10.10.2024. Se si riscontrano errori nella dichiarazione già presentata, dovrà essere inviato, nel più breve tempo possibile, un mod. 730 rettificativo (direttamente o tramite intermediario). Se, invece, si dovessero inserire ulteriori dati comportanti un minor debito o un maggior credito, occorre presentare, esclusivamente tramite intermediario ed entro il termine del 25.10.2024, un mod. 730 integrativo. Qualora invece emergesse, a causa delle ulteriori modifiche, un minor credito od un maggior debito, è necessario predisporre un mod. REDDITI entro il 15.10.2024 (dichiarazione correttiva nei termini), oppure entro il 30.9.2025 (integrativa con ravvedimento) o, infine, entro il 31.12.2029 (integrativa);
- Tutti gli Associati tenuti alla presentazione della dichiarazione (pensionati zainettisti, integrativi, aderenti al Fondo di Solidarietà) devono indicare l'INPS quale sostituto d'imposta (cod. fiscale. 80078750587);
- Gli Associati che hanno aderito ad Assidim tramite accordo con la Bancapossono indicare l'intero importo versato a titolo di contributo ed attestato dall'apposita dichiarazione inviata da Assidim, nella cas. E26 con il codice “13”. Tale codice, riportato nelle istruzioni del mod. 730 alla pag. 69, riproduce esattamente la ns. situazione. Grazie all'accordo con la Banca è possibile, infatti, accedere alla deduzione dal reddito ex art. 51, c. 2, lettera a). Potrebbe essere utile allegare alla dichiarazione di Assidim anche la lettera a suo tempo ricevuta dalla Banca. La possibilità di dedurre il contributo è stata inoltre ribadita nella circolare AE n. 15/E del 19.6.2023 (pag. 40 e 41). Le spese sanitarie rimborsate non sono ovviamente detraibili, mentre lo sono le eventuali franchigie rimaste a carico;
- I colleghi che hanno avuto accesso alla pensione nel corso del 2023 e che avevano versato a CASPIE solamente la quota per familiari fiscalmente non a carico, possono inserire la medesima nella cas. di cui sopra utilizzando il cod. “13”. Per quanto concerne le spese rimborsate vale quanto detto sopra;
- Gli Associati che nel 2023 hanno aderito alla Mutua Cesare Pozzo o alla copertura tramite la Cassa Mutua di Banca Toscana possono detrarre il contributo versato, entro il limite massimo di € 1.300,00, indicandolo con il codice “22” in una delle caselle da E8 a E10 ed usufruire così della detrazione d'imposta del 19%. Relativamente alle spese oggetto di rimborso, vale quanto detto sopra;
- Gli Associati che hanno aderito ad Assidim tramite la convenzione stipulata dalla ns. Associazionenon possono né detrarre, né dedurre il contributo versato, mentre possono usufruire della detrazione d'imposta anche sulla parte di spese sanitarie rimborsate;
- Dal sito Assidim è possibile stampare il riepilogo delle spese rimborsate che, a differenza di quello prodotto negli anni precedenti da CASPIE/Poste, espone tutte le fatture oggetto di rimborso in un unico documento per tutto il nucleo familiare assistito. Si ricorda che, ai fini dell'indicazione in dichiarazione degli importi effettivamente rimasti a carico, è ammesso sia il criterio di “cassa” (spese al netto dei soli rimborsi ricevuti nel 2023), sia il criterio di “competenza” (totale delle spese sostenute nel 2023, a prescindere dalla data di ricezione del rimborso). In tale ultimo caso, è necessario stampare dal sito di Assidim un prospetto per ciascun anno (2023 e 2024). Si ricorda, infine, che i familiari non fiscalmente a carico ed inseriti nel nucleo assistito dovranno inserire le fatture a loro intestate, per la parte non rimborsata, nella propria dichiarazione;
- Per alcune spese detraibili, elencate a pag. 55 delle istruzioni del mod. 730, la detrazione d'imposta del 19% subisce una riduzione in caso di reddito complessivo superiore a € 120.000,00 e viene totalmente azzerata al di sopra di € 240.000,00;
- si ricorda che le spese detraibili e/o deducibili devono essere pagate con sistemi “tracciati” (assegno, bonifico, POS, carta di credito o debito, ecc.), pena l'indetraibilità delle medesime. La modalità di pagamento deve risultare sulla fattura e/o ricevuta mediante annotazione diretta al momento dell'emissione, oppure comprovata da apposita documentazione (ricevuta POS, estratto conto carta di credito/debito, copia bonifico, ecc.);
- I redditi derivanti da locazioni brevi ed assoggettati a cedolare secca vanno indicati nel quadro B (Fabbricati) oppure, se derivanti da sublocazione o comodato, nel quadro D (Redditi diversi);
- Nel quadro dei familiari deve sempre essere riportato il codice fiscale del coniuge (o della/del partner in caso di unione civile), anche se fiscalmente non a carico;
- Si ricorda che non è detraibile il premio versato alla Cassa Mutua per la copertura LTC;
- Le spese sostenute nel 2023 per ristrutturazioni edilizie o simili dovranno essere dettagliate con gli appositi codici delle istruzioni, in funzione della tipologia di intervento effettuato e del tipo di agevolazione cui danno diritto;
- Il contributo versato ai Consorzi di bonifica, se non ricompreso nella rendita catastale del relativo fabbricato cui si riferisce, può essere indicato nel quadro E, casella E26, codice “21”, ad eccezione di quanto versato in relazione ad immobili concessi in locazione con il regime della cedolare secca;
- Infine, si ricorda che l'importo minimo trattenuto o rimborsato non può essere inferiore, per ogni singolo tributo, a € 12,00.
(a cura di Stefano Boccini – Associazione Pensionati BMPS)
In attesa della prossima del periodico della nostra Associazione, pubblichiamo, nella sezione Voce Nostra, l'edizione integrale di un bel racconto del nostro amico Silvano Burattelli che ricorda i suoi esami di maturità, nel 1953
Dal 7 luglio al 3 settembre 2023 Palazzo Strozzi presenta Yan Pei-Ming. Pittore di storie, la più importante mostra mai dedicata in Italia a uno dei principali maestri della pittura contemporanea. L’esposizione, parte del progetto Palazzo Strozzi Future Art sviluppato con la Fondazione Hillary Merkus Recordati, mette in evidenza la potente e originale ricerca dell’artista franco-cinese, in un cortocircuito visivo tra esperienze individuali ed eventi storici, simboli e icone della cultura tra Oriente e Occidente. Carlo White
REACHING FOR THE STARS
In italiano “ambire alle stelle”
E’ con questa titolo che il 4 marzo si è aperta a Palazzo Strozzi una mostra importante per Firenze.
Strozzi ci ha ormai abituato ad eclatanti tuffi nell’arte contemporanea e questo è un tuffo dal trampolino più alto.
Arte, secondo il dizionario della lingua moderna, è qualsiasi attività dell’uomo (contrapposta alla natura), disciplinata da un complesso di conoscenza, tecniche specifiche e fondata tanto dall’esperienza quanto dall’abilità e sulla genialità personale di chi la esercita.
Dante: “Di tutte l’arti la medicina è la più prossima al medico, e la musica al musico. “
Sono ormai tante le interpretazioni della parola ma sempre l’uomo e il suo vedere e sapere e trasmettere sono al centro dell’ Arte.
Con questa mia breve premessa mi piacerebbe che tutti voi foste incoraggiati alla mostra in corso che offre un panorama di tecniche espressive degli ultimi decenni del XX secolo e fino ad oggi utilizzando le opere di artisti famosi e toccando temi diversi e contemporanei: razzismo, violenza sulle donne, problemi climatici, ecc.
Mi preme sottolineare che ognuno di noi, ma soprattutto i giovanissimi, che spero andranno o accompagnerete alla mostra, si sentiranno artisti pensando alle foto o ai commenti che si scambiano sui social, al gusto di notare i dettagli, alla velocità con cui le idee vengono trasmesse. Questo per far capire che lo studio, la conoscenza e la cultura sono necessarie anche a capire e a fare Arte, perchè l’ Arte è un linguaggio che permette di parlare senza dire.
Ma torniamo alla mostra in corso nata dal connubio fra Strozzi che ci ha abituato a mostre come quelle su: Wewwei, Carsten Holler, Marina Abramovic, Jeff Koons, Olafur Eliasson senza dimenticare Pontormo e Rosso Fiorentino, Verrocchio il maestro di Leonardo, Donatello, il Rinascimento, oggi con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino e Guarene. La Fondazione celebra il trentennale della sua raccolta: tre decenni in cui si è distinta per la ricerca di talenti, con scelte coraggiose e particolare attenzione alla produzione femminile ed esponendo in moltissimi paesi sia Europei che intercontinentali.
Reaching for the Stars è un viaggio intergalattico nel cosmo dell'arte, un itinerario lungo e articolato, attraverso fenomeni e figure chiave del contemporaneo: le stelle ci indicano il cammino.
Le opere esposte occupano il Piano Nobile di Palazzo Strozzi, la Strozzina e il cortile e sono solo una piccola parte della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, molto selezionata e che rende conto della varietà e della ricchezza della raccolta torinese.
La mostra comincia già dal cortile con l’imponente razzo GONOGO di Goshka Macuga che punta letteralmente alle stelle e sembra in attesa di essere lanciato. Un’evocazione di speranza di salvezza del genere umano in altri mondi, verso nuovi pianeti, incoraggiandoci a guardare il cielo, a dirigere le nostre aspirazioni verso un orizzonte più ampio. Il razzo è però ancorato al terreno, senza motore, in un’ambiguità statica. Questo mentre impazzano progetti privati di viaggi spaziali ed esplorazioni del cosmo elaborati da megalomani desiderosi di creare un nuovo ed elitario “turismo spaziale”, incuranti nello stesso tempo degli effetti sull’inquinamento e degli sprechi economici ed energetici. Per fare quei costosi viaggi basterebbe forse utilizzare l’immaginazione o avvicinarsi a molte delle opere esposte in mostra. Il razzo di Macuga ci fa pensare al nostro momento storico e alla caducità della condizione umana in particolare dopo l’onda lunga post-pandemica, i cambiamenti e le incertezze che ha lasciato e lo scenario inquietante dei disastri ambientali che stanno mettendo in dubbio la possibilità per gli esseri umani di continuare ad esistere.
Altre opere, fra le tante che mi hanno colpito, quelle di Maurizio Cattelan, provocatore e protagonista dello star system dell’arte attuale. Cattelan gioca sul tema del memento mori con Bidibidobidiboo, la scena surreale di uno scoiattolo appena suicidatosi, che rovescia il rassicurante immaginario disneyano. Molto impressionante anche La rivoluzione siamo noi, autoritratto iperrealista che ci guarda attraverso il suo pupazzo -caricatura, appeso a un appendiabiti.
Potrei continuare con le descrizioni e le tante opere esposte ma per questo ci sono tantissime forme diapprofondimento: visite e laboratori per le scuole, percorsi guidati per giovani e adulti (lunedì e mercoledì alle 18 e la domenica alle 15), visite guidate condotte da un educatore museale e da uno storico contemporaneo (28 marzo, 11 aprile, 16 maggio, 6 giugno, 13 giugno: ore 18) e tantissime altre iniziative realizzate in collaborazione con le Biblioteche comunali fiorentine e incontri con gli artisti e i curatori dell’esposizione). Ci sono anche iniziative per ragazzi autistici (Sfumature), persone con Alzheimer (A più voci), con disabilità e disagio psichico (Connessioni), visite in LIS e un percorso dedicato al benessere delle persone con Parkinson (Corpo libero). Per i calendari e partecipare alle attività è necessaria la prenotazione su palazzostrozzi.org/educazione
Un vero gioiello, la Gipsoteca della Galleria dell’Accademia di Firenze, che riapre al pubblico con una nuova veste, dopo due anni e mezzo di lavori, che chiudono i grandi cantieri iniziati nel 2020. BEYOND THE DAVID (Oltre il Davide) il titolo con cui il direttore Cecilie Hollberg presenta la nuova Galleria dell’Accademia, a sottolineare che il museo non è solo scrigno della scultura michelangiolesca, amata in tutto il mondo, ma testimone di importanti collezioni legate all’arte fiorentina che oggi, finalmente, emergono rubando la scena persino al David.
Dice Cecile Hollberg:” La Gipsoteca è l’ultimo preziosissimo tassello del processo di rinnovamento della Galleria dell’Accademia di Firenze. Il compito che mi è stato affidato dalla riforma Franceschini, ovvero traghettare dall’800 nel XXI secolo un’inedita e moderna Galleria. Un’impresa enorme che siamo riusciti a portare a termine grazie al sentito e costante impegno del nostro piccolissimo staff e di tutti coloro che ci hanno sostenuto. Nonostante le tante battute d’arresto, dovute alla sospensione dell ’autonomia, alla crisi pandemica, alle varie criticità della struttura incontrate in corso d’opera, siamo riusciti a fare il miracolo. L’allestimento della Gipsoteca e stato riordinato e ammodernato nel pieno rispetto di quello storico, e ringrazio l’amico Carlo Sisi per i preziosi consigli. I gessi, restaurati e ripuliti, sono esaltati dal leggero azzurro polvere delle pareti, tanto da sembrare vivi, con le loro vite, i loro racconti. Il risultato è magnifico! Siamo orgogliosi e felici di poterlo condividere da ora con tutti.”
In proposito Carlo Sisi, Direttore dell’Accademia delle Belle Arti aggiunge "Quella della Gipsoteca della Galleria dell'Accademia è una restituzione esemplare, che nel rispettare il precedente allestimento ideato da Sandra Pinto negli anni Settanta del Novecento si configura come un vero e proprio atto critico, un'operazione museale che conserva un episodio cruciale della museografia nazionale rinnovandone con intelligenza metodologica la struttura compositiva e la grazia dei dettagli. Il nuovo colore scelto per le pareti consente infatti di recuperare la corretta lettura delle opere, esposte ora nella loro completezza, e la rimozione degli obsoleti condizionatori permette di ammirare la sequenza delle opere senza disturbanti interruzioni, ma con la continuità 'poetica' che può finalmente attrarre il visitatore in quella che nell'Ottocento si chiamava l'avventura nell'atelier".
Il monumentale salone dell’Ottocento, già sede della corsia delle donne dell’antico ospedale di San Matteo, poi incorporato nell’Accademia di Belle Arti, raccoglie la collezione dei gessi, oltre 400, tra busti, bassorilievi, sculture monumentali, modelli originali in gran parte di Lorenzo Bartolini, uno dei più importanti scultori italiani dell’800. La collezione fu acquisita dallo Stato italiano dopo la morte dell’artista e trasferita in questa sede in seguito all’alluvione del ‘66. Un luogo di grande fascino che ricrea idealmente lo studio di Bartolini, arricchito da una raccolta di dipinti di maestri ottocenteschi che hanno studiato o insegnato all’Accademia di Belle Arti.
L'intervento non ha riguardato solo i gessi ma tutta la struttura che li contiene riguardando l'ordine statico-strutturale, l'impianto di climatizzazione, l’illuminazione e l’impianto elettrico. Per motivi statici e di stabilita climatica sono state chiuse varie finestre, consentendo al nuovo allestimento, con le pareti tinteggiate di color ‘gipsoteca’, azzurro polvere, di recuperare un ampio spazio espositivo, arricchendo la Gipsoteca anche di quei modelli in gesso che erano sinora conservati negli uffici della Galleria. Le mensole, rinnovate ed ampliate, accolgono i busti-ritratto, che per la prima volta hanno potuto essere messi in sicurezza grazie ad un sistema di ancoraggio sicuro e non invasivo. I fragili modelli in gesso, nel corso dei lavori di ristrutturazione, sono stati sottoposti ad un attento intervento di revisione conservativa e di spolveratura. Tutte le opere sono state soggette ad una accurata campagna fotografica.
I lavori si sono sviluppati su 3000 metri quadri del museo. Sono stati sostituiti o sanificati 750 metri di canali di areazione e rinnovati 130 metri di canalizzazioni. Per la prima volta, adesso, il museo ha un impianto di climatizzazione funzionante in ogni sala con nuove luci LED di ultima generazione che valorizzano le opere esposte e contribuiscono all’efficientamento energetico. A seconda delle necessità, sono stati fatti degli interventi su tutte le opere del museo, sono state movimentate, protette, imballate, spostate, spolverate, riviste o altro.
Dalla sala del Colosso, che apre il percorso espositivo con il suo blu Accademia, caratterizzata, al centro, dall’imponente Ratto delle Sabine, capolavoro del Giambologna, intorno al quale ruota la preziosa collezione della pittura fiorentina del Quattrocento e del primo Cinquecento, all’inedita sala dedicata al Quattrocento, in cui trovano una perfetta collocazione capolavori come il cosiddetto Cassone Adimari dello Scheggia o la Tebaide di Paolo Uccello, finalmente leggibili in tutti i loro meravigliosi dettagli. Dalla Galleria dei Prigioni alla Tribuna del David, fulcro del museo, con la maggiore raccolta di opere michelangiolesche che la nuova illuminazione esalta, rendendo visibile ogni particolare, ogni segno del ‘non finito’. Opere che si confrontano con le grandi pale d’altare del XVI e il primo XVII secolo, che testimoniano l’influenza di Michelangelo sui suoi conterranei nella ricerca della nuova spiritualità della Controriforma. E infine le sale del Duecento e Trecento, dove i fondi oro risplendono di una luminosità mai percepita prima sulle pareti tinteggiate di un verde ‘Giotto’. Oggi la Galleria dell’Accademia di Firenze ha cambiato volto, ha una nuova forte identità e soprattutto è più fruibile e meglio apprezzata sia da noi fiorentini sia dalle migliaia (milioni!) di visitatori che dal primo mattino attendono in fila di poter accedere a questo spettacolare museo.
Personalmente ho trovato una sostanziale differenza nell'osservare le opere, ora più leggibili e gradevoli ma soprattutto scoprendo particolari che fino ad ora erano passati inosservati. I colori, l'atmosfera e onestamente anche l'aria che vi si respira sembra diversa in questo prezioso contenitore di bellezza.
C.B.
Giovanni FerrariPensionato del Monte dei Paschi di Siena e ex dipendente della Banca Toscana dopo il periodo lavorativo mi sono dedicato, insieme ad un mio amico, anche lui pensionato, a realizzare dei cortometraggi sulle chiese antiche toscane con il preciso scopo di farle conoscere a tante persone. Abbiamo inizialmente privilegiato le chiese più vicine a noi, quelle del territorio pisano.La realizzazione di questi lavori/documentari ha richiesto studi e ricerche e il coinvolgimento a volte di persone specializzate come professori universitari, tecnici, attori. Abbiamo altresì eseguito la ricerca di costumi d’epoca e ci siamo attivati per le necessarie autorizzazioni degli Enti preposti come i Beni Culturali, L'Arcidiocesi di Pisa e quello dei parroci delle chiese interessate.
Nell'intento di rendere i filmati più interessanti abbiamo pensato di utilizzare attori che raccontassero le vicissitudini storiche ed artistiche di queste chiese e siamo riusciti fino ad oggi a realizzare quattro cortometraggi : " La storia della Chiesa di San Paolo a Ripa d'Arno".(https://youtu.be/wdjvS09tUXc);" La storia della Basilica di San Piero A Grado " (https://youtu.be/FzinQJTI9ZU) ; " La Storia della Chiesa di San Pietro in Vincoli" (https://youtu.be/FzinQJTI9ZU); " La Storia della Chiesa di San Martino in Kinzica " (https://youtu.be/Qs45mM9SBmA).
Speriamo che i colleghi e i loro familiari apprezzino questi filmati che sono stati montati da noi, aiutati da programmi di " Editing", e sarei ora molto felice se i colleghi che li apprezzeranno li condividessero con altre persone: colleghi o amici.
Difendersi dal caldo
A cura della dott.ssa Marilù Mengoni
www.psicoalimentazione.it
L’estate è alle porte e sa per arrivare un periodo di caldo intenso, con i termometri che possono segnare anche 30-35 gradi per molti giorni consecutivi, e con le temperature notturne che non si discostano di molto da quelle più alte che si hanno durante il giorno.
Considerate poi il fatto che temperatura che percepiamo non è la stessa di quella che leggiamo nelle varie testate giornalistiche o nei rapporti meteo, in quanto questa percezione è influenzata da molti fattori quali l'umidità, la luce diretta del sole, la velocità del vento, ecc. Se ci troviamo in una località di mare per esempio il caldo che avvertiamo potrà essere diverso rispetto a quando siamo in città, anche se la temperatura dei bollettini meteo è la stessa. In ogni caso il calore può essere un fattore di rischio per la salute ed è sempre utile prendere alcune precauzioni.
10 consigli per affrontare il caldo
Ecco dunque 10 consigli per prevenire le problematiche relative al caldo eccessivo (alcuni già li conoscerete, ma è sempre meglio non dare nulla per scontato):
- Non uscite nelle ore centrali della giornata, nemmeno per recarvi nei parchi o nelle aree verdi cittadine, dove gli elevati livelli di ozono potrebbero provocare disturbi soprattutto ai bambini, agli anziani e alle persone che soffrono di asma o di altre malattie respiratorie;
- Usate abiti di fibra naturale, come il cotone ed il lino (leggete bene le etichette e non indossate indumenti che contengono fibre sintetiche!); tra i colori da indossare evitate il nero o comunque tinte scure, le quali assorbono più calore che a sua volta viene trasferito al corpo, aumentando la percezione del caldo;
- Evitate di mangiare alimenti grassi, perché forniscono molte calorie, necessitano di un maggior lavoro da parte del fegato e rallentano la digestione. Inoltre consumare proteine animali produce calore per un effetto chiamato “Termogenesi indotta dalla dieta”;
- Evitate di bere bibite gassate e zuccherate. Tra le bevande da evitare (o limitare al massimo) ci sono anche il caffè e le bevande alcoliche, che aumentano la diuresi, quindi l’espulsione di acqua con le urine. L’acqua nel nostro corpo in questi giorni è molto preziosa: ci serve per la sudorazione e quindi per la regolazione della temperatura corporea;
- Consumate moltissima frutta e verdura: sono ricche sia di acqua che di preziosi minerali che vengono persi tramite il sudore;
- Aumentate l’apporto di acqua: bevetene due litri al giorno. Se non avete sete, bevete ugualmente. Il senso della sete diminuisce quando aumenta l’età e anche a causa del consumo di zucchero, carne e caffè. Quindi, soprattutto quando fa caldo, bisogna sforzarsi a bere, in modo da evitare di disidratarsi;
- Ricordatevi che con il caldo si “brucia” meno e si tende ad ingrassare. Preferite quindi pasti leggeri e freschi (insalate, insalata di riso o di farro, ecc.) e fate piccoli spuntini piuttosto che grandi mangiate. Non male, per i più audaci, 2-3 giorni da fruttariani, in cui si consuma solo frutta (compresi pomodori, peperoni e zucchine);
- Un altro piccolo suggerimento: riducete l’uso di ventilatori (alle alte temperature, che superano i 35 gradi, non sono efficaci);
- Concedetevi un bagno o una doccia tiepida, appena al di sotto della temperatura corporea, soprattutto la sera prima di coricarvi. Anche se una doccia fredda potrebbe essere più attraente, in effetti il risultato sarebbe opposto, in quanto il corpo, per compensare la perdita di calore, inizierebbe a generarlo;
- Per rilassarvi, sedetevi in una stanza più fresca e, per una decina di minuti al giorno, chiudete gli occhi e respirate nel seguente modo: fate una profonda inspirazione, trattenete qualche secondo il respiro ed espirate, imitando le onde del mare che si infrangono sulla battigia. Nel contempo visualizzate voi stessi mentre vi immergete nell’acqua fresca: il potere della mente è immenso e questa visualizzazione può aiutare a superare i momenti più critici.
DONATELLO, IL RINASCIMENTO
Palazzo Strozzi Firenze fino al 31 luglio 2022
Donato di Niccolò di Betto Bardi Firenze1386, Firenze 13 dicembre 1466 detto DONATELLO.
Diversamente da come molti pensano Donatello, scultore, pittore e architetto, visse a lungo per quei secoli raggiungendo gli 80 anni.
Se pensiamo ad altri coevi come Masaccio di 15 anni più giovane e scomparso a soli 27 anni (forse avvelenato a Roma) o allo stesso Brunelleschi che visse fino alla soglia dei 70 anni.
Ma sono questi tre grandi su cui in gran parte si appoggia il Rinascimento con l’uso della prospettiva, la riscoperta della scultura classica e delle fusioni in bronzo con il distacco dal Gotico e l’inventiva di costruzioni architettoniche e stilistiche impensabili che raggiungono tuttavia vette equilibrate ed eccelse.
Il Medioevo alto (476 d.c. caduta dell’Impero Romano -1000 d.c.) o basso (1000 d.c. - 1492 scoperta dell’America) che sia aveva in gran parte fatto dimenticare il sapere accumulato dai greci e dai romani che nelle loro conquiste avevano preso il “saper fare” di tante popolazioni soprattutto del bacino mediterraneo. Il Gotico aveva fatto da battistrada al Rinascimento, nato oltralpe (Parigi) inizia la riscoperta di schemi architettonici diversi poi interessò tutti i settori della produzione artistica, portando grandi sviluppi anche nelle cosiddette arti minori: oreficeria, intaglio, vetrate, tessuti, lavorazione dell’avorio, ecc.
Il Rinascimento che riconobbe le tante qualità del Gotico si volle distinguere ritornando a schemi innovativi ma classici e composti e con principi tecnici e artistici completamente diversi. Maturò un nuovo modo di concepire il mondo e se stessi, sviluppando idee dell’umanesimo che era nato in ambito letterario soprattutto per opera di Francesco Petrarca portando gli artisti a influenzare per la prima volta le arti figurative e la mentalità corrente.
Firenze per una serie di ragioni diventa la “culla del Rinascimento” tante sono le teorie e le concomitanze ma come spesso succede le due preminenti sono la Fede (leggi la Chiesa) e la Ricchezza (leggi i mercanti). Un binomio che potremmo dire in certi momenti funesto ma che quando trova menti geniali e illuminate, esploratrici, amanti della ricerca, riesce a creare e a ricreare cose che potrebbero sembrare inimmaginabili.
La pittura cresce e diventa sempre più umana, la scultura diventa espressiva, l’architettura diventa a volte geniale e riesce a far sposare più stili conservando l’armonia dell’insieme. Lo studio diventa fondamentale, imparare l’artigianato fa diventare artisti, il sapere cresce e con esso i concetti e le persone e la bellezza riesce a contagiare quasi fosse un populismo politico anche chi non sa leggere e scrivere ma ha occhi per ammirare.
Donatello rappresenta un cardine di questo contesto è importante perché una volta appreso il saper fare inizio non a imitare ma a comunicare utilizzando un linguaggio innovativo che fece scuola, venne apprezzato e influenzò generazioni di artisti. Questo è il primo grande merito di questo laborioso artista.
Il David da lui rappresentato è il giovane semplicemente bardato di pelli (quello in marmo) cucite e armato solo di una fionda che sconfigge il gigante che terrorizza Israele. David sconfigge il gigante con un sasso in mezzo alla fronte e poi tramortito gli taglia la testa con la spada. Nell'ancora più famoso David bronzeo (al Bargello) il giovane ha solo un elmo ed è nudo pare quale che la sua giovinezza, la sua bellezza e gracilità abbiano avuto la meglio sul gigante e David appare soddisfatto.
Se ci pensiamo bene anche oggi in altri campi piccoli movimenti guidati da giovani riescono a sconfiggere i giganti un esempio Greta che lotta per la salvezza del pianeta Terra.
Ma come raggiunge Donatello la sua bravura, quali concomitanze fanno di lui un Grande.
Come già detto fu in gioventù uno dei padri fondatori dell’arte fiorentina, raggiunse a Firenze la massima popolarità negli anni ‘30 del Quattrocento quando erano tantissime le commissioni che la città gli assegnava.
Poi per circa dieci anni si trasferì a Padova dove di lui rimangono al momento un bellissimo Crocifisso e la famosissima statua equestre al Gattamelata nella Piazza del Santo, la prima grande fusione di grande formato realizzata dai tempi dell’antichità,
Dopo l’esperienza Padovana Donatello rientra a Firenze quasi ad esclusivo servizio del suo mecenate. Cosimo de’ Medici. Forte di questo appoggio Donatello il cui stile era in contrasto con la tendenza prevalente dell’epoca tanto da essere considerato eterodosso.
Il Vasari affermò che Donatello conferiva alle sue figure una potenza di movimento, una vivacità e un brio conservativo che consentivano di stare alla pari delle sculture antiche e quelle del pieno Rinascimento.
In un bellissimo volume scritto da John Pope-Hennessy e illustrato da Liberto Perugi con splendide immagini (Cantini Edizioni 1985) si possono ben scoprire molti dettagli e ammirare le raffinatezze e la forza espressiva dell’artista.
Questa mostra a Palazzo Strozzi è una mostra che è riuscita a raccogliere tantissime opere dell’artista e anche di artisti che Donatello ha influenzato, è un piacere per gli occhi e non solo perché molte opere vengono da prestiti di altri musei sparsi per il mondo e quindi permettono di fare paragoni e confronti.
È tuttavia una mostra alla memoria e alla conoscenza, memoria perché non ci scontriamo spesso nelle opere di Donatello a meno che non si frequentino alcuni luoghi, inoltre come spesso capita non si fa la dovuta attenzione alle sue opere abituati come siamo ad averle sotto gli occhi.
Proprio di fronte a Palazzo Vecchio sull’arengario ci sono il famoso Marzocco e Giuditta e Oloferne di Donatello. Giuditta e Oloferne in copia fu realizzata grazie alla Banca Toscana (l’originale è nella sala dei Gigli di Palazzo Vecchio).
Ma poi basta entrare nella basilica di San Lorenzo per vedere grandi sui capolavori come i due pulpiti (la Passione e la Resurrezione) e le due splendide porte con bassorilievi della Sacrestia Vecchia.
La mostra di Strozzi non poteva naturalmente fermarsi alle seppur tante opere li esposte (130), ma troviamo tantissime opere al Bargello anch’esso sede museale e quindi volendo al Museo dell’Opera del Duomo dove la Maddalena è imperdibile. Poi naturalmente c'è Prato e in merito il collega Giancarlo Torracchi scrive: le mete "donatelliane" un "viaggio" che parte da Palazzo Strozzi e che, attraverso una mappa tematica, tocca 16 diversi luoghi in una sorta di esposizione diffusa. Fra l'altro il Museo del Palazzo Pretorio di Prato ha contributo all'imponente Mostra "Donatello, Il Rinascimento" con il prestito dell'opera Madonna con bambino tra due angeli opera giovanile di Donatello. Una mostra, quella di “Donatello, il Rinascimento” che merita di essere visitata, e ampiamente illustrata dal catalogo che la completa (n.d.r. essendo una mostra con grande impegno informativo-didattico sia le note in ogni sala e le indicazioni presenti sia le audio-guide offrono un ottimo supporto).
Perché iniziare da Prato? Perché a Prato vi è un celebre pulpito del Duomo, opera di Donatello e Michelozzo, ma anche perché le belle sale del Palazzo Pretorio e le opere ivi allestite su tre piani dello stesso meritano di per sé una visita.
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Mi fermo qui invitando a visitare la mostra che probabilmente vi darà soddisfazioni e susciterà interesse.
Chi volesse andare visiti il sito web
https://www.palazzostrozzi.org/archivio/mostre/donatello/
dove potrete trovare informazioni, acquistare biglietti e scoprire facilitazioni o prenotare visite guidate o audio-guide. Carlo Biancalani.
UN NUOVO MOTIVO PER VISITARE A FIRENZE CASA BUONARROTI
La nuova sala e il nuovo allestimento che accoglie le restaurate opere del giovane Michelangelo.
Oggetto di interventi di restauro negli anni novanta del Novecento, condotti da Agnese Parronchi (Battaglia dei centauri nel 1992 e nel 1999, e Madonna della Scala nel 1997), le due sculture giovanili di Michelangelo, necessitavano, a tanti anni di distanza, di una revisione conservativa e di un leggero restauro che le restituisse all’ammirazione del pubblico nelle migliori condizioni possibili. Questo è stato possibile grazie alla consueta e generosa disponibilità della Fondazione Friends of Florence.
Per chi non avesse mai visitato Casa Buonarroti vale la pena di raccontare la storia di questa casa-museo dedicata a Michelangelo e a suoi discendenti, che qui vissero abbellendo la dimora che si trova in via Ghibellina 70, all'angolo appunto con via Buonarroti.
Michelangelo non era nato qui, ma a Caprese in provincia di Arezzo (ora Caprese Michelangelo), dove suo padre Ludovico di Leonardo, seppur fiorentino, si era trasferito per ricoprire una carica pubblica.
Che Michelangelo risiedesse in Casa Buonarroti lo testimoniano i documenti con cui dava a pigione le casette accessorie e, nel 1525, una delle due case principali del complesso; inoltre, nella dichiarazione legata all'istituzione della decima granducale, nel 1534, Michelangelo denunciò, tra l'altro, "una casa posta in via Ghibellina, [... che] è per lo mio abitare".
Nel 1539 l'edificio principale non venne più dato in pigione, fu adibito ad una migliore sistemazione dei suoi parenti, in particolare del nipote Leonardo, figlio di suo fratello minore Buonarroto, verso cui l'artista nutriva tutte le speranze di prosecuzione della stirpe. Interessandosi al suo matrimonio con una donna del patriziato cittadino, Michelangelo suggerì prima di trovarsi una dimora più "onorevole", poi accettò di far usare i denari che egli metteva a disposizione del nipote per ristrutturare le case già in possesso.
Alla morte del nipote Leonardo nel 1599, le proprietà su quel tratto di via Ghibellina erano state ulteriormente accresciute e doveva esser avviata la trasformazione degli edifici in un unico palazzo: la morte dell'artista aveva infatti portato alla famiglia un'eredità molto cospicua. I figli di Leonardo, Buonarroto il maggiore e Michelangelo il minore, si spartirono dunque i possedimenti: al primo andò la costruzione "nuova", all'altro la vecchia abitazione familiare che non era stata interessata dalla recente ristrutturazione, e che fu presto ingrandita con l'acquisto di un ulteriore fondo adiacente. Dal 1612 Michelangelo il Giovane iniziò l'edificazione del palazzo come si vede oggi, del quale resta una rara, precisa e particolareggiata documentazione d'archivio[
Il Giovane utilizzò un progetto che comprendeva due disegni dello stesso Michelangelo e nella decorazione interna fece celebrare ampiamente il famoso prozio con un preciso programma decorativo.
Michelangelo il Giovane morì senza figli ne 1647 e tutta l'eredità familiare passò al minore dei nipoti Leonardo, figlio di Buonarroto, e sopravvissuto al fratello maggiore Sigismondo. Leonardo, che ebbe una venerazione assoluta sia per il Michelangelo "vecchio", che per l'opera dello zio "Giovane", alla sua morte avvenuta nel 1684 aveva redatto un testamento particolarmente esplicito riguardo al mantenimento integro della galleria, delle sale monumentali e delle collezioni artistiche e librarie della famiglia, istituendo clausole particolarmente coercitive, che riguardavano la perdita dei diritti di primogenitura e delle altre rendite familiari in caso di cambio di destinazione delle sale, alienazione, dispersione, concessione a pigione e qualsiasi altra modifica non migliorativa.
Suo figlio Michelangelo "il Terzo", autore di una preziosa descrizione-inventario di tutti i beni familiari, morì nel 1697 senza figli. I tre fratelli superstiti stabilirono di assegnare al solo Filippo la cura del palazzo: senatore, auditore, presidente in perpetuo dell’Accademia della Crusca di Cortona Filippo fece della casa familiare un rinomato centro della cultura cittadina, arricchito dalle sue cospicue raccolte archeologiche. Con la morte dei suoi fratelli, senza discendenza, ricompose tutte le proprietà attigue in un unico complesso, che trasmise all'unico figlio maschio Leonardo, il quale a sua volta ebbe quattro figli. Alla morte di Leonardo nel 1799 causa di vicissitudini la casa fu abbandonata e data in momentanea cura all’ospedale di Santa Maria Nuova che redasse un prezioso inventario.
Nel 1801 i Buonarroti rientrarono in possesso del palazzo, in particolare del ramo di Filippo e poi di suo figlio Cosimo, che curò un rinnovamento tra il 1820 e il 1823, quando andarono purtroppo perduti lo scalone e la loggetta del primo piano sul cortile. Dai resoconti dell'epoca si viene a sapere che i venti anni di esproprio e abbandono della casa erano stati disastrosi: a eccezione della Galleria e delle sale monumentali, le altre stanze erano in forte degrado, e che solo coi restauri si restituì una dignità all'abitazione, che tornò ad essere abitata da Cosimo e sua moglie, Rosina Vendramin.
Fu proprio Cosimo a istituire, nel 1858 esaudendo probabilmente anche la volontà della moglie scomparsa nel 1856, un Ente Morale che si prendesse cura dell'edificio e delle raccolte d'arte in esso contenute (dei fatti documenta una memoria già posta sul fronte del palazzo e oggi all'interno), ponendo le basi di quell'attivo Museo di Casa Buonarroti che ancora oggi gestisce, come Fondazione, la proprietà.
L'edificio fu oggetto di un parziale e comunque importante restauro nel 1950. Riaperta al pubblico la casa il 26 maggio 1951 si dovette attendere la concomitanza con il quarto centenario della morte dell'artista 1964, per vedere l'edificio interessato da un più radicale intervento promosso dal Ministero dei Lavori Pubblici, con lavori di adattamento interno per il museo e per la fondazione che portarono (nonostante i progetti elaborati nei decenni precedenti per arricchire il fronte reputato troppo semplice in relazione alla ricchezza degli interni) ad esaltare l'essenzialità del prospetto. Negli interni, oramai del tutto liberati da inquilini, fu tra l'altro, in questa occasione, recuperata la cinquecentesca sala d'ingresso (fino a quel momento suddivisa da tramezzi e corridoi) e, all'ultimo piano, una bella loggia già tamponata.
Con l’alluvione del 1966 la struttura subì purtroppo ingenti danni, rendendo necessari ulteriori interventi prontamente effettuati entro l'ottobre dell'anno successivo che interessarono sia i prospetti esterni sia gli spazi interni terreni.
Ma a parte la storia della Casa Buonarroti sono in particolare i numerosi e pregevoli contenuti che rendono la visita estremamente interessante:
- la più ricca collezione al mondo di bozzetti di Michelangelo e della sua scuola. Il pezzo più importante è il Torso del fiume, a grandezza naturale e destinato a fare da modello per una statua mai realizzata per la Sacretis Nuova, ma sono suggestivi anche i due Lottatori e il Nudo femminile;
- La Madonna della scala:
- La Battaglia dei Centauri;
- numerosi disegni;
- l’allegoria dell’Inclinazione di Artemisia Gentileschi che fu il pernio promotore della mostra*Artemisia” del 1991 organizzata e sponsorizzata da Banca Toscana e che portò nel piccolo museo oltre 20 mila presenze.
Ma parliamo ora di queste due opere che hanno trovato il loro giusto all’allestimento in una sala apposita della Casa Buonarroti.
La Madonna della scala è stata scolpita da Michelangelo quando aveva appena quindici anni ed è una delle prime prove del suo apprendistato svolto nel Giardino di San Marco, messo a disposizione dei giovani artisti da Lorenzo il Magnifico, sotto la guida di Donatello prima (muore nel 1491) e di Bertoldo di Giovanni poi,
Se dal grande maestro del Quattrocento deriva la particolare tecnica a bassorilievo dello “stiacciato”, michelangiolesca è invece la scala monumentale della composizione dominata dalla Vergine che occupa tutto lo spazio disponibile, e col Figlio, di spalle, che stringe al suo seno in una posa che tornerà in opere più tarde di Michelangelo, quali il gruppo scultoreo della Madonna Medici della Sagrestia Nuova e il cosiddetto “Cartonetto”, disegno di Casa Buonarroti.
Sono ancora visibili i segni della delicatissima lavorazione eseguita da Michelangelo con scalpelli, calcagnuoli e con gradine a due e a tre punte di piccole dimensioni che hanno lasciato solchi di 1 mm circa, soprattutto in corrispondenza dei tre putti retrostanti, sulla sinistra, che mostrano inequivocabilmente l’intenzione e la capacità di creare i volumi e le profondità visive grazie all’incidenza della luce sui piani lavorati in modo differente. Nonostante la lastra misuri pochi centimetri di profondità (dai 2,5 ai 4 cm circa) le figure sono disposte su quattro piani che, gradualmente, culminano in quello del Bambino, fino ad individuare la piccola figura quasi impercettibile alle spalle della Vergine. Le superfici più levigate, perfettamente polite, assumono l’aspetto morbido negli incarnati della Madonna e del Bambino e quasi trasparente nella realistica resa dei panneggi.
fig.1 Lato posteriore. Segni di lavorazione fig.2 Foto a luce trasmessa (LT)
L’attuale modalità di fruizione dell’opera attraverso un box di plexiglass protettivo, con un sistema di ancoraggio della lastra alla parete, ha consentito di visionare il lato posteriore (fig.1) sbozzato con subbia verticalmente ed orizzontalmente e con scalpelli piatti di 2/3 mm in corrispondenza del bordo e di un’originaria scaglia del marmo, nonché di eseguire agevolmente una foto con luce trasmessa (LT). La suggestiva immagine (fig.2) mostra gli spessori della lastra restituendola in trasparenza nella sua struttura mineralogica. E’ interessante notare una venatura quasi impercettibile che, partendo dal collo del Bambino e assecondandone la curvatura naturale della spina dorsale, prosegue verticalmente sul panneggio della Madonna fino al sedile cubico e diminuisce gradatamente ad angolo retto verso il ginocchio sinistro. Tale venatura presenta inclusi più scuri in corrispondenza del palmo rilassato della mano destra del Bambino, quasi a formare un’ombra naturale.
Una seconda venatura, parallela alla precedente, è in corrispondenza della fine del panneggio del vestito della Vergine che morbidamente ne avvolge la caviglia sinistra.(nota delle restauratrici in collaborazione con la Soprintendenza)
La Battaglia dei centauri realizzata fra il 1491 e il 1492 circa, quando Michelangelo sempre giovanissimo (16 anni circa) continuava il suo apprendistato presso il giardino di San Marco confrontandosi con i suoi contemporanei e con le opere di epoca romana collezionate dai Medici. Molto probabilmente già apprezzato Michelangelo ebbe la il committenza dell’opera da Agnolo Poliziano che suggerì allo scultore di ispirarsi a un mito connesso alle fatiche di Ercole secondo cui l’eroe avrebbe liberato Deianira, sua promessa sposa, dalle nozze con il centauro Euritione, ucciso durante una zuffa furibonda con i centauri. Il blocco di marmo statuario a forma di parallelepipedo, presumibilmente di riuso, probabilmente è stato scolpito partendo da modelli eseguiti in creta e riprende i sarcofagi classici, come dimostrano i viluppi di figure avvinghiate nella lotta. Nella sua incompiutezza (probabilmente attribuibile alla morte del committente Poliziano l’8 aprile del 1492), l’opera racconta la perizia del giovane nella lavorazione del marmo a vari livelli di finitura: dal quasi tutto tondo delle figure più emergenti, al rilievo appena accennato di quelle sullo sfondo. La superficie reca ancora i segni lasciati dagli strumenti di lavorazione, come ad esempio la subbia, usata per la sbozzatura del bordo superiore, e della parte interna e laterale, la martellina utilizzata sui lati, le tracce di una subbia di dimensioni più piccole nella parte inferiore dell’opera, i segni dell’ugnetto e di scalpelli di dimensioni sempre più piccole con punte molto affilate si leggono invece su tutte le superfici dei corpi fino alle figure abbozzate sul piano di fondo, mentre alcune figure presentano parti della muscolatura perfettamente levigate e lisciate.
Il restauro ha permesso di studiare in maniera approfondita l’opera e di restituire una luminescenza andata persa per molti motivi. La patina giunta a noi non è comunque del tutto reversibile perché visti gli oltre 500 anni trascorsi il marmo statuario dell’opera ha incorporato per moltissimi motivi osmotici ed ha assunto un colore leggermente ambrato e fra l’altro bellissimo (il tempo, l’illuminazione, fumi di lampade a olio o di candele, ecc. che hanno creato una patina ormai irreversibile).
L’opera, seppur di minore importanza storico artistica rispetto all’altra esposta, “Madonna della Scala”, ha una grande contemporaneità comunicativa è comunque una gioia poter ammirare da vicino le due opere.
Biancalani Carlo
Fino al 30 gennaio!
Non perdere l'occasione di scoprire da vicino Jeff Koons, una delle figure più importanti e celebrate dell’arte contemporanea a livello globale.
*Palazzo Strozzi ospita, appunto fino al 30 gennaio, *
una delle più grandi esposizioni mai realizzate sull’artista statunitense che copre quarant’anni di carriera, declinati attraverso il tema dello “shine”, del bagliore, del riflesso che accoglie lo spettatore.
Curata da Arturo Galansino e Joachim Pissarro, la mostra ospita 33 capolavori di uno dei protagonisti dell’arte contemporanea a livello globale, con prestiti provenienti dalle più importanti collezioni e dai maggiori musei del mondo.
Inizia così l’ultima spinta promozionale di questa mostra di Arte contemporanea a Palazzo Strozzi.
Premesso che dovremmo conoscere meglio Jeff Koons forse questo ci può aiutare:
A)
Prima di diventare il celebre il celebre artista internazionale Jeff Koons aveva iniziato a lavorare nel mondo della finanza come agente di borsa a Wall Street e per il MoMa, il Musem of Modern Art di New York, come responsabile relazioni sostenitori e partnership. Lo scopo di questi lavori però era quello di finanziare la realizzazione delle sue prime opere e iniziare così ad esporre la propria arte: il successo fu pressoché immediato, soprattutto grazie anche alle numerose conoscenze che Koons aveva potuto instaurare durante il periodo lavorativo al MoMa, e riesce a raggiungere fin da subito quotazioni stellari nel mercato dell’arte;
B)
Nel 1991 Jeff Koons convola a nozze con la pornostar Ilona Staller e proprio in quegli anni realizza la serie “Made in Heaven”, nella quale l’artista rappresenta varie performance sessuali con la moglie, svolte in ambienti naturali quasi eterei;
C)
La celeberrima serie “Celebration” , di cui fanno parte i famosi Ballon Animals (soprattutto le 5 versioni in 5 colori diversi dei Ballon Dog) e tutti gli oggetti tipici del mondo dei giochi, delle vacanze e delle feste per bambini, nasce proprio perché, dopo la fine del matrimonio con la Staller, Koons cercherà, purtroppo invano, di ottenere l’affidamento del figlio Ludwig: la serie diventa per l’artista un modo per connettersi con il mondo del figlio e riuscire così a trasmettergli il suo affetto anche a distanza;
D)
Jeff Koons detiene il record di arista più pagato al mondo grazie al suo “Rabbit” (opera del 1986 realizzata con un calco in acciaio inossidabile) che è stata battuta in asta da Christie’s a maggio 2019 per la cifra da capogiro di 91,1 milioni di dollari;
E)
Nel 2001 il presidente della Repubblica francese Jacques Chirac nomina Jeff Koons ‘Chevalier de la Légion d’Honneur’, una delle più alte onorificenze conferite dallo stato francese;
F)
Nel 2011 Koons collabora con la celebre piattaforma statunitense Snapchat per la creazione di uno speciale filtro che permette di posizionare virtualmente le sue opere più famose in ogni spazio. In questo modo rende accessibile a tutte le persone la loro libera fruizione, fino quasi a poter toccare virtualmente con la mano alcune delle sue opere senza dover per forza entrare in un museo o pagare il biglietto per una sua mostra;
G)
Nel 2013 collabora con la celebre popstar Lady Gaga per la realizzazione della cover dell’album “Artpop”: in questa occasione Koons realizza una statua di cera raffigurante la cantante che viene poi rappresentata sulla copertina dell’album;
H)
Il 2014 è l’anno della consacrazione museale: infatti, il Whitney Museum di New York lo celebra con una grande retrospettiva che, a partire dal 2015, viene trasferita prima al Centro Georges Pompidou di Parigi e, in seguito, anche al Guggenheim di Bilbao, con un enorme successo di pubblico e critica;
I)
La critica sembra ormai unita nel celebrare Jeff Koons come erede di Andy Warhol. Infatti, come aveva fatto negli anni Sessanta il re della Pop Art, Koons porta in auge e rende protagonisti delle sue opere gli oggetti della vita di tutti i giorni, quegli oggetti monotoni e normali che tutti possono riconoscere e in cui tutti possono rivedersi, portandoli così ad un “livello superiore”, donandogli l’aura di opera d’arte. In poche parole, l’obbiettivo principale di Koons, come lo era stato per Warhol, è quello di infrangere il confine tra la cultura “alta” e la cultura “popolare ”;
L)
Koons è anche denominato il “Re del Kitsch”, in quanto predilige come icone nelle sue opere alcuni oggetti solitamente ritenuti brutti, di cattivo gusto. Rendendoli protagonisti delle sue opere, Koons ne fa prevalere il lato emotivo, legato ai ricordi di infanzia, caricandoli così di una fortissima carica emotiva più che estetica.
Foto Koons fotografato con una sua installazione nel cortile di Palazzo Strozzi a Firenze dove si tiene la mostra “Shine”.
Personalmente ho trovato divertente la mostra “Shine” pronta ad avvicinare i bambini (anche il bambino che è in noi) che ti stupisce a volte e poi, dopo, a freddo, lascia ai bambini il divertimento che da una giostra, è un capogiro che per noi adulti sono le riflessioni! Ma l’Arte è questo!
Qui si scontrano le menti e i pensieri del creatore del gioco o del comunicatore, se non lo vogliamo chiamare artista e del pubblico. Per molti è un designer, un pubblicitario esperto in marketing, uno che “ci sa fare” per altri è addirittura innominabile come artista, per altri ancora è un genio è un artista se concettualmente si dà un senso o un altro alla parola Arte!
La storia insegna e deciderà. Personalmente non so se è un nuovo Andy Warhol o un Picasso contemporaneo oppure un Fontana.
Io sono ancora legato alle rappresentazioni tradizionali (conservatrici) però, come ho imparato, il tempo decide.
Meglio Carreras o Baglioni, meglio jazz o classica? Meglio il cinema, la fotografia o la pittura? Prendiamo questo esempio di comunicazione e viviamola nel qui ed ora e ognuno ci pensi su. Se ci ha lasciato dentro qualcosa, fosse solo la bellezza o la riflessione o la curiosità sarà stata forse utile, altrimenti sarà stata il vuoto.
Carlo Biancalani
La Cappella Brancacci, famosa nel Mondo e soprattutto una delle più pregiate opere dove si ammira un Masaccio particolare, é il piccolo gioiello contenuto nella chiesa del Carmine che ora fa parte dei musei civici fiorentini ed è con il suo accesso a latere una cosa a parte nel complesso del Carmine e della bellissima chiesa dove sono sepolti personaggi importanti come lo stesso Masaccio, Bicci di Lorenzo, Giulia Ammannati, Giovanni Balducci. La cappella saràora di nuovo restaurata ma non chiuderà: da febbraio il pubblico potrà approfittare dei ponteggi necessari ai lavori per poter ammirare per la prima volta a distanza ravvicinata i capolavori di Masaccio e Masolino. Un’occasione unica per ‘guardare negli occhi’ i protagonisti degli affreschi, come Adamo ed Eva tentati dal serpente e poi cacciati dal Paradiso.
Il restauro della Cappella durerà un anno e i lavori fanno parte di un articolato programma di ricerca e di valorizzazione messo a punto da Comune, Soprintendenza, Cnr-Ispc di Firenze, Opificio di Pietra Dure e la Fondazione statunitense Friends of Florence, in compartecipazione con Jay Pritzker Foundation.
La Cappella è stata chiusa al pubblico a dicembre per consentire l’allestimento del ponteggio e riaprirà a febbraio: venerdì sabato e lunedì dalle ore 10.00 alle ore 17.00, e la domenica dalle ore 13: 00 alle ore 17:00, con obbligo di prenotazione on line o tramite call center (secondo le modalità che saranno indicate sul sito cultura.comune.fi.it)
Il Sindaco Dario Nardella stesso ha presenziato l'inaugurazione palesando l'emozione nel “Poter quasi toccare gli affreschi di solito visti solamente dal basso verso l’alto" Nei prossimi mesi visitatori e turisti potranno approfittare di questa opportunità davvero unica. L’alternativa, ovvero chiudere la Cappella Brancacci per tutto il tempo del restauro sarebbe stato un grave danno, soprattutto dopo il prolungato periodo di lockdown .
La Presidente dei Friend of Florence, Simonetta Brandolini d’Adda, sottolinea come Dan Pritzker della Jay Pritzker Foundation, Janet e Jim Dicke II, Peter Fogliano e Hal Lester Foundation donatori di Friends of Florence da anni tutti sostenitori dei Friends of Florence abbiano reso possibile questo intervento, consapevoli dell’importanza che la Cappella Brancacci ha per la cultura fiorentina, italiana e internazionale. Naturalmente un impegno particolare da parte dell'Opicicio di Pietre Dure della Soprintendenza e del Cnr-Isp di Firenze daranno il loro essenziale apporto all'operazione che prevede anche una migliore conservazne del prezioso e bellissimo ciclo di affreschi.
Il restauro
L’ultimo restauro della Brancacci risale agli anni Ottanta e io personalmente mi ricordo allora di essere eccezionalmente salito sui ponteggi, non certo comodi e allestiti come quelli odierni, per assaporare oltre al restauro a quello che allora pareva un evento e cioè mettere a nudo l'Adamo ed Eva del Masaccio e quelli del Masolino coperti da foglie nel '600 periodo in cui ne nudità in periodo di controriforma parevano molto sconvenienti (basti pensare a Daniele da Volterra soprannominato poi Braghettone perche mise le "mutande" ai nudi della Cappella Sistina dipinti da Michelangelo). Nel novembre 2020 la Cappella è stata sottoposta a un primo monitoraggio che aveva messo in luce alcune criticità dal punto di vista della conservazione e la necessità di stabilizzare alcuni potenziali fenomeni di deterioramento presenti sul ciclo pittorico di Masolino, Masaccio e Filippino Lippi (distacchi dell’intonaco, localizzate perdite di coesione, depositi superficiali incoerenti) oltre che eseguire un generale controllo sulla stabilità dell’intero ciclo pittorico il cui ultimo restauro risale a oltre trenta anni fa.
Grazie all’attuale cantiere è oggi possibile svolgere una nuova campagna diagnostica, più approfondita ed esaustiva della precedente, con le più aggiornate tecniche e le migliori competenze disponibili sul panorama internazionale grazie alla collaborazione tra SABAP, CNR e OPD. Le tecniche utilizzate, completamente non-distruttive, consentiranno di conoscere approfonditamente i materiali utilizzati, le tecniche pittoriche e le fenomenologie di alterazione/degrado, informazioni indispensabili per una corretta pianificazione dell’intervento di restauro.
Allo stato attuale sono in corso indagini di imaging fotografico nelle varie bande dello spettro elettromagnetico, dal visibile all’infrarosso, in alta definizione e a luce radente, finalizzate a identificare le aree con anomalie altrimenti impercettibili ad una ispezione visiva. Le attività immediatamente successive sono mirate ad aumentare il livello di dettaglio conoscitivo sui particolari identificati nella fase diagnostica precedente. Il processo di approfondimento conoscitivo seguirà uno schema iterativo fino a quando tutto sarà chiaramente interpretato. La scheda risultante sullo stato di salute degli affreschi e dell’apparato murario della cappella che li ospita sarà la base per i controlli degli anni successivi.
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Carlo Biancalani
Alessandro Cecchi
Il Decoro Cittadino: un esempio del XIX secolo
Fra le carte conservate in Casa Buonarroti e ritenute degne di essere incorniciate, vi è un documento che riveste un particolare interesse per la storia della tutela e attesta la politica illuminata di Leopoldo II, l’ultimo granduca della famiglia Asburgo Lorena (soprannominato affettuosamente ‘Canapone’ dai Grossetani per il colore chiaro dei capelli Fig. 1), e quanto avesse a cuore il patrimonio della nazione, anche quello diffuso sul territorio.
L’attenzione del sovrano, costretto nel 1859 a prendere la via dell’esilio per l’annessione della Toscana al Regno sabaudo, si rivolse, questa volta, alla difesa e salvaguardia dei tabernacoli e degli arredi viari del Granducato, regolamentata da un Decreto ‘ad hoc’, promulgato il 16 aprile 1854.
Ma leggiamolo insieme:
«Noi Leopoldo secondo / per la grazia di Dio / Principe Imperiale d’Austria / Principe Imperiale d’Ungheria e di Boemia / Arciduca d’Austria / Granduca di Toscana ec. ec.ec.
Volendo efficacemente provvedere alla conservazione degli oggetti d’Arte, sia di Pittura che di Scultura e di Plastica esternamente esistenti tanto nei pubblici che nei privati Edifizi, e che debbono ritenersi o come destinati al pubblico ornato, o come esposti alla pubblica venerazione;
Sentito il Nostro consiglio dei Ministri abbiamo decretato e decretiamo quanto appresso:
Art. 1. Senza il preventivo permesso del Governo rimane vietata la remozione, distruzione o abolizione di qualunque oggetto d’Arte, sì di pittura, come di scultura e plastica, che esista esposto alla pubblica vista, comunque chiuso in Tabernacolo, nei muri esterni di qualunque casa, palazzo o altro edifizio sia privato, come pubblico. E se questi oggetti consisteranno in Immagini Sacre, sarà inoltre necessaria la preventiva licenza del rispettivo Ordinario.
Art. 2. I Contravventori alla disposizione di che nel precedente Articolo incorreranno in una multa da dugento a duemila lire, ed inoltre perderanno la proprietà dell’oggetto di cui sia soltanto avvenuta la remozione, il quale sarà ricollocato al posto, ove ciò sia possibile, o altrimenti sarà depositato in un pubblico Stabilimento di Belle Arti, ovvero secondo i casi, in qualche Chiesa, od in qualche Oratorio.
Art. 3. La cognizione di queste trasgressioni spetterà ai Tribunali Ordinari secondo le competenze fissate dalle Leggi veglianti.
Art. 4. I Nostri Ministri Segretari di Stato per i Dipartimenti dell’Interno, della Giustizia e Grazia, e della Istruzione pubblica sono incaricati, ciascuno per quanto gli spetta, della esecuzione del presente Decreto.
Dato li sedici Aprile milleottocentocinquantaquattro.
Leopoldo
Visto: Il Presidente del Consiglio dei Ministri G. Baldasseroni
Visto: Il Ministro Segretario di Stato per il Dipartimento dell’Interno L. Landucci
Visto: Il Ministro Segretario di Stato per il Dipartimento di Giustizia e Grazia N. Lami
Visto: Il Ministro Segretario di Stato per il Dipartimento della Istruzione Pubblica C. Buonarroti
Tondo con le iniziali L. e S.
Visto per l’apposizione del Sigillo: Il Ministro Segretario di Stato per il Dipartimento di Giustizia e Grazia N.Lami
La presenza di questo documento fra le carte dell’Archivio Moderno Buonarroti, purtroppo gravemente lacunoso per la parte sette e ottocentesca per i trascorsi turbolenti di Filippo Buonarroti ‘il rivoluzionario’, si spiega col fatto che fra i Ministri che apposero il loro visto al provvedimento, figura anche Cosimo Buonarroti, allora Ministro della Istruzione Pubblica, una carica che rivestiva dal luglio del 1852 e che avrebbe mantenuto fino alla morte, sopraggiunta sei anni dopo. Lo vediamo (fig.2), in abito di Cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano, nel busto marmoreo realizzato dallo scultore Aristodemo Costoli intorno al 1846, che fa ancor oggi bella mostra di sé nella ‘Camera degli Angioli’, l’antica Cappella del palazzo di Via Ghibellina, con quello della moglie Rosina Vendramin (fig.3), morta prematuramente di colera nel 1856 all’età di soli 42 anni.
Il ruolo di Cosimo nella promulgazione di questo Decreto da parte del Granduca non dovette limitarsi alla sola esecuzione delle sovrane disposizioni, come per gli altri Ministri Giovanni Baldasseroni, Presidente del Consiglio, Leonida Landucci, Ministro dell’Interno Niccolò Lami, titolare del dicastero di Giustizia e Grazia. E’ ipotizzabile che Cosimo, da sempre fedele servitore dello Stato e nelle grazie del granduca, lo abbia consigliato e indirizzato nell’emanazione di un provvedimento di tutela necessario e inderogabile, teso ad evitare la dispersione e la distruzione di un patrimonio fragile e a rischio, come quello degli arredi viari, e in particolare, dei tabernacoli, presenti, in gran numero nel Quartiere di Santa Croce già minacciato da sempre, per la sua conservazione, dall’esposizione plurisecolare alle intemperie. Qui (fig.4) vediamo il monumentale Tabernacolo delle Stinche, eretto nel 1616 sull’angolo di quello che fu l’antico carcere di Firenze, fra le vie Ghibellina e dell’Isola delle Stinche, ad ospitare l’affresco di Giovanni da San Giovanni raffigurante il senatore Girolamo Novelli che paga il riscatto di un carcerato, adempiendo così ad una delle sette Opere di Misericordia.
Che l’ultimo dei Buonarroti Simoni fosse ben consapevole dell’importanza di un’azione efficace di tutela del patrimonio privato e pubblico, da consegnare alle future generazioni, lo dimostra, del resto, un gesto munifico come il suo, quando chiese e ottenne dal granduca nel 1857, di erigere la Galleria Buonarroti in Ente Morale, vincolando così alla collettività lo storico palazzo di Via Ghibellina, costruito nella prima metà del Seicento dal suo antenato Michelangelo Buonarroti il Giovane, e le collezioni di famiglia, costituite ‘in primis’ dai due rilievi giovanili di Michelangelo della Madonna della Scala e della Battaglia dei Centauri (fig.5), dal consistente nucleo dei disegni del sommo artista, ben 200, con capolavori quali la finitissima Cleopatra donata da Michelangelo all’amico Tommaso de’ Cavalieri, estorta a quest’ultimo dal duca Cosimo I de’ Medici e ‘restituita’ ai Buonarroti nel 1616 dal granduca Cosimo II e dal non meno importante archivio Buonarroti, col suo corredo prezioso di carte autografe, che vanno dal nutrito carteggio con familiari, amici e committenti alla produzione poetica, a rischio altrimenti di vendita e dispersione, come già avvenuto in passato, ad opera dei predecessori di Cosimo in generale e del padre Filippo il rivoluzionario in particolare, in specie per i disegni, diversi dei quali fanno parte oggi delle maggiori collezioni straniere, dal Louvre al British Museum di Londra.
- 1 Leopoldo II
- 2) Cosimo Buonarroti
3) Rosina Vendramin
Fig. 4 Tabernacolo delle Stinche in Via Ghibellina
Fig. 5 Battaglia dei Centauri
Fino al 30 gennaio!
Non perdere l'occasione di scoprire da vicino Jeff Koons, una delle figure più importanti e celebrate dell’arte contemporanea a livello globale.
*Palazzo Strozzi ospita, appunto fino al 30 gennaio, *
una delle più grandi esposizioni mai realizzate sull’artista statunitense che copre quarant’anni di carriera, declinati attraverso il tema dello “shine”, del bagliore, del riflesso che accoglie lo spettatore.
Curata da Arturo Galansino e Joachim Pissarro, la mostra ospita 33 capolavori di uno dei protagonisti dell’arte contemporanea a livello globale, con prestiti provenienti dalle più importanti collezioni e dai maggiori musei del mondo.
Inizia così l’ultima spinta promozionale di questa mostra di Arte contemporanea a Palazzo Strozzi.
Premesso che dovremmo conoscere meglio Jeff Koons forse questo ci può aiutare:
A)
Prima di diventare il celebre il celebre artista internazionale Jeff Koons aveva iniziato a lavorare nel mondo della finanza come agente di borsa a Wall Street e per il MoMa, il Musem of Modern Art di New York, come responsabile relazioni sostenitori e partnership. Lo scopo di questi lavori però era quello di finanziare la realizzazione delle sue prime opere e iniziare così ad esporre la propria arte: il successo fu pressoché immediato, soprattutto grazie anche alle numerose conoscenze che Koons aveva potuto instaurare durante il periodo lavorativo al MoMa, e riesce a raggiungere fin da subito quotazioni stellari nel mercato dell’arte;
B)
Nel 1991 Jeff Koons convola a nozze con la pornostar Ilona Staller e proprio in quegli anni realizza la serie “Made in Heaven”, nella quale l’artista rappresenta varie performance sessuali con la moglie, svolte in ambienti naturali quasi eterei;
C)
La celeberrima serie “Celebration” , di cui fanno parte i famosi Ballon Animals (soprattutto le 5 versioni in 5 colori diversi dei Ballon Dog) e tutti gli oggetti tipici del mondo dei giochi, delle vacanze e delle feste per bambini, nasce proprio perché, dopo la fine del matrimonio con la Staller, Koons cercherà, purtroppo invano, di ottenere l’affidamento del figlio Ludwig: la serie diventa per l’artista un modo per connettersi con il mondo del figlio e riuscire così a trasmettergli il suo affetto anche a distanza;
D)
Jeff Koons detiene il record di arista più pagato al mondo grazie al suo “Rabbit” (opera del 1986 realizzata con un calco in acciaio inossidabile) che è stata battuta in asta da Christie’s a maggio 2019 per la cifra da capogiro di 91,1 milioni di dollari;
E)
Nel 2001 il presidente della Repubblica francese Jacques Chirac nomina Jeff Koons ‘Chevalier de la Légion d’Honneur’, una delle più alte onorificenze conferite dallo stato francese;
F)
Nel 2011 Koons collabora con la celebre piattaforma statunitense Snapchat per la creazione di uno speciale filtro che permette di posizionare virtualmente le sue opere più famose in ogni spazio. In questo modo rende accessibile a tutte le persone la loro libera fruizione, fino quasi a poter toccare virtualmente con la mano alcune delle sue opere senza dover per forza entrare in un museo o pagare il biglietto per una sua mostra;
G)
Nel 2013 collabora con la celebre popstar Lady Gaga per la realizzazione della cover dell’album “Artpop”: in questa occasione Koons realizza una statua di cera raffigurante la cantante che viene poi rappresentata sulla copertina dell’album;
H)
Il 2014 è l’anno della consacrazione museale: infatti, il Whitney Museum di New York lo celebra con una grande retrospettiva che, a partire dal 2015, viene trasferita prima al Centro Georges Pompidou di Parigi e, in seguito, anche al Guggenheim di Bilbao, con un enorme successo di pubblico e critica;
I)
La critica sembra ormai unita nel celebrare Jeff Koons come erede di Andy Warhol. Infatti, come aveva fatto negli anni Sessanta il re della Pop Art, Koons porta in auge e rende protagonisti delle sue opere gli oggetti della vita di tutti i giorni, quegli oggetti monotoni e normali che tutti possono riconoscere e in cui tutti possono rivedersi, portandoli così ad un “livello superiore”, donandogli l’aura di opera d’arte. In poche parole, l’obbiettivo principale di Koons, come lo era stato per Warhol, è quello di infrangere il confine tra la cultura “alta” e la cultura “popolare ”;
L)
Koons è anche denominato il “Re del Kitsch”, in quanto predilige come icone nelle sue opere alcuni oggetti solitamente ritenuti brutti, di cattivo gusto. Rendendoli protagonisti delle sue opere, Koons ne fa prevalere il lato emotivo, legato ai ricordi di infanzia, caricandoli così di una fortissima carica emotiva più che estetica.
Foto Koons fotografato con una sua installazione nel cortile di Palazzo Strozzi a Firenze dove si tiene la mostra “Shine”.
Personalmente ho trovato divertente la mostra “Shine” pronta ad avvicinare i bambini (anche il bambino che è in noi) che ti stupisce a volte e poi, dopo, a freddo, lascia ai bambini il divertimento che da una giostra, è un capogiro che per noi adulti sono le riflessioni! Ma l’Arte è questo!
Qui si scontrano le menti e i pensieri del creatore del gioco o del comunicatore, se non lo vogliamo chiamare artista e del pubblico. Per molti è un designer, un pubblicitario esperto in marketing, uno che “ci sa fare” per altri è addirittura innominabile come artista, per altri ancora è un genio è un artista se concettualmente si dà un senso o un altro alla parola Arte!
La storia insegna e deciderà. Personalmente non so se è un nuovo Andy Warhol o un Picasso contemporaneo oppure un Fontana.
Io sono ancora legato alle rappresentazioni tradizionali (conservatrici) però, come ho imparato, il tempo decide.
Meglio Carreras o Baglioni, meglio jazz o classica? Meglio il cinema, la fotografia o la pittura? Prendiamo questo esempio di comunicazione e viviamola nel qui ed ora e ognuno ci pensi su. Se ci ha lasciato dentro qualcosa, fosse solo la bellezza o la riflessione o la curiosità sarà stata forse utile, altrimenti sarà stata il vuoto.
Carlo Biancalani
Il restauro della Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo (Pietà Bandini)
Fino alla fine di marzo 2022 l’occasione unica di vedere la Pietà salendo sul cantiere di restauro.
Anche questo restauro e tutte le analisi diagnostiche è stato possibile grazie alla donazione della Fondazione non profit Friends of Florence e la Presidente Simonetta Brandolini d’Adda ha detto che per il restauro di quest’opera ha ricevuto molte offerte dall’estero.
Il restauro della Pietà di Michelangelo dell’Opera del Duomo, nota come Pietà Bandini prima nel Duomo di Santa Maria del Fiore ma da tempo nel Museo dell’Opera del Duomo, è iniziato nel novembre 2019, interrotto più volte durante la pandemia da Covid 19, il restauro è stato un’occasione unica per comprendere la complessa storia dell’opera, le varie fasi di lavorazione e la tecnica scultorea utilizzata. Un intervento che restituisce al mondo la bellezza di uno dei capolavori più intensi e tormentati di Michelangelo, liberato dai depositi superficiali docuti a molte cause (calchi di gesso, cera, affumicamenti da candele e polvere) che ne alteravano fortemente la leggibilità dell’eccezionale plasticità e la cromia. L’obiettivo del restauro, è stato quello di raggiungere una lettura uniforme ed equilibrata dell’opera, riproponendo l’immagine della Pietà, scolpita in un unico blocco, come probabilmente pensata in origine da Michelangelo. Grazie alla scelta di realizzare un cantiere di restauro “aperto” i visitatori del Museo dell’Opera del Duomo hanno potuto vedere il restauro in corso d’opera. In via eccezionale, per i prossimi 6 mesi, dal 25 settembre 2021 al 30 marzo 2022, l’Opera di Santa Maria del Fiore ha deciso di lasciare il cantiere per permettere al pubblico, con delle visite guidate, di vedere da vicino e in un modo unico e
Le quattro figure che compongono l’opera, tra le quali l’anziano Nicodemo a cui l’artista ha dato il suo volto, sono scolpite in un blocco di marmo, alto 2 metri e 25 centimetri, del peso di circa 2.700 kg. Le indagini diagnostiche hanno portato alla scoperta che si tratta di un marmo proveniente dalle cave di Seravezza (LU) e non di Carrara, come ritenuto fino ad oggi. Una scoperta significativa perché le cave di Seravezza erano di proprietà medicea e Giovanni de’ Medici, futuro Papa Leone X, aveva ordinato a Michelangelo di utilizzarne i marmi per la facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze e di aprire una strada per trasportarli al mare. Come mai questo enorme blocco di marmo fosse nelle disponibilità di Michelangelo a Roma, quando scolpisce la Pietà tra il 1547 e il 1555, rimane però un mistero. Sappiamo anche che Michelangelo non era soddisfatto della qualità di questi marmi (non era infatti il bianco statuario delle cave di Carrara) perché presentavano venature impreviste e microfratture difficili da individuare dall’esterno. Grazie al restauro è stato possibile confermare, per la prima volta, che il marmo utilizzato per la Pietà era effettivamente difettoso e quindi anche duro e difficile da lavorare, come racconta anche il Vasari nelle “Vite” descrivendolo pieno d’impurezze e che “faceva fuoco” a ogni colpo di scalpello. Sono, infatti, emerse tante piccole inclusioni di pirite nel marmo che colpite con lo scalpello avrebbero certamente fatto scintille, ma soprattutto la presenza di numerose microfratture, in particolare una sulla base che appare sia davanti che dietro, e che fa ipotizzare che Michelangelo incontrandola mentre scolpiva il braccio sinistro di Cristo e quello della Vergine, sia stato costretto ad abbandonare l’opera per l’impossibilità di proseguire il lavoro. Un’ipotesi più credibile di quella di un Michelangelo che oramai anziano, scontento del risultato, abbia tentato in un momento di sconforto di distruggere la scultura a martellate e delle quali il restauro non ha individuato traccia, a meno che Tiberio Calcagni suo collaboratore poi intervenuto per completare la Maddalena non ne abbia cancellato i segni.
Quello da poco concluso può essere considerato il primo restauro della Pietà fiorentina, in quanto le fonti non riportano particolari interventi avvenuti in passato, se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo, entro il 1565. Nell’arco di oltre 470 anni di vita, durante i numerosi passaggi di proprietà e le traumatiche vicende storiche (il gruppo marmoreo venne venduto ad un collezionista romano e poi acquistato dal Granduca Cosimo III de’ Medici nel 1671 che lo fece trasferire a Firenze prima in san Lorenzo e poi in Duomo), la Pietà è stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che però non risultano documentati. Sulla Pietà di Michelangelo non erano presenti patine storiche, a eccezione di alcune tracce riscontrate sulla base della scultura. Molti, invece, i depositi superficiali, a partire dalla presenza di elevate quantità di gesso, residui del calco eseguito nel 1882, che aveva lasciato un vistoso candore e un’eccessiva aridità sulle superfici. Per ovviare a questo sgradevole effetto, sopra i residui di gesso erano state applicate, ripetutamente e nel corso del tempo, delle cere. Il naturale processo d’invecchiamento delle cere, miste a depositi di polvere, soprattutto sulle pieghe delle vesti e sui rilievi del modellato, in evidente contrasto con i sottosquadri rimasti più chiari, rendevano la superficie ambrata e cromaticamente squilibrata.
La Pietà dell’Opera del Duomo a Firenze, carica di vissuto e sofferenza, è una delle tre realizzate dal grande artista. A differenza delle altre due - quella giovanile vaticana e la Rondanini- il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato il proprio volto. Particolare confermato anche dai due biografi coevi all’artista, Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, grazie a cui sappiamo anche che la scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, ai cui piedi l’artista avrebbe voluto essere sepolto.
Michelangelo scolpisce la Pietà dell’Opera del Duomo nota come pietà Bandini tra il 1547 e il 1555, quando aveva circa settantacinque anni. Michelangelo non termina la scultura e la dona al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vende al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi, il quale la colloca nel giardino della sua villa romana a Montecavallo. Nel 1649, gli eredi Bandini la vendono al cardinale Luigi Capponi che la porterà nel suo palazzo a Montecitorio a Roma e quattro anni dopo nel Palazzo Rusticucci Accoramboni. Il 25 luglio 1671, il pronipote del cardinale Capponi, Piero, la vende a Cosimo III de Medici, Granduca di Toscana, su mediazione di Paolo Falconieri, gentiluomo alla corte fiorentina. Dopo tre anni di ulteriore permanenza a Roma, per le difficoltà incontrate nel trasportarla, nel 1674 la Pietà è imbarcata a Civitavecchia, raggiunge Livorno, e da lì, lungo l’Arno, arriva a Firenze, dove viene posta nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo. Vi rimarrà fino al 1722, quando Cosimo III la farà sistemare sul retro dell’altare maggiore della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Nel 1933, il gruppo scultoreo viene spostato nella Cappella di Sant’Andrea per renderla più facilmente visibile. Dal 1942 al 1945, per proteggerla dalla guerra, la Pietà è messa al riparo in Duomo. Nel 1949, l’opera ritorna nella Cappella di Sant’Andrea in Cattedrale, dove rimarrà fino al 1981, quando sarà spostata nel Museo dell’Opera del Duomo. La decisione di trasferirla al Museo è motivata dalla necessità di non arrecare disturbo al culto per la grande affluenza di turisti e per ragioni di sicurezza (nel 1972 era stata vandalizzata la Pietà vaticana). Dalla fine del 2015, nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo, la Pietà è posta al centro della sala intitolata Tribuna di Michelangelo, su un basamento che rievoca l’altare a cui era destinata.foto. Il gruppo statuario Nicodemo (autoritratto scultoreo del Buonarroti)
Presidente Friends of Florence
nota......Peccato che non si possano restaurare le città invece che le loro singole opere. Penso a Firenze dove la città vuole cercare di essere nuova e perfetta ma mancano le cose più importanti e difficilmnte restaurabili le persone che ci vivono e che la rendono unica. Il turismo, una fonte di ricchezza e lavoro per molti ma che purtroppo, nelle attuali condizioni, visto quanto inquina (spostamenti, consumi, ecc.) ha un futuro incerto!
ndr non credo che sia opportuno pubblicare la mia nota ma è quanto sempre più percepisco.
Un saluto a tutti
Carlo Biancalani
La Mostra di Giuseppe Penone agli Uffizi
Non avrei mai pensato di ricredermi sulle opere di Giuseppe Penone dopo l’installazione al centro della nostra bellissima Piazza della Signoria del grande Albero dell’Artista,
Come penso la maggior parte dei fiorentini quell’albero giusto in mezzo alla piazza mi disturbava, sia per l’opera in se stessa sia perché cozzava col mio senso estetico che trovavo offeso da quell’oggetto che in qualche modo mi parava la visuale della piazza senza nulla se non le opere che già sovrabbondano in ogni lato: palazzi, fontane, monumenti di grande artisti senza considerare quella magnifica galleria all’aperto che è la Loggia dei Lanzi.
Dopo aver visto le opere di Giuseppe Penone esposte all’interno degli Uffizi ho scoperto che tutto aveva un senso.
Le opere ben collocate nella Galleria e al piano inferiore nel Gabinetto di Disegni e Stampe mi hanno fatto scoprire un’anima che invece non riuscivo prima a percepire.
L’anima di chi ama la natura, il legno e sopratutto gli alberi.
Ne sono davvero uno stupefacente esempio alcune opere che rimangono impresse e che personalmente mi hanno comunicato poesia, amore, senso del silenzio, dello spazio, dell’aria e tante altre sensazioni che ben si amalgamavano alle statue romane e ad altre grandi opere che sono li presenti da centinaia di anni.
Alcuni allestimenti, come per esempio quello prodotto per la stanza dell’Ermafrodita paiono addirittura essere vive, comunicare allo spettatore il respiro delle foglie.
Difficile spiegare le sensazioni provate anche di fronte a tronchi scavati e amorevolmente lavorati dove grazie al lavoro dell’artista compaiono figure da studiare da leggere,
Ancor di più la parte esposta nella Gabinetto di Disegni e Stampe, un drappo dipinto disteso per tutta la lunghezza della sala, forse più di 20 metri con riflessioni che paiono il racconto dell’albero stesso e ancora delle gigantografie grafiche dove a rilievo vere spine di acacia sono pazientemente state inserite una ad una per formare un grande disegno naturale, veramente impressionante.
Non aggiungo altro se non quello che Penone ha detto sugli alberi che per lui sono la fonte di ispirazione, con i quali in qualche modo parla e che raccontano le loro storie, La Storia in realtà di ognuno di loro narrata con i nodi, i rami, le foglie, le soste la natura che li circonda, la musica o il clima.
Vorrei riuscire a comunicare di più ma non credo di esserne capace ma invito i fortunati che si recheranno agli Uffizi ad osservare con attenzione questi lavori.
Carlo Biancalni
BOBOLI - LA FONTANA DELLE SCIMMIETTE
Alla sommità di Boboli, il prototipo dei giardini all’Italiana, di fronte alla palazzina dove vi è il Museo della Porcellana (temporaneamente chiuso)si apre un magnifico e panoramico giardino che non può lasciare indifferenti.
A centro del giardino una fontana detta delle scimmiette. Il putto pescatore e le tre scimmiette da oggi fanno di nuovo zampillare l’acqua. Un anno di lavori, suddivisi in due fasi: la prima per ripristinare il funzionamento dell’impianto idrico di adduzione e scarico delle acque; la seconda dedicata al restauro delle parti in marmo bianco di Carrara e in bronzo della vasca ottagonale, le cui pareti sono state pulite ed impermeabilizzate.
Da oggi l’acqua è tornata a sgorgare dalla bocchetta nelle mani del putto che sormonta la vasca, dalla vasca stessa e dalla bocca di una delle tre scimmie, opera dello scultore vicentino Camillo Mariani (Vicenza, 1567 – Roma, 1611).
La fontana è stata realizzata intorno al 1830, assemblando elementi realizzati da vari scultori in epoche diverse. Le scimmie in bronzo alla base erano state realizzate per Francesco Maria II della Rovere, duca di Urbino - al cui servizio il Mariani era entrato nel 1595 – e destinate a una fontana di Villa Miralfiore a Pesaro. Da qui vennero portate a Firenze nella villa di Poggio Imperiale da Vittoria della Rovere dopo il suo matrimonio con Ferdinando II de’ Medici. Nel programma decorativo della villa di Pesaro, che il Duca di Urbino considerava un luogo di ritiro dalla vita pubblica, la presenza delle scimmie si spiegava non tanto come rimando al vizio, alla sfrenatezza o alla sciocca imitazione di suoni e gesti, ma come meraviglia esotica e come celebrazione del rapporto armonico con la natura e le sue curiosità.
Carlo White
Omaggio a Dante
Numerose sono le iniziative che ricorderanno il genio toscano con un fitto calendario, anche online. Una ricorrenza che quest’anno è anche più sentita, dal momento che cade nell’anno del Settecentenario della morte dell’Alighieri, avvenuta a Ravenna il 14 settembre 1321. Istituzioni culturali e museali, atenei, accademici, scuole e studenti hanno perciò organizzato un fitto programma.
Quattro visite guidate il venerdì pomeriggio, dall’11 giugno al 2 luglio, e visite straordinarie le mattine di sabato 26 e domenica 27 giugno: sei appuntamenti dedicati alla scoperta del poeta fiorentino e alla precocissima fortuna dell’Alighieri a Firenze, nell’anno in cui si celebra il settimo centenario della sua morte. Dopo il successo dei laboratori gratuiti “Dante per tutti” (fino al 7 agosto) per i bambini e ragazzi, realizzati grazie ad un contributo della Fondazione CR Firenze (che ha anche sostenuto la realizzazione della mostra), e dedicati alla scoperta di Dante e della Firenze del Trecento, si amplia l’offerta culturale per i visitatori del Museo Nazionale del Bargello, in occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri, #Dante2021
Dall’11 giugno al 2 luglio, durante le aperture pomeridiane straordinarie, si terranno visite guidate gratuite alla mostra «Onorevole e antico cittadino di Firenze». Il Bargello per Dante.
Per quattro venerdì, alle ore 16, sarà possibile visitare il Museo Nazionale del Bargello alla scoperta della prima esposizione fiorentina dedicata all’Alighieri, l’unica che ricostruisce il rapporto tra Dante e Firenze, dagli anni immediatamente successivi alla morte del poeta fino agli anni Cinquanta del Trecento. Il percorso guidato da operatori professionisti di Opera Laboratori per un massimo di 12 persone (disponibilità fino ad esaurimento posti) munite di regolare biglietto del Museo, con punto di ritrovo nel cortile del Bargello, sarà svolto in totale sicurezza.
Sabato 26 giugno alle ore 9 e poi alle ore 11 sono in programma due visite straordinarie, dedicate alla mostra «Onorevole e antico cittadino di Firenze». Il Bargello per Dante, a cura di Teresa De Robertis, professore di paleografia dell’Università di Firenze, tra i curatori della mostra.
Domenica 27 giugno sempre alle ore 9 e alle ore 11 ad accogliere i visitatori, ci sarà un altro curatore della mostra, Luca Azzetta, professore di Filologia dantesca dell’Università di Firenze. Anche le visite dei curatori saranno riservate ad un massimo di 12 persone (disponibilità fino ad esaurimento posti), con ritrovo nel cortile del Bargello.
Il Museo Nazionale del Bargello è luogo dantesco per eccellenza a Firenze e sede ideale per la mostra «Onorevole e antico cittadino di Firenze». Il Bargello per Dante che ripercorre il complesso rapporto tra Dante e la sua città natale: nella Sala dell’Udienza dell’allora Palazzo del Podestà (oggi Salone di Donatello), il 10 marzo 1302, il sommo poeta venne condannato all’esilio perpetuo; nella Cappella del Podestà, solo pochi anni dopo (tra il 1333 e il 1337), Giotto, con la sua scuola, impostava il suo ultimo capolavoro pittorico, ancora poco noto al grande pubblico, e ritraeva per la prima volta il volto di Dante, includendolo tra le schiere degli eletti nel Paradiso. Ancora oggi nella Cappella fa mostra di sé il ritratto, prima effigie nota del padre della lingua italiana, parte integrante del percorso della mostra e oggetto di un recente intervento di diagnostica e manutenzione conservativa a cura dell’OPD. Nel percorso espositivo tra il pianterreno e il primo piano del museo potranno essere apprezzati oltre cinquanta tra manoscritti e opere d’arte provenienti da biblioteche, archivi e musei di assoluto prestigio internazionale – dalla Galleria dell’Accademia di Firenze, alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, alla Biblioteca Medicea Laurenziana e alla Biblioteca Riccardiana, – enti co-promotori della mostra– dalla Biblioteca Apostolica Vaticana alla Biblioteca Trivulziana di Milano, e ancora dalla Bibliothèque nationale de France di Parigi, all’Archivo y Biblioteca Capitulares di Toledo e al Metropolitan Museum of Art di New York. Si tratta di opere di copisti, miniatori, commentatori, lettori, volgarizzatori, le cui vicende professionali e umane si intrecciano fittamente, restituendo l’immagine di una Firenze che sembra essersi trasformata in uno scriptorium diffuso, al centro del quale campeggia la Divina Commedia.
Inoltre, si segnalano …in alternativa al Sommo Poeta …
Otto aperture straordinarie del Giardino di Boboli del 7 e 28 giugno, 5 e 26 luglio, 2 agosto, 27 settembre e 4 e 25 ottobre dalle ore 10,30 alle 18,30 (ultimo ingresso un'ora prima della chiusura).
Ricordiamo, infine, l’iniziativa Boboli Giardino letterario. Le visite guidate gratuite in lingua italiana e inglese incluse nella tariffa del regolare biglietto di ingresso a Boboli che fino alla fine di giugno permetteranno di ripercorrere le orme di scrittori del passato che hanno deciso ambientare le loro opere nel più famoso giardino di Firenze.
Per aderire all’iniziativa è necessario prenotare, entro il venerdì antecedente la data scelta, scrivendo un’email a: ga-uff.eventiboboli@beniculturali.it
I gruppi, massimo 10 persone per data, seguiranno l’ordine di ricevimento delle mail. L’appuntamento per l’inizio della visita, della durata di circa due ore, è presso il portone centrale di Palazzo Pitti.
5/6/2021 Carlo Biancalani:
IMPERATRICI, MATRONE, LIBERTE’: LA MOSTRA DEGLI UFFIZI SULLA DONNA NELL’ANTICA ROMA ‘TRASLOCA’ ONLINE E DIVENTA TOUR VIRTUALE
Aperta all’inizio dello scorso novembre, aveva dovuto chiudere dopo appena un giorno a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia; da oggi è la prima mostra delle Gallerie in assoluto ad essere offerta in formato visita digitale (gratuita e liberamente accessibile da tutti, via computer e smartphone)
Aveva avuto appena il tempo di essere inaugurata, all’inizio dello scorso novembre: poi, dopo appena un giorno, le restrizioni rese necessarie dalla pandemia ne avevano imposto la chiusura, insieme a quella di tutte le Gallerie degli Uffizi. Ma ‘Imperatrici, matrone, liberte’, la mostra archeologica sulla figura e il ruolo della donna nell’antica Roma (circa 30 sculture, allestite nella sala Detti e la Sala del Camino al piano ammezzato della Galleria delle Statue e delle Pitture, con la curatela di Novella Lapini e la supervisione del responsabile Antichità Fabrizio Paolucci) può di nuovo essere ammirata da tutti, gratuitamente, anche a museo chiuso: l’esposizione è infatti stata completamente digitalizzata in alta definizione ed è da oggi possibile farne un vero e proprio tour virtuale sul sito del museo, uffizi.it (https://www.uffizi.it/mostre-virtuali/imperatrici-matrone-liberte), liberamente accessibile da computer e smartphone. Si tratta della prima mostra in assoluto resa visitabile online dalle Gallerie in questa modalità. Prima d’ora erano stati realizzati altri due tour virtuali, ma di diversa tipologia: il primo ha riguardato i nuovi allestimenti delle sale del Cinquecento fiorentino e veneziano al primo piano del museo, inaugurati nel 2019, mentre il secondo, a partire da febbraio, ha messo a disposizione una esperienza digitale nei suggestivi spazi della Grotta del Buontalenti nel Giardino di Boboli.
Adesso, oltre a poter accedere in prima persona all’esposizione archeologica con un semplice tocco di mouse, sarà anche possibile zoomare su tutti i dettagli delle opere e visualizzare didascalie ed informazioni aggiuntive, sia in italiano che in inglese; non solo, grazie ad una nuova funzionalità, si potrà collegarsi direttamente alla scheda tecnica completa dell’opera negli archivi del sito del museo.
LA MOSTRA
Potenti. Determinate. Discusse. Indipendenti. Ribelli. E molto altro ancora. Le donne romane dell’età imperiale, con le loro storie, i loro segreti, le loro battaglie di emancipazione civile, politica ed economica: sono loro le assolute protagoniste della mostra “Imperatrici, matrone, liberte” allaGalleria degli Uffizi. Si tratta di circa trenta opere provenienti dalla ricca collezione archeologica del complesso museale: tra queste, anche le splendide sculture di Agrippina Minore, celeberrima madre di Nerone, o di Domizia Longina, chiacchierata sposa di Domiziano.
L’itinerario è ampliato da importanti prestiti del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, che con alcune preziose monete d’oro di epoca romana consente di osservare dall’interno il ruolo femminile nella propaganda della casa imperiale, e dalla Biblioteca Nazionale Centrale del capoluogo toscano, i cui codici cinquecenteschi dialogano in mostra con i disegni della stessa epoca conservati al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, mostrando le diverse raffigurazioni delle antiche epigrafi presenti in mostra.
La narrazione, articolata in tre sezioni, permette di seguire la vita delle donne romane nei primi due secoli dell’Impero (dagli inizi del I alla seconda metà del II secolo d.C.), soffermandosi sui modelli positivi e negativi incarnati dalle imperatrici e dalle donne di spicco della casa imperiale e mettendo in risalto i possibili ruoli pubblici al femminile, ma si concentra anche su affascinanti storie di vita quotidiana di matrone e liberte. Così, è possibile incontrare Giunia Atte, prima schiava e poi liberta sposata al suo patrono, vittima, probabilmente sotto il regno di Domiziano, di una vera e propria maledizione scagliatale dal marito, abbandonato dopo la morte della figlia comune: le terribili parole spese contro di lei sono iscritte sulla ara dedicata alla fanciulla. Oppure Pompeia Trebulla, potente matrona dell’élite di Terracina che, circa quarant’anni prima, sotto l’imperatore Claudio, era in grado di far restaurare a sue spese il tempio dedicato a Tiberio ed alla madre Livia, ponendo così il suo nome accanto a quello degli Augusti in un significativo gesto di indipendenza e potere femminile.
La curatrice della mostra Novella Lapini: “Al centro di questa mostra c’è la storia delle donne romane dei primi due secoli dell’Impero, analizzata sia dal punto di vista del modello femminile proposto ufficialmente, incarnato nel bene e nel male da esponenti della domus Augusta, sia in relazione alle nuove possibilità d’azione che si creano in un sistema dinastico. Sull’onda delle prerogative concesse alle Auguste, elette a sacerdotesse dei loro congiunti divinizzati e capaci di beneficiare intere comunità con i loro atti di liberalità, le matrone dell’élite si inseriscono infatti più direttamente nella vita pubblica, quali flaminiche (dedite al culto delle nuove dive),evergeti (benefattrici) e patronedei loro municipi, attuando una graduale ma effettiva rivoluzione di genere nelle città”.
8 MARZO: LE GALLERIE DEGLI UFFIZI CELEBRANO LA FESTA DELLA DONNA CON VIDEO OMAGGIO PER TRE GRANDI DAME DELLA FAMIGLIA MEDICI CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA
Una clip su facebook racconterà le storie di Caterina de’ Medici, Vittoria della Rovere e Anna Maria Luisa de’ Medici: tre personalità più forti del loro tempo e per questo entrate nella storia
Sui social del museo, da oggi al 9 ci saranno anche un cortometraggio, una diretta e tanti post a tema
Un video in omaggio a tre grandi dame della famiglia Medici, Caterina, regina di Francia, Vittoria della Rovere, moglie di Ferdinando II, e Anna Maria Luisa, Elettrice Palatina: così, con una clip su Facebook, affiancata da una serie di iniziative social, le Gallerie degli Uffizi celebrano quest’anno la Festa della Donna.
Il video dedicato verrà postato sul profilo delle Gallerie la mattina dell’8 marzo. Ad interpretarlo sarà l’assistente museale Carolina Forasassi, che racconterà, attraverso i loro ritratti, tre grandi donne, diverse tra loro, ma accomunate dal fatto di possedere personalità più forti del comune rispetto alle donne (e a molti uomini) del loro tempo: tanto forti da consentire loro di entrare nella storia e farne parte per sempre.
La prima è Caterina de’ Medici: nata a Firenze nel 1519, diventerà la prima regina italiana di Francia, Paese nel quale porterà raffinatezza, cultura e il gusto fiorentino per il bello. La seconda protagonista è Vittoria della Rovere, nata a Pesaro nel 1622, favolosa ereditiera del ‘600. Ultima discendente del Ducato di Urbino, porterà alla famiglia Medici e a Firenze una dote prodigiosa: settanta carri stracolmi di oggetti d’arte e dipinti straordinari provenienti dal Palazzo Ducale di Urbino e dalle dimore del suo ducato, oggi custoditi alle Gallerie degli Uffizi: tra questi capolavori di Raffaello Sanzio, Piero della Francesca, Tiziano, solo per citarne alcuni. Terza del trittico – ma non certo per importanza storica – è infine Anna Maria Luisa dei Medici, nata a Firenze nel 1667 ed ultima discendente della famiglia, saggia quanto la nonna Vittoria della Rovere. Le collezioni raccolte della sua dinastia sarebbero disperse nel mondo se lei non avesse deciso di legare il patrimonio artistico dei Medici alla sua Toscana. Stipulò un “Patto di Famiglia” il 31 ottobre del 1737 che vincolava tutti i beni medicei, rendendoli inamovibili dal territorio, comprendendo in anticipo sui tempi che questo avrebbe portato turismo, commercio e ricchezza a tutta la regione.
A rafforzare la celebrazione dell’8 marzo da parte degli Uffizi ci saranno però anche tante altre iniziative. Già il 7 marzo sul canale Facebook degli Uffizi si inizierà con un cortometraggio, “Voci di donne. Ritratti femminili dalle Gallerie degli Uffizi”, realizzato da Studio Riprese Firenze in collaborazione con il dipartimento di Strategie digitali. La protagonista di questo cortometraggio è una bambina in visita agli Uffizi, e la storia del suo viaggio in museo ha un risvolto fiabesco: la bimba, che si sofferma ad osservare i ritratti delle grandi donne del passato (tra le quali anche la celeberrima Eleonora da Toledo del Bronzino), scopre infatti che le parlano, raccontandole le loro storie.
A chiusura, il 9 marzo, le Gallerie pensano a tutte le donne con “La Velata rivelata”, diretta streaming – sempre sul canale Facebook degli Uffizi – in compagnia della curatrice della pittura del Cinquecento, Anna Bisceglia, che alle 13.30 illustrerà al pubblico virtuale il capolavoro di Raffaello, esposto nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti.
Infine, ad accompagnare il tutto, a partire da oggi sabato 6 marzo e fino a martedì, ci saranno post dedicati all’arte femminile, che avranno al loro centro storie ed opere di pittrici delle quali le Gallerie conservano opere: tra queste anche alcune artiste che si sono autoritratte, come Élisabeth Vigée Le Brun o Angelika Kauffmann. (Carlo White).
Quando nel 2006 il Monte dei Paschi decise che poteva risparmiare qualcosa costringendo ad andare in pensione i dirigenti della Banca Toscana che ne avevano già maturato il diritto, mi posi il problema di come avrei potuto impiegare il tempo e le energie di cui ancora disponevo, non ancora sessantenne.
Quando ad agosto ricevetti la lettera che mi comunicava questa decisione, lessi casualmente su La Repubblica un’inserzione dell’Associazione Telefono Voce Amica Firenze che ricercava nuovi volontari e pensai che poteva essere un buon modo per sperimentarmi in un’esperienza diversa. Di lì a poco mi ritrovai a far parte del Consiglio Direttivo, prima come Tesoriere e poi come Presidente. Ed in quest’ultimo ruolo ritengo di aver dato un grosso impulso all’Associazione portandola ad essere non più soltanto la più antica associazione italiana della specie (avviò il servizio di ascolto telefonico il giorno di Pasqua dell’anno 1964), ma anche la più consistente raggiungendo la punta di oltre 70 volontari attivi e ricevendo ogni anno oltre 110.000 telefonate provenienti da ogni regione d’Italia.
Quando è scaduto il mio mandato ho continuato ad occuparmi attivamente dell’Associazione nella veste di Responsabile della Comunicazione allo scopo principalmente di far conoscere l’esistenza del nostro servizio al maggior numero possibile di persone che potrebbero usufruirne, specialmente in questo periodo in cui la solitudine ed il disagio emotivo si sono estremamente diffusi grazie alla reclusione forzata dovuta alla pandemia.
L’attività svolta da Voce Amica Firenze infatti è esclusivamente quella di offrire un servizio di ascolto telefonico gratuito, in forma completamente anonima e priva di pregiudizi, aperto a chiunque senta il desiderio di parlare con qualcuno, perché solo o in situazione di disagio.
Il servizio viene svolto esclusivamente da volontari che impegnano in modo gratuito il loro tempo libero per garantire la disponibilità all’ascolto tutti i giorni dell’anno, festività comprese, dalle ore 16 alle ore 6 del mattino seguente.
I volontari non sono psicoterapeuti, ma esprimono le più diverse estrazioni sociali e culturali. L’Associazione infatti non si pone l’obbiettivo di “curare”, ma offre un servizio di pura accoglienza incondizionatamente a tutti, libera da ogni giudizio morale, politico, sociale, religioso. Molte persone che chiamano incontrano nella loro quotidianità grosse difficoltà a trovare un “orecchio” disponibile ad ascoltare, mentre i nostri volontari sono lì per questo, senza chiedere contropartita alcuna.
Il focus delle conversazioni non è l’eventuale problema evidenziato, per la soluzione del quale esistono i servizi specialistici, siano essi il 118 o i numerosi “telefoni colorati” (telefono azzurro, telefono rosa, ecc.), ma la relazione, offrendo la possibilità di stabilire, sia pure per il breve durare di una telefonata, un contatto umano privo di pregiudizi e libero da ogni condizionamento, sopperendo alle carenze delle istituzioni. Non esiste infatti nessuna struttura pubblica che offra un servizio della specie, mentre a livello privato in tutta la Toscana sono presenti alcune associazioni minori, ma nessuna di queste offre la copertura del periodo notturno e dei giorni festivi.
Chiamano persone appartenenti alle più disparate categorie sociali: uomini e donne, giovani ed anziani. L’anonimato rappresenta un aspetto fondamentale del rapporto perché la garanzia di non poter essere in alcun modo riconosciuto aiuta enormemente chi chiama ad aprirsi ed a comunicare, mentre al tempo stesso garantisce il volontario dal non essere coinvolto nella sua vita privata in situazioni personali che possono talvolta presentare caratteri anche patologici.
L'espletamento del servizio rappresenta un impegno piuttosto gravoso, sia per il forte coinvolgimento emotivo che può comportare, sia per la necessità di impegnarsi anche in orario notturno. Ne consegue un elevato turn-over degli associati che comporta il costante bisogno di nuovi volontari da inserire nel servizio.
Ai volontari non è richiesto alcun prerequisito specifico, ma è necessario partecipare ad un apposito corso di Formazione, totalmente gratuito, tenuto da formatori esperti interni all’associazione, per una durata complessiva di circa 6 mesi.
Tornando alla necessità prima ricordata di far conoscere l’esistenza del servizio al maggior numero possibile di potenziali fruitori, voglio segnalare l’iniziativa che abbiamo messo a punto con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e con la promozione del Comune di Firenze che, seguendo le orme di altre istituzioni (il governo inglese prevede addirittura un “Ministero della solitudine”) ha investito l’assessore Cosimo Guccione della delega per la “lotta alla solitudine”.
Il progetto, denominato “Diffondi una Voce Amica” prevede di tappezzare letteralmente Firenze di opere realizzate da Ache77, un noto artista di strada rumeno di nascita ma fiorentino di adozione, ispirate ai temi della solitudine, dell’accoglienza, dell’ascolto, della fragilità emotiva. Le opere saranno realizzate nel periodo maggio giugno, quando ci auguriamo di poter tornare a passeggiare liberamente per le strade della città, e riporteranno le indicazioni per poter raggiungere il nostro servizio al numero 055 2478 666.
Per sostenere i costi di realizzazione delle opere, il 15/2/21 verrà lanciata una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Eppela al termine della quale la Fondazione CRF contribuirà raddoppiando la cifra raccolta con le donazioni dei privati e delle aziende che vorranno partecipare.
Per avere maggiore informazioni sull’associazione vi invito a consultare il sito www.voceamicafirenze.org, dove è anche possibile iscriversi alle newsletter per restare informati sulle nostre iniziative, nonché la pagina Facebook Voceamicafirenze, dove è sempre gradito un like.
Maggiori approfondimenti sul progetto Diffondi una Voce Amica si trovano all’indirizzo http://bit.ly/Presentazione_DiffondiUnaVoceAmica. Dal 15/2 sarà possibile effettuare una donazione accedendo al sito www.eppela.com e si potranno avere come ricompense opere dell’artista Ache77.
Diffondi anche tu una Voce Amica !!!
Marco Lunghi
Per l'iscrizione, o per richiedere maggiori informazioni, è sufficiente inviare una mail all'indirizzo volontari@voceamicafirenze.org, oppure telefonare al 331 5847920. Maggiori informazioni posso essere trovate anche sul sito www.voceamicafirenze.org.
I NUOVI ALLESTIMENTI DELLE SALE DEL BEATO ANGELICO AL MUSEO DI SAN MARCO di Carlo Biancalani
Inaugurata la “Sala del Beato Angelico” del Museo di San Marco, interamente riallestita grazie a Friends of Florence. Questo prestigioso intervento chiude idealmente le celebrazioni per i 150 anni del Museo, dopo la presentazione nello scorso anno dei restauri dei capolavori del Giudizio Universale e della Pala di San Marco.
La nuova denominazione del vasto ambiente realizzato nel 1918-1921 e chiamato in maniera impropria “Ospizio dei Pellegrini”, poi più semplicemente “Ospizio”, conferma una componente basilare delle origini del celebre museo fiorentino, fondato nel 1869, quella cioè di museo consacrato all’arte del Beato Angelico. Anche nella percezione dei visitatori italiani e stranieri, il Museo di San Marco è indissolubilmente associato alla figura e all’opera del Beato Angelico, padre fondatore del primo Rinascimento fiorentino.
La rinnovata esposizione dei capolavori della sala torna ad offrire al pubblico la selezione più importante al mondo delle opere di una delle personalità più alte e affascinanti della storia dell’arte ma soprattutto ripropone l’incanto stupefacente della qualità sublime che traspare dai suoi dipinti su tavola: un disegno al contempo netto e raffinato, sul quale s’innesta una stesura pittorica che, in particolare dalla fase della prima maturità in avanti, tocca vertici insuperati di delicatezza e trasparenza pittoriche.
Il nuovo allestimento, finanziato generosamente dai Friends of Florence, cambia radicalmente quello realizzato nel 1980 dall’allora direttore Giorgio Bonsanti, grazie alle nuove strutture, alla raffinata cromia e ad una illuminazione tecnologicamente aggiornata. Le opere seguono oggi una coerente successione cronologica, esaltando anche la relazione armonica delle loro dimensioni entro gli spazi della sala.
È una esposizione monografica ineguagliabile, che presenta 16 straordinari capolavori del pittore e frate domenicano, dalle tavole più monumentali, come la Deposizione di Cristo per la cappella Strozzi in Santa Trinità a Firenze, la pala di Annalena e la grandiosa Pala di San Marco, con le parti superstiti sfuggite alla dispersione, e il Tabernacolo dei Linaioli, ai dipinti di dimensioni minori, come le tavole dell’Armadio degli Argenti, le raffinatissime predelle e i reliquari. Il Compianto sul Cristo morto è stato inoltre oggetto in questa occasione di un intervento di riordino estetico della parte inferiore, già celata da una sagoma oggi rimossa.
IMPERATRICI, MATRONE, LIBERTE
Dal 3 ottobre agli Uffizi, primo piano, Sala Detti e Sala del Camino
L'esposizione archeologica delle Gallerie: trenta opere, tra le quali anche le sculture raffiguranti la madre di Nerone e la moglie di Domiziano, per spiegare i tanti (e rilevanti) ruoli della donna nella società del tempo
“Una mostra al femminile, che al contempo rivela l’immenso patrimonio archeologico delle Gallerie degli Uffizi, negli ultimi anni sempre più attenti a proporre un’immagine forte delle donne” afferma Eike Schmidt direttore degli Uffizi.
Potenti. Determinate. Discusse. Indipendenti. Ribelli. E molto altro ancora. Le donne romane dell’età imperiale, con le loro storie, i loro segreti, le loro battaglie di emancipazione civile, politica ed economica: sono loro le assolute protagoniste della mostra “Imperatrici, matrone, liberte” alla Galleria degli Uffizi in programma dal 3 novembre 2020 al 14 febbraio 2021. Si tratta di circa trenta opere provenienti dalla ricca collezione archeologica del complesso museale: tra queste, anche le splendide sculture di Agrippina Minore, celeberrima madre di Nerone, o di Domizia Longina, chiacchierata sposa di Domiziano.
L’itinerario è ampliato da importanti prestiti del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, che con alcune preziose monete d’oro di epoca romana consente di osservare dall’interno il ruolo femminile nella propaganda della casa imperiale, e dalla Biblioteca Nazionale Centrale del capoluogo toscano, i cui codici cinquecenteschi dialogano in mostra con i disegni della stessa epoca conservati al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, mostrando le diverse raffigurazioni delle antiche epigrafi presenti in mostra.
La narrazione, articolata in tre sezioni, permette di seguire la vita delle donne romane nei primi due secoli dell’Impero (dagli inizi del I alla seconda metà del II secolo d.C.), soffermandosi sui modelli positivi e negativi incarnati dalle imperatrici e dalle donne di spicco della casa imperiale e mettendo in risalto i possibili ruoli pubblici al femminile, ma si concentra anche su affascinanti storie di vita quotidiana di matrone e liberte. Così, è possibile incontrare Giunia Atte, prima schiava e poi libertà sposata al suo patrono, vittima, probabilmente sotto il regno di Domiziano, di una vera e propria maledizione scagliatale dal marito, abbandonato dopo la morte della figlia comune: le terribili parole spese contro di lei sono iscritte sulla ara dedicata alla fanciulla. Oppure Pompeia Trebulla, potente matrona dell’élite di Terracina che, circa quarant’anni prima, sotto l’imperatore Claudio, era in grado di far restaurare a sue spese il tempio dedicato a Tiberio ed alla madre Livia, ponendo così il suo nome accanto a quello degli Augusti in un significativo gesto di indipendenza e potere femminile.
Eike Schmidt afferma : “Le Gallerie degli Uffizi negli ultimi anni hanno dedicato grande attenzione alle tematiche della storia di genere, ribaltando l’immagine tradizionale e tradizionalista delle donne e mostrandone invece il lato creativo, forte e indomito. La mostra è inoltre un’occasione unica per permettere ai nostri visitatori di ammirare splendidi pezzi della nostra importantissima collezione archeologica, che stupiranno anche il nostro pubblico più attento.”
La curatrice della mostra Novella Lapini (con la direzione di Fabrizio Paolucci): “Al centro di questa mostra c’è la storia delle donne romane dei primi due secoli dell’Impero, analizzata sia dal punto di vista del modello femminile proposto ufficialmente, incarnato nel bene e nel male da esponenti della domus Augusta, sia in relazione alle nuove possibilità d’azione che si creano in un sistema dinastico. Sull’onda delle prerogative concesse alle Auguste, elette a sacerdotesse dei loro congiunti divinizzati e capaci di beneficiare intere comunità con i loro atti di liberalità, le matrone dell’élite si inseriscono infatti più direttamente nella vita pubblica, quali flaminiche (dedite al culto delle nuove dive), evergeti (benefattrici) e patrone dei loro municipi, attuando una graduale ma effettiva rivoluzione di genere nelle città”.
CB
AL MAF LA COLLEZIONE DEI CONTI PASSERINI, PATRIZI DI FIRENZE E CORTONA
Dal 29 ottobre e fino al 30 giugno 2021 al MAF (Museo Archeologico di Firenze) sarà esposta al
pubblico, interamente riunita nei suoi nuclei principali, la collezione archeologica che fu del conte
Napoleone Passerini (come spesso accadeva all’epoca in nome completo era Napoleone Pietro Raffaello
Luigi Carlo Maria). Napoleone Passerini, figlio unico di Pietro Passerini e di Elisabetta Gherardi, pur se
nato nel 1791 venne riconosciuto dal padre solo quando questi stava per morire nel 1863 e solo allora
nominato Primo Conte Passerini.
Il padre di Napoleone, Pietro Passerini, aveva già una predilezione per i reperti archeologici ma fu
Napoleone che arricchì e rese famosa la collezione per un insieme di fortuite concomitanze.
Napoleone, infatti, forse per attualizzare lo stemma di famiglia (un bue sotto le palle medicee e il
copricapo cardinalizio) dovuto all’Avo che aveva creato il poderoso patrimonio familiare – Cardinal
Silvio Passerini amico fraterno di Papa Leone X – poi successivamente incrementato creando un piccolo
regno di quasi 10.000 ettari nella Valdichiana, decise di approfondire gli studi agrari e delle scienze
naturali frequentando i dipartimenti di zoologia e botanica dell’Università di Firenze divenendo un
pregevole zoologo e botanico. A lui si deve infatti la selezione della famosa razza Chianina. Iniziò anche
l’insegnamento teorico pratico nel settore e fondò l’Istituto Agrario che diresse fino alla morte nel 1951.
Ritornando comunque alla passione per l’archeologia è importante dire che a differenza di altre collezioni
archeologiche quella messa insieme da Napoleone Passerini non viene da acquisizioni estemporanee o
commissionate ma quasi esclusivamente dai ritrovamenti fatti nelle numerose fattorie di proprietà molte
delle quali nell’area di Foiano della Chiana, Lucignano, Bettolle, Sinalunga. Si narra che spesso i
contadini quando l’aratro si imbatteva in qualcosa di duro chiamassero il conte per verificare che sotto
non vi fossero, e spesso succedeva, tombe etrusche.
Una gran parte della collezione ha po’ transitato alla fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento
presso musei stranieri come Il Metropolitan di New York, l’allora Walter Art Gallery di Baltimora, il
Museum of fine Art di Boston, ecc.
Il grosso della collezione è comunque rimasto in Italia nella villa di Bettolle e fu acquistato dallo Stato,
già nel 1900 il conte aveva venduto al Regio Museo Archeologico di Firenze un pregiato nucleo di
oreficerie etrusche e nel 2016 grazie un generoso lascito di una donatrice fiorentina al Comando
Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale di Firenze si è arricchito di 82 opere. Varie sono state anche le
vicissitudini dei nuclei della collezione suddivisi fra diverse ville e musei italiani ed ora è
eccezionalmente possibile ammirare la parte più cospicua della collezione riunita al MAF.
Ma parliamo della mostra che è affascinante per i pezzi sapientemente esposti, curata Mario Iozzo, dal
direttore del MAF, e da Maria Rosaria Luberto presenta vasi funerari di stupenda fattura, oggetti
domestici, suppellettili, vasi da dispensa e da commercio, urne funerarie e oggetti d’oreficeria di
straordinaria fattura.
Una occasione questa di visitare il Museo Archeologico che ricordiamolo in Italia è uno dei più
importanti ed è magnificamente allestito e molto fruibile…e di questi tempi assolutamente non affollato.
Fra l’altro è possibile scaricare gratuitamente l’App creata dal museo per una descrizione di ogni singolo
oggetto.
cb
Torna a Firenze il Leone X di Raffaello
Dopo più di due anni di restauro all'Opificio delle Pietre dure e la trasferta a Roma per la grande esposizione alle Scuderie del Quirinale che celebrava i 500 anni dalla morte di Raffaello, il Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, capolavoro del genio urbinate, rientra finalmente a casa, alle Gallerie degli Uffizi. Nell’occasione è stata allestita una mostra interamente dedicata all’opera:"Raffaello e il ritorno del Papa Medici - restauri e scoperte” nella sala delle Nicchie della Galleria Palatina di Palazzo Pitti (dal 27 ottobre 2020 al 31 gennaio 2021).
L’allestimento è concepito per documentare e spiegare il complesso restauro e le numerose analisi scientifiche effettuate sull'opera, ora di nuovo completamente godibile nella lussuosa ricchezza cromatica dei dominanti toni rossi e nella straordinaria varietà dei dettagli, che l'hanno resa una delle creazioni più famose di Raffaello. Grazie alle molte tecniche di indagine preliminari (radiografiche, fotografiche, di imaging, di microscopia ottica, a scansione microprofilimetrica, solo per citarne alcune) è stato possibile rintracciare integralmente la 'trama' del dipinto disegnata in origine da Raffaello e stabilire che tutta l'opera è integralmente dovuta alla sua mano, fugando una volta per tutte il dubbio – avanzato da alcuni studiosi - che le figure dei cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi fossero state aggiunte in un momento successivo.
Al termine dell'esposizione nella Sala delle Nicchie in Galleria Palatina, il Ritratto di Leone X tra due cardinali troverà collocazione nella Sala di Saturno dello stesso museo, in compagnia di una serie di capolavori dell'Urbinate, tra i quali i ritratti di altri due importanti prelati: quello di Papa Giulio II e quello del Cardinal Bibbiena (Bernardo Dovizi).
Per noi della Banca Toscana ricordiamo il particolare della campana nel dipinto di Leone X che fu il soggetto di un biglietto di auguri natalizi.
CB
WRIGHT OF DERBY Arte e scienza
Capolavoro del museo inglese raramente concesso in prestito, per la prima volta esposto in Italia: resterà in Galleria fino al 24 gennaio
Volti spaventati, preoccupati, meravigliati, incuriositi, appena rischiarati nelle loro diverse espressioni dalla luce della lanterna e dal flebile chiarore della luna. Sono i protagonisti del celebre dipinto settecentesco Esperimento su di un uccello inserito in una pompa pneumatica, eseguito nel 1768 dal pittore inglese Joseph Wright of Derby: capolavoro indiscusso della National Gallery di Londra, sbarca per la prima volta in Italia, alla Galleria degli Uffizi di Firenze, dove, esposto primeggia circondato da altre opere italiane scelte dalla curatrice della mostra, Alessandra Griffo, al secondo piano del museo (nella sala 38, tra la stanza che custodisce i dipinti di Leonardo da Vinci e quella di Michelangelo e Raffaello) vi resterà fino al 24 gennaio 2021.
Proprio le reazioni umane nei confronti della ricerca scientifica sono il tema portante di quest'opera, che per l’occasione diventa anche simbolo dei legami culturali tra Londra e Firenze nel segno della storia, dell’arte e della natura.
Nel 1768, data a cui risale il dipinto di Wright of Derby, le sperimentazioni sul vuoto d'aria tramite pompa pneumatica messa a punto da Robert Boyle, chimico irlandese vissuto nel secolo precedente, non costituivano più una novità scientifica. Erano però ampiamente proposte con fini divulgativi e didattici nelle sedi più disparate; e lo stesso accadeva nello stesso periodo anche a Firenze. A partire dagli anni Settanta del Settecento, prima a Palazzo Pitti per i propri figli, poi anche per un pubblico più ampio nel neonato Museo di Fisica e Storia Naturale allestito a La Specola, il granduca Pietro Leopoldo di Lorena commissionava analoghi esprimenti e laboratori dimostrativi che introducevano alla conoscenza delle principali leggi chimico-fisiche allora note. Le strumentazioni utilizzate dall'istituto, simili a quella riprodotta nel quadro londinese, sono in seguito confluite nel Museo Galileo di Firenze, dove sono custodite tuttora.
L’Esperimento di Wright of Derby raffigura una riunione in una casa di campagna inglese: il pubblico è composito parrebbe da una famiglia e proprio questo campionario di tipi umani diversi permette all’artista di raffigurare le espressioni con teatralità: a rafforzare questo effetto sono anche i forti contrasti di luce ed ombra, e l’abbigliamento da illusionista dell’uomo al centro: è lui che, girando la chiavetta ed eliminando l'aria dalla campana, può decretare la morte del volatile. La stessa scelta del pappagallino bianco (al posto del consueto canarino) rende ancora più drammatico il contrasto tra il candore delle piume e l’oscurità intorno.
Tra gli spettatori meravigliati, nel caso dell’Esperimento, deve essere incluso anche chi osserva il quadro; le dimensioni dei personaggi, della strumentazione e degli stessi spazi, prossime alla scala 1:1, creano infatti la finzione di una stanza nella stanza, con un effetto realistico potenziato dalla qualità pittorica nitida, minuziosa, dettagliatissima.
Nella mostra sono poste in dialogo con la grande tela altre opere che illustrano la pratica dello studio a lume di candela, la concentrazione notturna sul lavoro di concetto, come il San Girolamo con due angeli di Bartolomeo Cavarozzi (1617), e il disegno di Enea Vico, L’Accademia di Baccio Bandinelli (1560).
Completa l’esposizione l’ottocentesco Orologio da mensola in forma di gabbietta, oggetto prezioso in prestito dagli Appartamenti Imperiali e Reali di Palazzo Pitti, la cui forma evoca direttamente l’uccelliera da cui è stata estratta la colomba protagonista, suo malgrado, dell’esperimento raccontato da Wright of Derby nel suo quadro.
La scena ci cala con straordinaria immediatezza nello spirito Illuminista che anche a Firenze viveva una gloriosa stagione: fu proprio in questo periodo, nel 1769, che il Granduca Pietro Leopoldo decise di aprire gli Uffizi al pubblico, per istruirlo; tuttavia in quegli anni il più visitato della città era il museo di scienze naturali della Specola. Nel Settecento, la Scienza dominava anche in riva all’Arno”.
Alessandra Griffo, curatrice della mostra ci spiega: "Oltre a costituire un caposaldo della pittura inglese del Settecento, l’Esperimento su di un uccello inserito in una pompa pneumatica, eseguito nel 1768 da Joseph Wright of Derby, si impone oggi all’attenzione del pubblico, in quest’epoca segnata dal Covid-19, anche con imprevisti accenti di attualità. Le nostre reazioni nei confronti della ricerca scientifica - indifferenza, consapevolezza, riflessione, curiosità o timore - sono infatti uno dei temi di quest’opera che tuttavia propone, come accade per le grandi opere, numerosi livelli di lettura. Alcuni sono stati suggeriti in mostra associando al dipinto londinese altre cinque opere delle Gallerie degli Uffizi. Da un lato viene tratteggiato il tema squisitamente artistico dei dipinti a lume di notte, dall’altro viene sollecitata la riflessione sull’argomento sensibile del rispetto per la dignità degli animali”.
Ma chi era Joseph Wright of Derby?
Joseph Wright, detto “of Derby” dal nome della città inglese dove nacque nel 1734 e morì nel 1797, erafiglio di un avvocato di quella città. Si formò a Londra come ritrattista, divenendo uno dei massimi esponenti di questo genere particolarmente apprezzato nel mondo anglosassone e venne in contatto con famosi ceramisti dell’epoca eseguendo i loro ritratti ed inoltre ritratti di molti membri della Lunar Society (un circolo informale di persone colte, di personaggi di spicco, industriali, filosofi naturali, intellettuali dell’ambiente illuministico a cavallo tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800), proprio nella Lunar Society Wright of Derby trovò i suoi più grandi patrocinatori: Josiah Wedgwood (che aveva fondato la grande fabbrica di ceramiche che tutti conosciamo) e Richard Akwright che aveva da poco inventato il primo filatoio automatico per la lavorazione del cotone. Oltre ai ritratti, cui si dedicò lungo tutto l’arco della sua carriera, a partire dalla metà degli anni Sessanta si datano inoltre una serie di opere caratterizzate da ricercati effetti luministici che richiamano la tradizione seicentesca, caravaggesca, e la pittura olandese. L’artista raffigura soggetti comuni, scene di genere e accademie artistiche a lume di candela, o viceversa - come nel caso dell'Esperimento qui esposto, risalente al 1768 - le novità scientifiche e tecnologiche che documentano il diffuso sentire della società illuminista, già avviata sulla strada della rivoluzione industriale. Del 1774 -1775 è un viaggio in Italia che gli ispirò vedute e paesaggi, di nuovo connotati da scenografici contrasti di luce: l'eruzione del Vesuvio, spettacoli pirotecnici nei cieli di Roma, gli interni di orride grotte e caverne. Realizzati anche dopo il ritorno in patria, insieme a soggetti che illustrano brani letterari di tono accentuatamente patetico, questi dipinti aprono alla cultura preromantica del Sublime.
Il dipinto:
Fig. 1 -right of Derby (Derb Joseph Wy 1934 – 1797)
Esperimento su un uccello in una pompa pneumatica
1768 -olio su tela - The National Gallery. Londra
Il celebre dipinto racconta di un esperimento eseguito tramite una pompa pneumatica che toglie l’aria da una campana di vetro dove all’interno è stato messo un uccellino – in questo caso volutamente l’artista ha messo un pappagallo bianco invece del solito canarino – che naturalmente venendo meno la pressione dell’aria e viceversa togliendo e aumentanndo la stessa, muore malamente.
La platea è numerosa e molto variegata e molte sono le curiosità: sulla destra il giovane che addita la luna ricordando quindi la Lunar Society, in un vaso di vetro un polmone in un vaso a ricordare la morte, di lato le due fanciulle le uniche che sembrano interessate alla triste fine del pappagallino. Ancora non c’erano le regole per la protezione degli animali e il non utilizzo per esperimenti scientifici ancor più tristi visco il semplice scopo divulgativo di questo caso.
Ricordiamo che iniziava allora la Rivoluzione Industriale.
CB
Firenze, riapre dopo anni di lavori e restauri San Pier Scheraggio
Nei giorni scorsi dopo lunghissimi lavori di studi e di restauro ha riaperto “San Pier Scheraggio” un luogo magico da dove prima si accedeva alla Galleria degli Uffizi. Un nuovo allestimento e il potenziamento dell'illuminazione curato dall’architetto Antonio Godoli, recupera e attualizza l’agibilità di questi spazi, già soggetti a restauro negli anni Trenta del ‘900. Le antiche vestigia di una delle tre navate dell'edificio sono rese visibili al di sotto della pavimentazione di cristallo trasparente, sulla quale i visitatori del museo potranno camminare per ammirare da vicino i resti dell'architettura medievale di San Pier Scheraggio (insieme a quelli di una cripta e di un chiostro realizzati successivamente, nel ‘400). Fino ad ora quest’area – e la colonna con l’affresco trecentesco di San Francesco - erano visibili solo da una passerella e non erano inseriti nel percorso di visita, ma accessibili solo in occasioni speciali.
“L’apertura al pubblico di San Pier Scheraggio in questi giorni è un evento denso di significati, se si pensa al ruolo di spazio civico che la chiesa ebbe in epoca medievale. Ed è importante che dopo quasi due decenni torni visibile a tutti l’affresco con San Francesco, un’antichissima immagine del santo nazionale, all’interno di un’istituzione statale come gli Uffizi. Per celebrare la festa del santo assisiate, gli dedichiamo anche una bella mostra virtuale, visitabile online in tutto il mondo
(https://www.uffizi.it/mostre-virtuali/san-francesco): è un’occasione per ripensare al valore universale del suo messaggio di amore per il creato, attraverso le magnifiche opere delle nostre collezioni“ afferma Eike Schmidt direttore della Galleria degli Uffizi.
La storia di San Pier Scheraggio
Eretta nel XI secolo sulle vestigia di una chiesa preesistente, San Pietro in Scheraggio (il nome deriva da un fosso poi interrato utile allo “schiaraggio” delle acque reflue) era originariamente un ampio edificio a tre navate, con cripta, campanile e zona cimiteriale. Preesistente alla costruzione del Palazzo della Signoria, nel medioevo svolse un ruolo importante nella vita civica fiorentina, ospitando le riunioni degli organi del governo cittadino e il giuramento solenne dei Priori delle Arti. In questo luogo anche Dante Alighieri assunse l’incarico di Priore, come membro dell’Arte dei Medici e Speziali, per il periodo dal 15 giugno al 25 agosto 1300. Nel XV secolo, per ampliare lo spazio intorno al Palazzo della Signoria, fu distrutta la navata settentrionale della chiesa, rendendo necessari nuovi lavori, come l’innalzamento del pavimento. Con l’edificazione degli Uffizi, nel XVI secolo, la chiesa fu assai ridimensionata, ma continuò ad essere officiata fino alla sconsacrazione avvenuta nel 1782 per volontà di Pietro Leopoldo di Lorena.
San Francesco d’Assisi
Pittore fiorentino
1325-1335 circa affresco staccato
Le colonne di questa sala, risalenti alla chiesa romanica (XI secolo), dividevano la navatella meridionale dalla navata centrale. Nel XIV secolo furono ornate con affreschi votivi raffiguranti santi entro tabernacoli, di cui rimangono in vista alcuni frammenti. È ben visibile Francesco d’Assisi, vestito con il saio marrone cinto in vita da un cordone e con le mani segnate dalle stigmate, caratteristica distintiva del santo; A sinistra di Francesco, in basso, rimane la figura frammentaria della committente in preghiera. Nel XVI secolo, con la costruzione degli Uffizi, la chiesa di San Pier Scheraggio venne ridotta alla sola navata centrale e le colonne furono inglobate in una parete in muratura.
Questa occasione insieme alla piccola ma interessante mostra su Wright of Derby (Arte e scienza), inaugurata il 6 ottobre. rappresentano un invito ad una visita ai Grando Uffizi che sempre di più e meglio sono fruibili specialmente in questo che in cui i visitatori sono notevolmente meno numerosi. Carlo Biancalani
Il Volto Santo di Lucca; la statua lignea più antica di tutto l’Occidente.
Quest’anno Lucca festeggia i 950 anni dalla “Dedicazione” della Cattedrale a San Martino di Tour (1070 -2020). La chiesa , comunque, è più vecchia di almeno quattro secoli. Secondo la tradizione, il duomo fu fondato da San Frediano, vescovo di Lucca, nel VI secolo, riedificato in stile romanico da Anselmo da Baggio, altro vescovo della città, nel 1060, da lui dedicato a San Martino nel 1070 ed infine rimaneggiato tra il XII e il XIV secolo, quando ormai imperava lo stile gotico.
Purtroppo, a causa della pandemia di Coronavirus, il primo semestre delle manifestazioni a ricordo dell’evento ha avuto una brusca frenata, e solo dall’inizio di giugno sono parzialmente riprese, anche se in tono minore. Tra gli eventi programmati è stata invece portata a termine un’ulteriore datazione della veneratissima statua lignea del “Volto Santo”, che insieme al bellissimo sarcofago di Ilaria del Carretto ,capolavoro di Jacopo della Quercia e alla suggestiva Ultima Cena del Tintoretto, costituisce uno dei più conosciuti e amati monumenti conservati all’interno della cattedrale.
Quest’ultima datazione, effettuata con tecniche molto più sofisticate e precise rispetto alle precedenti, ha portato un risultato a dir poco sorprendente: il carbonio 14, sempre più accurato nella ricerca della datazione e molto più efficace in presenza di tela (quest’anno è stata utilizzata anche una minuscola porzione di tela che un tempo richiudeva la parte posteriore del manufatto) ha rilevato, senza ombra di dubbio, che il Crocifisso è stato scolpito nel VII-VIII secolo e non nel dodicesimo secolo come finora stimato dagli studiosi, reputando l’attuale statua lignea solo una riproduzione medievale del più antico Crocifisso andato perduto.
Una leggenda dice che lo realizzò il fariseo Niccodemo, testimone della Passione, vissuto nel primo secolo d.C. Avremmo così il vero volto di Gesù. Niccodemo però si addormentò prima di aver scolpito la testa e, miracolosamente, la trovò pronta il mattino dopo. Un’opera acherotipa quindi (non realizzata da mano umana). La statua è di grandi dimensioni, a croce greca, con i due bracci uguali di 2,75 m. Doveva essere collocata in alto e per questo motivo il capo è rivolto verso il basso. Non era originariamente un Cristo nero. Lo è diventato per la fuliggine dei ceri, tranne i piedi, puliti dalle carezze dei devoti. Un cassettino, dietro la nuca, oggi vuoto, conteneva una reliquia come i tanti crocefissi provenienti da Gerusalemme. Il viso è allungato, il che dà più forza all’espressione riflessiva e all’orientamento verso i fedeli in basso; gli occhi sono aperti e lo sguardo intenso: è la figura del Christus Triumphans e non Patiens, più comune e con gli occhi chiusi.
Il Volto Santo di Lucca , sempre secondo la leggenda è stato quindi scolpito da mano divina nel primo o secondo secolo e l’intero manufatto rimase nascosto per secoli a causa delle persecuzioni dei cristiani, prima di essere scoperto da un vescovo Italiano durante un pellegrinaggio alla Terra Santa nell’ottavo secolo. Il crocifisso fu messo su una nave senza equipaggio e miracolosamente navigò fino alle coste della Toscana. Approdato al porto di Luni, il Crocifisso fu sistemato sopra un carro trainato da buoi senza guida umana. Da soli, i buoi portarono lentamente l’enorme reliquia fino alle porte di Lucca, dove fu sistemata con grandi festeggiamenti nella chiesa di San Frediano, la più importante chiesa cittadina.
A Lucca la notizia della nuova datazione dell’opera scultorea , riportata da tutti i media nazionali e esteri (un lungo articolo con foto è stato pubblicato in questi giorni anche dal prestigioso New York Times), ha suscitato molto scalpore ma…tutti noi lucchesi, vuoi per devozione religiosa vuoi per tradizione abbiamo sempre saputo che il nostro Volto Santo era l’unico, l’originale e il più vecchio di tutte le altre copie in giro per il mondo. Noi abbiamo sempre creduto che l’effigie lignea del Volto Santo era stata traslata intorno all’anno 742 a.D. dall’antica chiesa di San Frediano alla nuova Cattedrale appena terminata, a circa 2 km di distanza, nella parte opposta della città. Si tratta della Processione che ancora oggi si ripete ogni anno il 13 settembre dalle 20:00 alle 23:00 chiamata “La Luminara” per i lumini a olio su tutti gli edifici che si affacciano sul percorso del lunghissimo corteo, lo stesso effettuato oltre 1200 anni fa.
Firenze Palazzo Pitti, sala delle Nicchie, 24 giugno - 4 ottobre 2020
STORIE DI PAGINE DIPINTE
GLI ANTICHI MANOSCRITTI RUBATI TORNANO ALLA LUCE IN UNA MOSTRA DELLE GALLERIE DEGLI UFFIZI
Nel giorno del patrono di Firenze, San Giovanni, apre una interessante mostra nel grande complesso museale di Palazzo Pitti.
Un tesoro di sapere, arte e devozione, prima rubato e poi ritrovato: sono libri antichi e preziosi come il minuscolo Ufficio dei Morti appartenuto a Papa Leone X de’ Medici, i grandissimi corali, le pergamene finemente illustrate e decorate dai alcuni dei più grandi maestri del Medioevo e del Rinascimento. La mostra “Storie di pagine dipinte. Miniature recuperate dai Carabinieri” organizzata dalle Gallerie degli Uffizi comprende circa quaranta opere, recuperate dopo il furto da uno speciale comando dell’Arma. I manoscritti e le singole pagine miniate in mostra attraversano la grande stagione di produzione libraria dell’Italia centrale dal Duecento al Cinquecento: provengono da Castelfiorentino, Colle di Val d’Elsa, Firenze, Perugia e Pistoia, e le miniature sono opera di artisti importantissimi come il Maestro di Sant’Alessio in Bigiano, che malgrado sia ancora anonimo era a capo della bottega più attiva in Toscana nell’ultimo quarto del XIII secolo; Pacino di Buonaguida (uno dei primi e più dotati tra i seguaci di Giotto); fino ad Attavante degli Attavanti e Gherardo e Monte di Giovanni, illustratori di libri di fama internazionale ai tempi di Lorenzo il Magnifico.
La bellezza e il pregio delle opere esposte non è la sola attrazione di questa mostra: la sua spettacolarità sta nella storia dei furti e dei recuperi di cui è protagonista ogni volume, ogni singola pagina, ogni miniatura ritagliata. Tra queste i corali provenienti dal convento dei Minori Osservanti di San Lucchese a Poggibonsi, oggetto di ben due furti, negli anni Trenta del ‘900 e poi di nuovo nel 1982; gli oltre venti volumi dell’abbazia benedettina di Montemorcino in Umbria che, trasferiti nell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore ad Asciano, vennero rubati nel 1975; l’Ufficio dei Morti di Leone X de’ Medici, prezioso ed elegante come si conveniva a quel papa, raffinato intellettuale. La rassegna non esclude le opere sfregiate, le pagine da cui sono state ritagliate le miniature, i fogli strappati dai codici, ed è quindi un’occasione per pensare al furto di questi manufatti non solo come a una sottrazione di un bene comune, ma come una violenza che va dritta al cuore della nostra cultura e che attacca i testi, la nostra lingua, le pitture che la decoravano e la spiegavano.
‘PAGINE DIPINTE’: UN LABORATORIO DI TUTELA PER GIOVANI DIFENSORI DELL’ARTE
La realizzazione della mostra è dovuta a storici dell’arte, specializzandi e dottorandi di Storia della Miniatura all’Università degli Studi di Firenze, sotto la guida della professoressa Sonia Chiodo, una dei massimi esperti della materia. Particolarmente in un campo complesso come lo studio dei volumi (codicologia) e delle loro decorazioni, è indispensabile che il lavoro anti crimine dei Carabinieri si avvalga di precise competenze specialistiche, come in questo caso: ogni miniatura o libro antico recuperato deve poter essere ricondotto al contesto di appartenenza, ed è in questo ambito che un drappello di giovani studiosi ha costruito l’esposizione di Palazzo Pitti. E la concretezza, l’importanza dei risultati da loro raggiunti non saranno legate soltanto all’occasione temporanea della mostra: il loro lavoro include infatti il censimento di tutte le mancanze in modo da mettere a disposizione della Banca Dati dei Carabinieri una messe di informazioni aggiornate, essenziali alle investigazioni in corso e a quelle future.
La mostra è allestita nelle pregevoli sale delle conchiglie, allo stesso ingresso della Galleria Palatina e rappresenta un momento di riflessione e di cura in un ambiente sfarzoso quale quello della galleria.
Andare ora a vedere questa mostra che che terminerà il 4 ottobre, potrebbe rappresentare un unicum culturale infatti fino alla fine di giugno si potrà ammirare l’interessante mostra di Giovanna Garzoni (bellissima) e l’ancora prorogata mostra “Ai piedi degli dei”, entrambe già precedentemente descritte.
Un’occasione da non perdere per ammirare, in pochi, gli spazi di Palazzo Pitti e il bellissimo Giardino di Boboli.
Biancalani Carlo.
Nella bellissima Sala della Niobe agli Uffizi conferenza stampa per la presentazione degli Uffizi e dei musei collegati, presenti le autorità... (c.w.)
LA CROCE DIPINTA DEL CARMINE DI SIENA DI AMBROGIO LORENZETTI IN RESTAURO GRAZIE AI FRIENDS OF FLORENCE
Appena terminate le prescrizioni per l’emergenza Covid 19, riprendono i progetti di restauro programmati per la Pinacoteca nazionale di Siena con il trasferimento in sicurezza della Croce dipinta del Carmine di Siena di Ambrogio Lorenzetti presso il laboratorio di restauro a Firenze. La Fondazione Friends of Florence riconferma la generosa e costante collaborazione con la Direzione regionale musei della Toscana, diretta da Stefano Casciu, finanziando il restauro fortemente voluto da Cristina Gnoni Mavarelli, Maria Mangiavacchi ed Elena Pinzauti rispettivamente ex direttrice, curatrice e restauratrice della Pinacoteca nazionale di Siena. L'opera, al termine dell'intervento, verrà ricollocata nella Sala 7 della Pinacoteca, con altre opere di Ambrogio Lorenzetti, conosciuto soprattutto come il Pittore del Buon Governo nel Palazzo Pubblico di Siena. Nella stessa sala si trova anche un'altra opera significativa dell'artista, il Polittico di Santa Petronilla ricollocato nella ricomposizione proposta nell'allestimento della grande mostra sul pittore tenutasi a Siena presso il complesso museale Santa Maria della Scala dal 22 ottobre 2017 al 8 aprile 2018. In particolare, l'esposizione ha rivalutato la vicenda artistica di Ambrogio, che eseguì una serie di dipinti prodotti in larga parte per le chiese della città di Siena.
Carlo Biancalani.
UFFIZI: NUOVI RECORD DIGITALI, E ORA ARRIVA LA SEZIONE VIDEO
54mila visualizzazioni giornaliere delle mostre online, per un totale di oltre 3,8 milioni
Boom anche in Cina con 1,4 milioni di visualizzazioni in un solo giorno delle clip in cinese pubblicate dalle Gallerie per la Giornata Internazionale dei Musei
Il direttore Schmidt: “Il valore dell’offerta digitale
si accresce ancora nel periodo della ripartenza”
Continua la crescita vigorosa delle Gallerie degli Uffizi sui social e sul sito web (www.uffizi.it). Dal giorno di chiusura dei musei l’8 marzo scorso, le 21 mostre virtuali (Ipervisioni) degli Uffizi hanno realizzato più di 3,8 milioni visualizzazioni – ovvero 55mila al giorno. In particolare, il tour virtuale a 360 gradi delle nuove sale veneziane del museo, lanciato il 22 aprile scorso, è stato visto da oltre 110mila spettatori, più di 4mila al giorno. Ugualmente forte è la continua crescita degli Uffizi sui vari social media, da Instagram che vede gli Uffizi tra i musei più seguiti al mondo e leader assoluti in Italia (488mila follower) alla nuova pagina Facebook che in circa due mesi dalla sua apertura ha già 53mila follower con 2,5 milioni visualizzazioni dei video pubblicati. Non solo: le due clip in cinese realizzate in occasione della Giornata internazionale dei musei il 18 maggio 2020, nelle quali il direttore Eike Schmidt si rivolge direttamente agli utenti nella loro lingua, hanno ottenuto rispettivamente 724.000 e 676.000 visualizzazioni in un solo giorno, per un totale di 1,4 milioni (http://my-h5news.app.xinhuanet.com/h5/video.html?articleId=3601fc52-115a-41b7-88a0-be01eb4b59d1 ; http://my-h5news.app.xinhuanet.com/h5/video.html?articleId=bff007ad-065d-4d04-9fc4-e1cd20009235 ).
Sono in continua crescita anche le banche dati scientifici degli Uffizi e gli strumenti digitali messi a disposizione degli studiosi. Per fare un esempio, la condivisione di ricerche a partire da termini tecnici tra la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e Le Gallerie degli Uffizi, nata lo scorso anno grazie a una collaborazione tra i due enti, ammonta già a circa 300 voci di ricerca.
LA NUOVA SEZIONE DEDICATA AI VIDEO
Il potenziamento delle Gallerie in rete compie oggi un decisivo passo avanti con il lancio, sul sito del museo, di una funzione che raccoglie tutti i video pubblicati in vari luoghi e sui vari profili social (www.uffizi.it/video-storie), rendendoli facilmente disponibili anche a chi non è presente sui social. Questo serve anche come aggregatore e indice tematico per individuare e ritrovare i video che rispondono agli interessi di ciascuno. Raccolti in contenitori narrativi – che cresceranno man mano, con la costante aggiunta di nuovi video – sono suddivisi per temi e dedicati a curiosità, segreti e meraviglie di Palazzo Pitti in “Una Reggia da Scoprire”; ai capolavori famosi e alle opere meno conosciute della Galleria delle statue e delle pitture in “Gli Uffizi visti da vicino”; al patrimonio naturale, alle bellezze architettoniche e scultoree e alle attività quotidiani nel segno delle stagioni in “Arte e Natura nel Giardino di Boboli”. Altre finestre si aprono sui campi tematici e metodologici che stanno al centro delle conferenze del mercoledì agli Uffizi, ovvero “Archeologia agli Uffizi”, “Capolavori su carta”, “Tesori dai depositi”, “Dietro le quinte” e “Laboratorio universale”. È anche presente il ciclo di lezioni “Etruschi tra Storia e Mito”. Ma non finisce qui: “Mostre”, “Performance e Spettacoli”, “Restauri”, “Attività educative”, “La mia sala”, “Dialoghi d’Arte e Cultura” e “Uffizi en español” offrono ulteriori video storie per tutti gli interessi. C’è inoltre la funzione di ricerca con le parole chiave di ogni video.
Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: "Ora che ci accingiamo a riaprire i nostri luoghi di cultura dopo dieci settimane di lockdown, i nuovi contenuti digitali che da marzo si sono intensificati sulle nostre piattaforme diventano ancora più preziosi quando vengono messi in connessione con gli originali. Da oggi è possibile, per alcune centinaia di opere d’arte che si ammirano nelle nostre gallerie, approfondirne i contenuti con video e schede accessibili gratuitamente sullo smartphone. Per giunta i video sono incrociati con i testi, e così i testi con le immagini ad alta definizione. In questa maniera tutti possono disporre di una pluralità di accessi e di vari livelli di informazioni utili, tra l’altro, sia a preparare la visita agli Uffizi, sia a rendere più coinvolgente l’esperienza stessa, o ancora ad approfondirla successivamente”.
/*Inizia su Facebook la domenica “green” delle Gallerie degli Uffizi con un video dedicato alla Limonaia del Giardino di Boboli, per proseguire su Instagram e sul sito web con uno spazio dedicato al Giardino delle Camelie*//*. *//*Il direttore Schmidt: “*//*Approfondire la nostra sensibilità civica ed ecologica, per costruire un futuro migliore, basato sul rispetto per la Natura*//*”*/
*La Limonaia del Giardino di Boboli*domenica 26 aprile arriverà *nelle case dei visitatori di tutto il mondo con un video in inglese (sottotitolato in italiano) *che ne racconterà la storia, a partire dalla realizzazione su progetto di Zanobi del Rosso tra il 1777 e il 1778. Ancora oggi, come nel Settecento, lo splendido edificio rococò offre riparo invernale per gli agrumi, ed è uno dei luoghi simbolo di Boboli.
*A raccontarlo sarà la curatrice del Giardino, Bianca Maria Landi,*che apre così anche *il nuovo ciclo di video su Facebook in lingua inglese*, a poco più di una settimana dall’inizio di quelli in lingua spagnola.
*Il tour virtuale**vuole*anche *celebrare la prima Giornata Europea dei Giardini Storici, promossa dall’**European Route of Historic Gardens *(http://europeanhistoricgardens.eu/), una rete di cui fa parte anche Boboli insieme ad altri come Il*Giardino Botanico di Lisbona*, il *Parco della Reggia di Caserta*e quello di *Villa d’Este*, il Palacio de Generalifedell’*Alhambra di Granada *e il*Giardino del Palazzo del Re Jan III a Wilanów*in Polonia. Il network è nato per promuovere la conoscenza del patrimonio dei giardini storici in Europa, e per sviluppare legami, collaborazioni e scambio di esperienze tra le varie istituzioni che ne fanno parte.
*Le iniziative social e green delle Gallerie degli Uffizi proseguiranno*anche *su Instagram**con un post dedicato al “Giardino delle Camelie”*. Con una collezione di oltre 60 cultivars (quasi tutte della specie /Camelia japonica/), si tratta di uno dei pochissimi giardini ad aver conservato il suo disegno originale: è un’area stretta e lunga che si sviluppa lungo l’ala meridionale di Palazzo Pitti, e che si può vedere dal plateau davanti alla Palazzina della Meridiana, guardando verso nord.
In occasione della Giornata Europea dei Giardini storici verrà inoltre presentata una serie di quattro video che a partire dal 30 aprile andranno in onda su Facebook ogni giovedì, nei quali il giardiniere Gianni Simonti racconterà *la tradizione del cotto dell’Impruneta, usato per le nuove “conche” (i vasi) degli agrumi medicei*. Una delle iniziative incluse nel progetto /Primavera di Boboli/, finanziato dalla Maison Gucci, infatti, ha previsto la produzione della nuova vaseria per questa sezione storica. La collezione di agrumi infatti, uno dei vanti del Giardino, è tra le più grandi e rilevanti d’Europa con più di 500 piante in vaso e circa 60 varietà di cui 30 antiche, già coltivate all’epoca dei Medici.
È una storia gloriosa anche quella dei vasi in cotto che le contengono, fin dal Cinquecento, e che in alcuni casi hanno un diametro che supera 70 cm: nei casi in cui si rende necessaria una sostituzione, anche ai nostri giorni professionalità e tradizione si uniscono per creare completamente a mano *veri e propri capolavori dell’artigianato*, tra i più tipici e pregiati del Made in Italy.
“/In questi giorni /– commenta *il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt*- /la primavera è esplosa a Boboli, ed è uno dei momenti cruciali dell’anno per il giardino, che si “rimette in forma” per quando riapriremo. Non dimentichiamo tuttavia che si tratta di un monumento storico, anche dal punto di vista botanico: conoscere la ricchezza e la varietà delle specie che vi crescono è fondamentale per approfondire la nostra sensibilità civica ed ecologica, ma soprattutto è una prospettiva per costruire un futuro migliore, basato sul rispetto per la Natura e per i suoi regali generosi”./
Aggiunge la *curatrice del patrimonio botanico e**coordinatrice del Giardino di Boboli, Bianca Maria Landi*: /“Il Giardino è da sempre una delle più profonde espressioni della bellezza, ma è anche metafora della vita: ci insegna il valore dei cicli, il rispetto dei tempi, il senso dell’attesa, la forza della rinascita. In tempi come quelli che stiamo vivendo questa visione ci può aiutare a trovare equilibrio. Siamo perciò felici di dare voce alle sue storie e di condividere alcune delle sue suggestioni. Così come riteniamo fondamentale che questo dialogo culturale si estenda e rafforzi oltre i nostri confini, obiettivo dell’European Route of Historic Gardens”./
L'impatto della pandemia sull'economia di mercato (Di Giuseppe Aglietti)
Che la pandemia avrà profonde conseguenze sulla vita dell'umanità è evidente anche se è difficile al momento apprezzarne la reale portata. Sotto l'aspetto economico che più direttamente condiziona i rapporti sociali, l'attuale emergenza genera problemi inediti e, com'è successo in passato, rende evidenti mutazioni profonde già in corso ma che, essendosi sviluppate nel tempo, non sono ancora percepite nella loro reale dimensione.
L'economia di tutti i paesi opera, più o meno all'interno del “capitalismo” ove lo si intenda, genericamente, come “economia di mercato” nella quale la produzione di beni e servizi segue le leggi della domanda e dell'offerta e nella quale i beni capitali appartengono, in parte o in toto, a individui, singoli e associati. ... ./.
Trovate il testo completo nella sezione DOCUMENTI: Economia e Pandemia di Giuseppe Aglietti.
UFFIZI DECAMERON IN RETE: ARTE, CULTURA
E SVAGO NELLE CASE DI TUTTI
Le Gallerie intensificano le attività su Twitter e Instagram e aprono la nuova pagina Facebook con video, foto e storie dai musei.
Parte oggi Uffizi Decameron, campagna social lanciata dalle Gallerie degli Uffizi. L’obiettivo è tenere compagnia, nel segno della grande arte, a tutti coloro che restano in casa per aiutare la campagna di prevenzione del contagio da Coronavirus.
(www.facebook.com/uffizigalleries/)
Ogni giorno, sui profili Instagram e Twitter degli Uffizi, verranno pubblicate foto, video e storie dedicate ai capolavori custoditi nella Galleria delle Statue e delle Pitture, in Palazzo Pitti e nel Giardino di Boboli.
Il nome della campagna, che avrà anche l’hashtag #UffiziDecameron, è ispirato appunto alla celebre opera di Giovanni Boccaccio scritta nella metà del Trecento. In essa 10 giovani sfuggono al contagio della peste nera rifugiandosi in una villa sui colli sopra Firenze: per combattere la noia del ritiro forzato ciascuno di loro racconta una novella al giorno, ispirandosi ogni volta a un tema diverso. Così gli Uffizi ai tempi del coronavirus diventano un rifugio virtuale: il loro programma su Instagram, Twitter, Youtube e sul sito web viene ampliato e da oggi potenziato con l’apertura di un altro canale social, Facebook, alla pagina Gallerie degli Uffizi (indirizzo www.facebook.com/uffizigalleries/)
“Anche se i musei hanno dovuto chiudere le loro porte, l’arte non si ferma – ha spiegato oggi il direttore Eike Schmidt - Per questo da adesso ci rivolgeremo al nostro pubblico anche attraverso Facebook. I tesori degli Uffizi, di Palazzo Pitti e del Giardino di Boboli vi terranno compagnia in queste settimane di comune impegno contro il diffondersi del virus. Oggi diamo inizio ad Uffizi Decameron: come nel capolavoro di Boccaccio, ogni giorno racconteremo le storie, le opere, i personaggi dei nostri bellissimi musei, unendoci nel nome della cultura, dell’arte e – perché no – dello svago. Gli Uffizi saranno con voi, nelle vostre case, per superare tutti insieme l’attuale momento di difficoltà. Evitiamo ogni contagio, tranne quello della bellezza”.
Nell’ambito di Uffizi Decameron ci sarà anche “La mia Sala”, serie di “minitour virtuali” nei quali gli assistenti museali illustreranno in video alcuni più suggestivi angoli delle Gallerie, con i loro segreti e le loro opere.
Ad arricchire ed affiancare Uffizi Decameron sarà anche la pubblicazione sui social di immagini, video e contenuti dedicati a Raffaello e ai suoi capolavori, celebrati nella ricorrenza del cinquecentenario dalla sua morte. È un gesto virtuale dal forte contenuto simbolico, che in parte consola della temporanea sospensione della grande mostra sul pittore urbinate, organizzata a Roma dalle Scuderie del Quirinale e dagli Uffizi, alla quale le Gallerie hanno prestato una cinquantina di opere sulle circa 200 complessive in esposizione.
Dal 26 febbraio il canale Instagram degli Uffizi ha lanciato l’hashtag #Decameron e pubblicando in un post il dipinto “I Novellieri del XIV secolo” di Vincenzo Cabianca (1860) custodito alla Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti ha ricordato il capolavoro letterario di Giovanni Boccaccio.
Gli Uffizi aderiscono alla campagna di prevenzione del Ministero dei Beni culturali e del Turismo #iorestoacasa.
cb
LA CULTURA VINCE
NUOVO RESTAURO IN PALAZZO VECCHIO TARGATO FRIENDS OF FLORENCE
LA BELLISSIMA E ATTUALE MOSTRA DI THOMAS SARACENO A PALAZZO STROZZI
VEDERE GLI UFFIZI SENZA FOLLA IN QUESTI GIORNI È POSSIBILE
Segnalo che i Musei Civici di Firenze avranno ingresso gratuito i giorni 6, 7 e 8 marzo 2020
Ovviamente la paura si propaga molto più velocemente dei virus spinta da molteplici fattori che per correttezza non argomento.
Sta di fatto che l’Italia popolata oramai più da vecchi - La Società Italiana di Gerontologia e Geriatria ha annunciato che si diventerebbe anziani a 75 anni, cioè che i vari miglioramenti delle condizioni di vita renderebbero oggi le persone di quell’età equivalenti per “forza fisica” a una persona di 55 anni nel 1980. Ma è la forza fisica un tratto indicatore di anzianità? Mah… Se chiediamo alle persone che si avvicinano all’età anziana quale indicatore per loro conta, scopriamo che al primo posto non c’è la forza fisica, ma la memoria (dimenticare i nomi dei familiari) o l’indipendenza – quindi popolazione molto sensibile a questo virus influenzale che potrebbe colpire e anche uccidere le persone più deboli e meno difese e nessuno con chiarezza e autorevolezza indiscussa spiega veramente di cosa si tratta e quali problemi realmente causa. Se una fa confronti nota che attualmente nel Mondo i decessi per questo virus sono solo il doppio di quelli causati dai fulmini che solo in Italia nel 2019 hanno ucciso 15 persone su 50 colpite.
La cultura è un naturale antivirale in quanto capace di sollevare il morale e l’interesse e quindi rafforza l’organismo e le sue difese come il cibo sano. la luce, le passeggiate, ecc.
Ultimamente in quest’ambito due eventi artistici hanno attirato la mia attenzione ed ho quindi redatto un breve commento.
IL RESTAURO DEL TERRAZZO DI GIUNONE E IL PUTTO DEL VERROCCHIO IN PALAZZO VECCHIO
Il terrazzo di Giunone così chiamato per la sua storia ma ora non più terrazzo e spesso confuso con il terrazzo di Saturno che gli sta accanto e che si affaccia sul retro del palazzo, si trova tra le «stanze nuove» che Cosimo I de’ Medici fece costruire all’indomani del suo trasferimento dalla residenza di famiglia al palazzo che per oltre due secoli aveva ospitato il governo comunale e repubblicano della città, per adattare l’austero edificio medievale alle esigenze di comodità e di sfarzo di una corte aristocratica, di prestigio europeo, come quella che il secondo duca di Firenze ambiva a costituire. Il locale fa parte del cosiddetto Quartiere degli Elementi, destinato ad accogliere gli ospiti della corte e costruito sotto la direzione di Battista del Tasso tra il 1551 e il 1555 e subito modificato dall’architetto e pittore Giorgio Vasari, principale artefice della trasformazione dell’antico Palazzo in una sontuosa reggia ducale. Al Vasari e ai suoi collaboratori si devono i preziosi palchi lignei dipinti, gli stucchi e gli affreschi che decorano le sale del quartiere con storie della prima stirpe delle divinità mitologiche (cfr. il volume su Palazzo Vecchio edito da Banca Toscana). Il complesso programma iconografico sotteso a questa decorazione, ideato dall’erudito Cosimo Bartoli, è volto a paragonare, in chiave celebrativa, gli “dei celesti” raffigurati in queste stanze ai personaggi illustri del casato mediceo, “dei terrestri”, ai quali sono dedicate le sale perfettamente speculari del sottostante Quartiere di Leone X. Il terrazzo di Giunone, portato a compimento nel 1557, oggi si presenta come una stanza di modeste dimensioni, ma è così detto perché in origine era una loggia con colonne che si affacciava sul versante nord-orientale della città, secondo quanto riferisce Giorgio Vasari nei suoi Ragionamenti, progettata per accogliere, al centro, una fontana e, sul lato interno, una statua antica della dea che sarebbe dovuta arrivare da Roma, per dono di Baldovino del Monte. La fontana non fu mai realizzata, ma resta a rievocarne il progetto il dipinto che Cosimo I fece eseguire per modello sulla parete interna, rappresentante una finta nicchia con un putto alato in bronzo dorato che, al centro di una vasca circolare, versa acqua da un vaso, con un piede sopra la testa di un delfino. Non si hanno altre notizie neppure della statua di Giunone che potrebbe non essere mai giunta a Firenze. Nella stessa parete, al di sopra della finta fontana, si conserva però la grande nicchia che avrebbe dovuto ospitarla, incorniciata da una spettacolare mostra in stucco con erme, mascheroni e ghirlande in rilievo. Maestose cornici in stucco riquadrano anche gli affreschi che decorano la volta e i sovrapporta della parte chiusa dell’antica loggia - di collegamento tra gli adiacenti locali del quartiere - con storie di Giunone, figlia di Saturno e Opi, sorella e moglie di Giove, «dea dell’aria, delle ricchezze, e de’ regni, e de’ matrimoni». Analogamente a tutti gli altri terrazzi e terrazzini che furono costruiti durante la ristrutturazione cinquecentesca del palazzo, la loggia era principalmente destinata alla duchessa e alle sue dame di corte che, in assenza di giardini interni, qui potevano recarsi a «pigliare aria» e svagarsi alla vista di un bel panorama. Come riferisce lo stesso Vasari nei Ragionamenti, l’intitolazione a Giunone era quindi dedicata a Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, che nella corte ducale aveva eguagliato le virtù della dea portando serenità tra i sudditi, elargendo doni e combinando matrimoni proficui. Giunone compare al centro della volta, secondo l’iconografia tradizionale, su di un carro trainato da due pavoni, animali a lei sacri, tra le personificazioni dell’Abbondanza e della Podestà. Nei due riquadri affrescati sopra le porte di passaggio, la dea è invece evocata nel suo ruolo di moglie gelosa che punisce le amanti del suo sposo per essersi assoggettate «fuor del vinculo matrimoniale»: la ninfa Callisto, da lei trasformata in un’orsa che sarebbe poi divenuta la costellazione dell’Orsa Minore e la giovane sacerdotessa Io, mutata da Giove in una vacca nel tentativo di ingannare Giunone, ma da quest’ultima richiesta in dono e segregata con tali sembianze sotto la custodia del pastore Argo. Il terrazzo venne trasformato in una stanza chiusa a seguito dei successivi interventi di ampliamento del lato del palazzo prospiciente via dei Leoni. Il loggiato era sicuramente già tamponato alla fine del XVIII secolo. Oggi ospita al centro il celebre Putto con delfino di Andrea del Verrocchio Inizialmente sistemato nella Sala della Cancelleria, alla metà degli anni Ottanta giunse infine nel Terrazzo di Giunone, dove sembra rievocare la fontana che Giorgio Vasari avrebbe dovuto realizzare al centro della loggia e dialogare con l’analogo putto in bronzo dorato che qui era stato dipinto, come «modello», in vista dell’attuazione di quel progetto. Il Putto del Verrocchio originale ha quindi ripreso il suo posto lasciando nel cortile di Palazzo Vecchio la copia e dopo aver fatto un volo transoceanico a Washington per la mostra del Verrocchio che dopo Palazzo Strozzi li si era parzialmente trasferita.
Chi da un po’ non visita Palazzo Vecchio ha quindi anche questa “chicca” da godere oltre ai tanti miglioramenti e restauri recentemente eseguiti……
Un ringraziamento ai Friends of Florence che da tanto tempo, grazie alla sempre presente Simonetta Brandolini d’Adda, trovano sostenitori finanziari per sostenere molti degli interventi di restauro della nostra città.
L’ENTUSIASMANTE MOSTRA DI THOMAS SARACENO A PALAZZO STROZZI
dal 22 febbraio al 19 luglio 2020 a Firenze
Palazzo Strozzi continua a stupirci presentandoci nuovi nomi e artisti per la maggioranza di noi sconosciuti ma famosi nell’ambito della cultura mondiale. È ora il turno di Thomàs Saraceno un giovane (1973) artista argentino.
Nel suo lavoro si intrecciano arte, scienze naturali e sociali, ed esplorazioni anche mentali per vedere con occhi nuovi e diversi modi di vivere sostenibili e percezioni dell’ambiente che ci facciano godere di quello che ci circonda senza intaccarlo o consumarlo o peggio inquinandolo.
Tutto è visto in chiavi di lettura non sempre facili con allestimenti che a volta paiono strani e richiedono una particolare attenzione e tempo …. la mostra non è una rapida corsa ma un sostare ed ambientarsi al buio (occorrono diversi minuti prima che la proteina dell’adattamento dell’occhio agisca e ci aiuti a percepire quello che ci circonda) per poi passare alla luce, alle piante (Tisillandie) all’aria e all’opera dei ragni.
Il ragno è uno dei protagonisti di questa esposizione. Il ragno che non si vede ma la sua fonte di cibo “la tela” è praticamente sempre presente. Il ragno animale che non mangia e non può farlo fino a che non ha compiuto il suo lavoro, la tela appunto. La tela che è sensibile ad ogni movimento, ad ogni soffio dell'aria, alla polvere e alle vibrazioni.
In questa esposizione genialmente creata anche negli allestimenti inconsueti per Palazzo Strozzi come dice Thomàs si passa dall’Umanesimo dell’Uomo vitruviano di cui Palazzo Strozzi è un simbolo per architettura e proporzioni all’Antropocene (Il termine indica l’era geologica attuale, nella quale all'uomo e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche.
Thomàs a Palazzo Strozzi dimostra l’attualità ma la supera collegandola al cosmo attraverso le sue opere e i suoi collegamenti (la tela del ragno) unisce il microcosmo delle particelle e del pulviscolo al macrocosmo dei soli e delle galassie i cui elementi come in una jam session cosmica si uniscono creando suoni ed emozioni. Difficile spiegare le emozioni che uno può o non può provare ma posso dire per quanto mi riguarda che uscito dalla mostra mi sono sentito felice e leggero, una sensazione di comunicazione positiva che mi ha toccato.
Solo ora riflettendo e leggendo riesco forse a comprendere di più ma la sensazione è rimasta, un po’ come quando si va al cinema o a teatro e si esce contenti.
Con questo non voglio certo convincere nessuno né fornire spiegazioni che certamente riuscirete a trovare da soli. Per inciso visto che noi spesso ci rivolgiamo al passato un tema simile era già stato affrontato, in modo certo diverso, nella scarsella della cupoletta della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo edificata su progetto brunelleschiano e forse affrescata dal Pesello (Giuliano d’Arrigo 1367-1446) che raffigura un cielo stellato molto dettagliato grazie alla supervisione dell’astronomo Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482).
Per chi vuole visitare la Mostra di palazzo Strozzi a Firenze mi risulta che Trenitalia abbia delle promozioni e così pure la Unicoop Firenze. La mostra ha poi collegate conferenze, allestimenti ed esposizioni in varie parti della città, consultare https://www.palazzostrozzi.org/archivio/mostre/tomas-saraceno-aria/
Per concludere se qualcuno vuole visitare gli Uffizi ora è il momento migliore, pochissime persone e tanto tempo per vedere le opere in genere prese d’assalto come le Maestà (Cimabue, Duccio e Giotto), la Primavera e la Venere del Botticelli, le nuove sale di Leonardo da Vinci, la splendida Tribuna, la bellissima sala della Niobe, il Tondo Doni di Michelangelo ecc. ecc.
LA CULTURA VINCE
NUOVO RESTAURO IN PALAZZO VECCHIO TARGATO FRIENDS OF FLORENCE
LA BELLISSIMA E ATTUALE MOSTRA DI THOMAS SARACENO A PALAZZO STROZZI
VEDERE GLI UFFIZI SENZA FOLLA IN QUESTI GIORNI È POSSIBILE.
Segnalo che i Musei Civici di Firenze avranno ingresso gratuito i giorni 6, 7 e 8 marzo 2020
Ovviamente la paura si propaga molto più velocemente dei virus spinta da molteplici fattori che per correttezza non argomento.
Sta di fatto che l’Italia popolata oramai più da vecchi - La Società Italiana di Gerontologia e Geriatria ha annunciato che si diventerebbe anziani a 75 anni, cioè che i vari miglioramenti delle condizioni di vita renderebbero oggi le persone di quell’età equivalenti per “forza fisica” a una persona di 55 anni nel 1980. Ma è la forza fisica un tratto indicatore di anzianità? Mah… Se chiediamo alle persone che si avvicinano all’età anziana quale indicatore per loro conta, scopriamo che al primo posto non c’è la forza fisica, ma la memoria (dimenticare i nomi dei familiari) o l’indipendenza – quindi popolazione molto sensibile a questo virus influenzale che potrebbe colpire e anche uccidere le persone più deboli e meno difese e nessuno con chiarezza e autorevolezza indiscussa spiega veramente di cosa si tratta e quali problemi realmente causa. Se una fa confronti nota che attualmente nel Mondo i decessi per questo virus sono solo il doppio di quelli causati dai fulmini che solo in Italia nel 2019 hanno ucciso 15 persone su 50 colpite.
La cultura è un naturale antivirale in quanto capace di sollevare il morale e l’interesse e quindi rafforza l’organismo e le sue difese come il cibo sano. la luce, le passeggiate, ecc.
Ultimamente in quest’ambito due eventi artistici hanno attirato la mia attenzione ed ho quindi redatto un breve commento.
IL RESTAURO DEL TERRAZZO DI GIUNONE E IL PUTTO DEL VERROCCHIO IN PALAZZO VECCHIO
Il terrazzo di Giunone così chiamato per la sua storia ma ora non più terrazzo e spesso confuso con il terrazzo di Saturno che gli sta accanto e che si affaccia sul retro del palazzo, si trova tra le «stanze nuove» che Cosimo I de’ Medici fece costruire all’indomani del suo trasferimento dalla residenza di famiglia al palazzo che per oltre due secoli aveva ospitato il governo comunale e repubblicano della città, per adattare l’austero edificio medievale alle esigenze di comodità e di sfarzo di una corte aristocratica, di prestigio europeo, come quella che il secondo duca di Firenze ambiva a costituire. Il locale fa parte del cosiddetto Quartiere degli Elementi, destinato ad accogliere gli ospiti della corte e costruito sotto la direzione di Battista del Tasso tra il 1551 e il 1555 e subito modificato dall’architetto e pittore Giorgio Vasari, principale artefice della trasformazione dell’antico Palazzo in una sontuosa reggia ducale. Al Vasari e ai suoi collaboratori si devono i preziosi palchi lignei dipinti, gli stucchi e gli affreschi che decorano le sale del quartiere con storie della prima stirpe delle divinità mitologiche (cfr. il volume su Palazzo Vecchio edito da Banca Toscana). Il complesso programma iconografico sotteso a questa decorazione, ideato dall’erudito Cosimo Bartoli, è volto a paragonare, in chiave celebrativa, gli “dei celesti” raffigurati in queste stanze ai personaggi illustri del casato mediceo, “dei terrestri”, ai quali sono dedicate le sale perfettamente speculari del sottostante Quartiere di Leone X. Il terrazzo di Giunone, portato a compimento nel 1557, oggi si presenta come una stanza di modeste dimensioni, ma è così detto perché in origine era una loggia con colonne che si affacciava sul versante nord-orientale della città, secondo quanto riferisce Giorgio Vasari nei suoi Ragionamenti, progettata per accogliere, al centro, una fontana e, sul lato interno, una statua antica della dea che sarebbe dovuta arrivare da Roma, per dono di Baldovino del Monte. La fontana non fu mai realizzata, ma resta a rievocarne il progetto il dipinto che Cosimo I fece eseguire per modello sulla parete interna, rappresentante una finta nicchia con un putto alato in bronzo dorato che, al centro di una vasca circolare, versa acqua da un vaso, con un piede sopra la testa di un delfino. Non si hanno altre notizie neppure della statua di Giunone che potrebbe non essere mai giunta a Firenze. Nella stessa parete, al di sopra della finta fontana, si conserva però la grande nicchia che avrebbe dovuto ospitarla, incorniciata da una spettacolare mostra in stucco con erme, mascheroni e ghirlande in rilievo. Maestose cornici in stucco riquadrano anche gli affreschi che decorano la volta e i sovrapporta della parte chiusa dell’antica loggia - di collegamento tra gli adiacenti locali del quartiere - con storie di Giunone, figlia di Saturno e Opi, sorella e moglie di Giove, «dea dell’aria, delle ricchezze, e de’ regni, e de’ matrimoni». Analogamente a tutti gli altri terrazzi e terrazzini che furono costruiti durante la ristrutturazione cinquecentesca del palazzo, la loggia era principalmente destinata alla duchessa e alle sue dame di corte che, in assenza di giardini interni, qui potevano recarsi a «pigliare aria» e svagarsi alla vista di un bel panorama. Come riferisce lo stesso Vasari nei Ragionamenti, l’intitolazione a Giunone era quindi dedicata a Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, che nella corte ducale aveva eguagliato le virtù della dea portando serenità tra i sudditi, elargendo doni e combinando matrimoni proficui. Giunone compare al centro della volta, secondo l’iconografia tradizionale, su di un carro trainato da due pavoni, animali a lei sacri, tra le personificazioni dell’Abbondanza e della Podestà. Nei due riquadri affrescati sopra le porte di passaggio, la dea è invece evocata nel suo ruolo di moglie gelosa che punisce le amanti del suo sposo per essersi assoggettate «fuor del vinculo matrimoniale»: la ninfa Callisto, da lei trasformata in un’orsa che sarebbe poi divenuta la costellazione dell’Orsa Minore e la giovane sacerdotessa Io, mutata da Giove in una vacca nel tentativo di ingannare Giunone, ma da quest’ultima richiesta in dono e segregata con tali sembianze sotto la custodia del pastore Argo. Il terrazzo venne trasformato in una stanza chiusa a seguito dei successivi interventi di ampliamento del lato del palazzo prospiciente via dei Leoni. Il loggiato era sicuramente già tamponato alla fine del XVIII secolo. Oggi ospita al centro il celebre Putto con delfino di Andrea del Verrocchio Inizialmente sistemato nella Sala della Cancelleria, alla metà degli anni Ottanta giunse infine nel Terrazzo di Giunone, dove sembra rievocare la fontana che Giorgio Vasari avrebbe dovuto realizzare al centro della loggia e dialogare con l’analogo putto in bronzo dorato che qui era stato dipinto, come «modello», in vista dell’attuazione di quel progetto. Il Putto del Verrocchio originale ha quindi ripreso il suo posto lasciando nel cortile di Palazzo Vecchio la copia e dopo aver fatto un volo transoceanico a Washington per la mostra del Verrocchio che dopo Palazzo Strozzi li si era parzialmente trasferita.
Chi da un po’ non visita Palazzo Vecchio ha quindi anche questa “chicca” da godere oltre ai tanti miglioramenti e restauri recentemente eseguiti……
Un ringraziamento ai Friends of Florence che da tanto tempo, grazie alla sempre presente Simonetta Brandolini d’Adda, trovano sostenitori finanziari per sostenere molti degli interventi di restauro della nostra città.
L’ENTUSIASMANTE MOSTRA DI THOMAS SARACENO A PALAZZO STROZZI
dal 22 febbraio al 19 luglio 2020 a Firenze
Palazzo Strozzi continua a stupirci presentandoci nuovi nomi e artisti per la maggioranza di noi sconosciuti ma famosi nell’ambito della cultura mondiale. È ora il turno di Thomàs Saraceno un giovane (1973) artista argentino.
Nel suo lavoro si intrecciano arte, scienze naturali e sociali, ed esplorazioni anche mentali per vedere con occhi nuovi e diversi modi di vivere sostenibili e percezioni dell’ambiente che ci facciano godere di quello che ci circonda senza intaccarlo o consumarlo o peggio inquinandolo.
Tutto è visto in chiavi di lettura non sempre facili con allestimenti che a volta paiono strani e richiedono una particolare attenzione e tempo …. la mostra non è una rapida corsa ma un sostare ed ambientarsi al buio (occorrono diversi minuti prima che la proteina dell’adattamento dell’occhio agisca e ci aiuti a percepire quello che ci circonda) per poi passare alla luce, alle piante (Tisillandie) all’aria e all’opera dei ragni.
Il ragno è uno dei protagonisti di questa esposizione. Il ragno che non si vede ma la sua fonte di cibo “la tela” è praticamente sempre presente. Il ragno animale che non mangia e non può farlo fino a che non ha compiuto il suo lavoro, la tela appunto. La tela che è sensibile ad ogni movimento, ad ogni soffio dell'aria, alla polvere e alle vibrazioni.
In questa esposizione genialmente creata anche negli allestimenti inconsueti per Palazzo Strozzi come dice Thomàs si passa dall’Umanesimo dell’Uomo vitruviano di cui Palazzo Strozzi è un simbolo per architettura e proporzioni all’Antropocene (Il termine indica l’era geologica attuale, nella quale all'uomo e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche.
Thomàs a Palazzo Strozzi dimostra l’attualità ma la supera collegandola al cosmo attraverso le sue opere e i suoi collegamenti (la tela del ragno) unisce il microcosmo delle particelle e del pulviscolo al macrocosmo dei soli e delle galassie i cui elementi come in una jam session cosmica si uniscono creando suoni ed emozioni. Difficile spiegare le emozioni che uno può o non può provare ma posso dire per quanto mi riguarda che uscito dalla mostra mi sono sentito felice e leggero, una sensazione di comunicazione positiva che mi ha toccato.
Solo ora riflettendo e leggendo riesco forse a comprendere di più ma la sensazione è rimasta, un po’ come quando si va al cinema o a teatro e si esce contenti.
Con questo non voglio certo convincere nessuno né fornire spiegazioni che certamente riuscirete a trovare da soli. Per inciso visto che noi spesso ci rivolgiamo al passato un tema simile era già stato affrontato, in modo certo diverso, nella scarsella della cupoletta della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo edificata su progetto brunelleschiano e forse affrescata dal Pesello (Giuliano d’Arrigo 1367-1446) che raffigura un cielo stellato molto dettagliato grazie alla supervisione dell’astronomo Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482).
Per chi vuole visitare la Mostra di palazzo Strozzi a Firenze mi risulta che Trenitalia abbia delle promozioni e così pure la Unicoop Firenze. La mostra ha poi collegate conferenze, allestimenti ed esposizioni in varie parti della città, consultare https://www.palazzostrozzi.org/archivio/mostre/tomas-saraceno-aria/
Per concludere se qualcuno vuole visitare gli Uffizi ora è il momento migliore, pochissime persone e tanto tempo per vedere le opere in genere prese d’assalto come le Maestà (Cimabue, Duccio e Giotto), la Primavera e la Venere del Botticelli, le nuove sale di Leonardo da Vinci, la splendida Tribuna, la bellissima sala della Niobe, il Tondo Doni di Michelangelo ecc. ecc.
Carlo Biancalani
Inaugurato oggi il restauro del Tabernacolo posto sul palazzo tra Piazza San Felice e Piazza Pitti a Firenze. L’intervento durato due mesi e mezzo è stato promosso dal Comitato Tabernacoli, appendice degli Amici dei Musei di Firenze e sostenuto dalla Fondazione Friends of Florence.
Il restauro è stato affidato a Bartolomeo Ciccone per l'affresco e a Stefano Landi per la parte lapidea ottenendo un ottimo recupero dell'opera ora ben leggibile e piacevole da ammirare. Simonetta Brandolini d’Adda Presidente di Friends of Florence nel ringraziare il Comitato per il restauro e recupero dei tabernacoli ha ricordato i numerosi recuperi di queste opere ha fatti l'Associazione, ben sette, e d ha espresso il desiderio di continuare in questo campo ancora in parallelo alle altre molte attività di recupero che vengono portate avanti. Il tabernacolo è composto da un affresco raffigurante l’Annunciazione, soggetto probabilmente legato alla rappresentazione dell’Annuncio a Maria che si svolgeva ogni 25 marzo nella vicina Chiesa di San Felice in Piazza, e da un’edicola in pietra serena all’interno del quale è ubicato. Si tratta di una pittura alla calce su intonaco fresco eseguita molto probabilmente nel primo decennio del XVII secolo da un artista tardo manierista di scuola fiorentina, che la critica recente ha ricondotto alla scuola di Santi di Tito.
La presentazione del restauro è stata fatta nel limitrofo Oratorio di San Sebastiano detto dei Bini, un piccolo gioiello rinascimentale ricco di opere d'arte che invito tutti a visitare (visitabile per ora solo il sabato, ingresso gratuito) https://it.wikipedia.org/wiki/Oratorio_di_San_Sebastiano_de%27_Bini
Carlo Biancalani
Il 25 marzo, nell’occasione del Capodanno fiorentino e dell’inizio del viaggio di Dante nella Divina Commedia;
21 gli appuntamenti, ci saranno anche Luciano Canfora, l’ex direttore della National Gallery di Londra Nicholas Penny e Veronica D’Ascenzo.
Una Lectura Dantis, la prima mai tenuta agli Uffizi di Firenze: l’evento, affidato all’insigne dantista Paolo Procaccioli, professore all’Università degli Studi della Tuscia, si terrà, non casualmente, il 25 marzo, data d’inizio del viaggio di Dante nella Divina Commedia e ricorrenza del Capodanno fiorentino. È anche tra le principali novità del calendario di ben 21 incontri, intitolati “Dialoghi di arte e cultura”, organizzati nel primo semestre 2020 nell’auditorium Vasari della Galleria.
La formula degli incontri, che fin dal loro avvio, nel 2017, riscontrano un notevole successo sia di pubblico che di gradimento, è semplice: dall’inizio di ogni ciclo, tutte le settimane, il mercoledì alle 17 nell’Auditorium Vasari degli Uffizi, ci sarà uno studioso a parlare di un argomento di volta in volta diverso. Questo nuovo ciclo di appuntamenti verrà aperto l’8 gennaio alle 17 da Marco Cavalieri, professore di archeologia classica all’Università Cattolica di Lovanio, con una lezione sul ruolo e l’importanza della calzatura nell’antichità. Le conferenze offrono un ventaglio amplissimo di argomenti culturali e storico artistici: ricordiamo quella dello storico Luciano Canfora su “Guerra e Schiavitù in Euripide” (29 gennaio), e di Nicholas Penny, già direttore della National Gallery di Londra, sull’espressività del volto umano nell’arte rinascimentale e barocca, prendendo spunto dall’Alessandro morente degli Uffizi (il 29 maggio, in lingua inglese). L’11 marzo Veronica D’Ascenzo, la maestra sopravvissuta da bambina al tragico crollo della sua scuola a San Giuliano di Puglia, parlerà dell’importanza dell’arte nel superamento dei disturbi post traumatici da stress nei minori.
Anche per il 2020, “Dialoghi di arte e cultura” prevedono quattro categorie di conferenze, a seconda degli argomenti e dell’approccio interpretativo. Ritornano dunque gli oramai classici “Tesori dai depositi”, nei quali i relatori offrono al pubblico studi e riflessioni su un’opera proveniente dalle riserve del museo e che, in occasione della conferenza, sarà eccezionalmente esposta nella sala dell’auditorium. La stessa impostazione viene adottata anche nel caso delle conferenze appartenenti alla categoria “Capolavori su carta”, dedicata a disegni del Gabinetto dei Disegni e Stampe delle Gallerie degli Uffizi. Si tratta di opere del Rinascimento e Barocco italiano, raramente visibili al pubblico per le loro delicate condizioni di conservazione: nel corso della conferenza verranno eccezionalmente esposti come in una breve mostra per pochi intimi. Alla spiegazione di come nasce l’idea di una mostra, di un allestimento oppure, più genericamente, ai retroscena del governo di un complesso sistema museale sono invece dedicati gli appuntamenti dal titolo “Dietro le quinte”. La serie “Laboratorio universale” è invece incentrata su argomenti che tengono spunto dell’arte ma si estendono oltre: le conferenze sono spesso tenute da specialisti di altre discipline che guardano ai tesori del patrimonio artistico sotto una luce diversa rispetto a quella offerta dagli esperti del settore.
AI PIEDI DEGLI DEI
L’arte della calzatura tra Antica Roma, Cinema Colossal e Moda Contemporanea
Palazzo Pitti Galleria del Costume fino al 19 aprile 2020
Dopo “Animalia” la bellissima mostra dell’inizio del 2019 una nuova esposizione viene ora presentata alla Galleria del Costume nell’ambito museale di Palazzo Pitti a Firenze.
Il titolo è particolarmente evocativo “Ai piedi degli dei” e ci narra l’importanza dell’abito per i piedi dal mondo classico fino ad oggi.
La scarpa - vestito del piede - non è solo un accessorio utile per proteggere la struttura anatomica posta all'estremità del corpo umano ma riveste tutt’ora una grande importanza per l’ormai indispensabile utilizzo e non di meno per testimoniare una connotazione sociale.
Mi sovvengono spesso le parole della nonna che diceva “guardagli le scarpe e capirai che tipo é”.
La mostra da poco iniziata a Palazzo Pitti e si protrarrà fino a Pasqua 2020, ci presenta la storia di come venivano vestiti i piedi in Occidente dai tempi antichi ai giorni nostri.
Non dimentichiamo di precisare che il “calzolaio” fin dall’antichità era un artigiano particolarmente considerato. Platone, ad esempio, non esitava a definire l’arte del calzolaio una vera e propria scienza. Con la sua foggia o i suoi colori, questo indumento raccontava tutto della persona che le indossava: il sesso, la condizione economica, la posizione sociale e il lavoro e Cicerone usa l’espressione “mutavit calceos” per far presente il mutato ruolo sociale di un personaggio che divenuto senatore vestiva scarpe diverse da quelle dei patrizi.
Pensiamo anche alle scarpe di cui erano dotati i soldati romani, spesso chiodate per evitare il consumo della suola e per affrontare meglio il terreno.
Una particolare testimonianza viene presentata grazie ad alcuni ben conservati esemplari di calzature antichissime ritrovate a Vindolandia nell’Inghilterra del Nord. Quasi 7000 scarpe usate, di soldati romani, di autorità locali ed altro, buttate perché usurate in una cava di torba che per la sua proprietà di essere anaerobica le ha perfettamente conservate fino alla loro recente scoperta.
Grazie anche ad altri prestiti di importanti musei internazionali come il Louvre o il British Museum si vedranno a confronto le testimonianze di calzature attiche e romane a diretto confronto di scarpe messe a disposizione di stilisti come Genny, Céline, Richard Tyler, Donna Karan e tante altre griffe italiane e straniere come ad esempio Ferragamo, Pucci, Yves Saint Laurent ma si avranno modo di ammirare anche nei dipinti esposti calzature di varie epoche.
Nell’augurare che molti nostri colleghi abbiano l’opportunità di vedere questa mostra nella prossima visita a Palazzo Pitti termino ricordando come la favola di Cenerentola non avrebbe senso se non ci fosse la preziosa scarpetta.
Carlo Biancalani
RESTAURATO IL TABERNACOLO EUCARISTICO DI ANDREA DELLA ROBBIA NELLA CHIESA DEI SS. APOSTOLI GRAZIE AI FRIENDS OF FLORENCE
La Fondazione Friends of Florence, costantemente vicina alle opere del capoluogo toscano, ha reso possibile queso nuovo bellissimo restauro nella una chiesa SS Apostoli che mantiene intatto il suo fascino nel cuore della città e che pur se di piccole dimensioni é uno scrigno di bellezza e di armonia mantenedo intatta la grande spiritualità che comunica bene a chiunque la visiti.
Il restauro del Tabernacolo Eucaristico, durato circa tre mesi, fa apprezzare in tutta la sua bellezza la pregevole opera di Andrea e Giovanni della Robbia. la Fondazione si è avvalsa dei donatori Peter Fogliano e Hal Lester che hanno reso possibile l’intervento.
La Chiesa dei Santi Apostoli e Biagio è infatti una delle più antiche di Firenze, un piccolo scrigno di arte con una particolare armonia architettonica che, a dire del Vasari nella sua opera sulle vite degli artisti, suscitò lo stupore e l'ammirazione dello stesso Brunelleschi. Custode delle pietre del Santo Sepolcro, è impreziosita da alcune opere d'arte tra cui l'olio su tavola dello stesso Vasari che raffigura l'Immacolata Concezione e il capolavoro di Andrea e Giovanni della Robbia, che custodisce, oggi come allora, le specie eucaristiche.
L’opera Protagonista indiscusso dell’eredità robbiana dello zio Luca, Andrea, che muore nel 1525 all’alba dei suoi novant’anni, qui nella Chiesa dei SS. Apostoli intorno al 1512 dirige il figlio Giovanni nella realizzazione di questo grande tabernacolo eucaristico su commissione degli Acciaiuoli, una delle prestigiose famiglie patronali della chiesa. Secondo la notizia ritrovata da Pope-Hennessy (1979) il committente è Giovanni, figlio di quel Piero che frequentava assiduamente i cenacoli culturali di Lorenzo il Magnifico. Giovanni della Robbia, invece, stringerà fecondi rapporti artistici con Andrea del Sarto. Dunque, il cerchio si chiude intorno ad una serie di protagonisti della Firenze rinascimentale e l’opera in terracotta invetriata policroma che ammiriamo oggi dopo l’intervento di restauro, né è testimone visiva, formale e spirituale: la grazia dei movimenti dei grandi angeli reggicortina – già ricordati nella nota di pagamento dell’aprile del 1512 - si raccorda con la vivacità dei puttini, il tutto armonizzato dal contrappunto cromatico e dall’uso della visione prospettica, il cui centro è la volta a botte del ciborio. La predella delimitata lateralmente dagli stemmi degli Acciaiuoli sorregge l’intero tabernacolo sovrastato da una lunetta con il Padre Eterno e due angeli oranti. L’insieme è impreziosito da elementi architettonici di gusto classico, ricche ghirlande e teste di cherubini. Quali parti siano state realizzate dal figlio e quali dal padre, non ci è dato sapere, ma le differenze stilistiche fra un linguaggio più arcaico e chiaro (Andrea) ed uno più articolato e sentimentale (Giovanni) sono da trovarsi fra la parte inferiore e quella superiore. L’intervento di restauro ha voluto riportare all’antico splendore la superficie luminosa della maiolica, attraverso un’attenta pulitura preceduta da una campagna diagnostica accurata, volta a definire tutti gli aspetti legati alla conservazione e al successivo restauro. Le numerose lacune e le diverse interruzioni materiche provocate da fratture presenti sulle superfici, hanno portato inoltre i restauratori a eseguire nella fase finale del restauro un intervento cromatico, resosi necessario per ricomporre la leggibilità dell’opera nella sua interezza.
Vale la pena quindi la pena deviare dalla strada maestra che porta al Ponte Vecchio per soffermarsi ad ammirare questa piccola chiesa e le sue meraviglie.
UN ARETINO IN MOSTRA AGLI UFFIZI
PIETROARETINO
27 novembre 2019 - 1 marzo 2020.
“Mi dicono ch'io sia figlio di cortigiana; ciò non mi torna male; ma tuttavia ho l'anima di un re. Io vivo libero, mi diverto, e perciò posso chiamarmi felice. - Le mie medaglie sono composte d'ogni metallo e di ogni composizione. La mia effigie è posta in fronte a' palagi. Si scolpisce la mia testa sopra i pettini, sopra i tondi, sulle cornici degli specchi, come quella di Alessandro, di Cesare, di Scipione. Alcuni vetri di cristallo si chiamano vasi aretini. Una razza di cavalli ha preso questo nome, perché Papa Clemente me ne ha donato uno di quella specie. Il ruscello che bagna una parte della mia casa è denominato l'Aretino. Le mie donne vogliono esser chiamate Aretine. Infine si dice stile aretino. I pedanti possono morir di rabbia prima di giungere a tanto onore”
“Io non son cieco ne la pittura, anzi molte volte e Rafaello, e fra Bastiano [del Piombo], e Tiziano si sono attenuti al giudizio mio. Perché io conosco parte de gli andari antichi e moderni”
“Divino in venustà fu Raffaello, E Michel Agnol, più divin che umano, Nel disegno stupendo; e Tiziano, Il senso de le cose ha nel pennello. Forma paesi in rilievo sí bello Che ne stupisce il d’apresso e il lontano, Fa vivi e pronti la sua dotta mano Ogni animale, ogni pesce, ogni uccello. Le linee poi nei lor propri giri Sí ben tondeggia che il dose [=doge] dipinto Par che parli, che pensi e che respiri”.
Dalle Lettere di Pietro Aretino
Fu poeta, commediografo, drammaturgo, sferzante penna satirica, consigliere di potenti, talent scout di grandi artisti: Pietro Aretino (Arezzo, 1492 - Venezia, 1556), oggi noto principalmente per i suoi celeberrimi quanto scandalosi Sonetti lussuriosi, è stato, nei fatti, una delle voci culturali più autorevoli del Cinquecento, un intellettuale assai temuto da signori e alti prelati, amico del condottiero Giovanni dalle Bande Nere, del cardinale Giulio de’ Medici, che lo portò a Roma alla corte di Papa Leone X, e di maestri come Tiziano, Raffaello, Parmigianino, che lo ritrassero nelle loro opere e con i quali intratteneva fitte e appassionate corrispondenze epistolari.
Alla poliedrica figura di Aretino, anticipatore (per stessa ammissione di Giorgio Vasari) della storia e critica dell’arte come disciplina autonoma, gli Uffizi dedicano ora, per la prima volta in assoluto, una grande mostra arricchita da importanti prestiti di musei internazionali. Il percorso espositivo raccoglie oltre cento opere tra pittura, grafica, libri a stampa, scultura, arti decorative, che raccontano la vita e lo spirito di Aretino nei luoghi simbolo del Rinascimento, dove egli visse ed esercitò la sua grande influenza sul fervido mondo culturale della prima metà del Cinquecento: la Roma dei papi Medici, la Mantova dei Gonzaga, la Venezia del doge Gritti, la Firenze dei duchi Alessandro e Cosimo I, ma anche Urbino, Perugia, Arezzo, Milano.
Ad aprire la mostra è il Ritratto di Pietro Aretino, uno dei capolavori di Tiziano: conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, si trova a Firenze dal 1545, anno in cui fu donato dallo stesso letterato al duca Cosimo de’ Medici. Opere celeberrime testimoniano alcuni tra i principali momenti della vita di Pietro, dagli esordi tra Arezzo e Perugia, all’approdo alla corte pontificia a Roma, dove entra in contatto con Raffaello (in esposizione il Ritratto femminile prestato dal Museo di Strasburgo e un arazzo dei Musei Vaticani), fino al trasferimento nel nord Italia, a Mantova prima, infine a Venezia, rappresentata soprattutto da altre opere di Tiziano, tra le quali lo Stendardo della Resurrezione, prestito speciale della Galleria delle Marche di Urbino.
Da segnalare poi la rassegna dei ritratti dei potenti con i quali Aretino fu in contatto (tra questi,anche un busto in bronzo di Carlo V opera di Leone Leoni dal Louvre), e la sezione finale della mostra, intitolata “Imago Petri” e focalizzata sulla efficace promozione visiva che Aretino seppe fare della sua figura, con una attenta strategia di marketing comunicativo: dipinti, medaglie, stampe, libri oggetti di uso ‘griffati’ con il suo nome ed il suo volto, quasi una sorta di ‘linea’, grazie alla quale il sagace intellettuale toscano riuscì far conoscere se stesso e la propria immagine. Protagonista di questa parte dell’esposizione è il ritratto del Kunstmuseum di Basilea recentemente attribuito a Tiziano, in cui Aretino appare assai giovane, con in testa un copricapo allora assai di moda, lo ‘scuffiotto’. Di origini umili (era figlio di un calzolaio e di una cortigiana) Aretino ebbe a Perugia una formazione artistica e, per qualche tempo, coltivò velleità di carriera nell’ambito della pittura. Il suo vero, grande talento naturale fu però la scrittura, che praticò in varie forme a partire dai poemetti satirici (le Pasquinate), fino a comporre, nel 1526, i Sonetti lussuriosi, caratterizzati contenuti esplicitamente pornografici che lo resero immediatamente famoso tra i suoi contemporanei. In mostra si possono ammirare le pagine dell’edizione originale (illustrata a Venezia su ispirazione dei disegni eseguiti dall’allievo più talentuoso e versatile di Raffaello Sanzio, Giulio Romano), miracolosamente scampata ai roghi di successive messe all’indice da parte della censura e poi appartenuta anche al figlio del compositore e musicista Arturo Toscanini. Una ricca selezione epistolare testimonia poi l’altra grande novità della produzione di Aretino, costituita dall’immenso corpus di oltre 4000 lettere attraverso le quali l’intellettuale toscano ebbe modo di parlare e condividere le proprie idee con i principali protagonisti della sua epoca. Nella loro caratteristica di storia in presa diretta, le Lettere - per la prima volta redatte per essere pubblicate e diffuse a una crescente platea di lettori - sono un colossale giornale ante litteram, in cui i pensieri dell’Aretino sulle arti assumono l’aspetto di vere e proprie recensioni, ponendosi dunque alle basi della nascita della moderna storia e critica dell’arte. Pietro infatti fu amico e corrispondente di alcuni tra i maggiori artisti del tempo, come Raffaello, Michelangelo, Parmigianino, Sebastiano del Piombo, Tiziano, Tintoretto, e Jacopo Sansovino. Il costante confronto con questi personaggi gli fornì gli strumenti necessari per comprenderne i segreti, raccontarli al suo pubblico e sviscerarne vari aspetti, stili e caratteristiche. Fu così che poté intuire, come un vero e proprio talent scout, le capacità dei giovani più dotati sulla piazza, quali Leone Leoni, Tintoretto, Danese Cattaneo e di promuoverli sulla scena internazionale grazie alla autorevolezza della sua parola.
La mostra include anche un ‘cameo’ cinematografico: per rendere omaggio alla profonda amicizia tra Aretino e Giovanni dalle Bande Nere, vengono proiettati segmenti del ‘Mestiere delle armi’, film di Ermanno Olmi dedicato alla figura del grande condottiero mediceo, nel quale l’intellettuale, interpretato dall’attore Sasa Vulicevic, svolge il ruolo di voce narrante e compare in numerose scene.
‘Pietro Aretino e l’arte del Rinascimento’ si inserisce nell’ampia serie di eventi organizzati dalle Gallerie degli Uffizi e dalla città di Firenze nell’anno 2019 per il cinquecentenario della nascita di Cosimo I ed anticipa, al tempo stesso, le celebrazioni per l’anno di Raffaello, tra pochi mesi.
Qualche cenno biografico
Pietro Aretino nasce nel 1492 ad Arezzo. Alla sua formazione letteraria e pittorica tra Perugia e Siena segue l’ingresso sulla scena della Roma medicea di papa Leone X al seguito del banchiere e mecenate Agostino Chigi. Sono anni in cui Aretino usa la penna mordace per dare voce alla statua “parlante” di Pasquino, in un peculiare mélange di profetismo e satira politica a tutto campo.
Dopo i soggiorni padani tra il campo di Giovanni delle Bande Nere e la corte mantovana di Federico II Gonzaga, nei primi anni ’20, Aretino si trasferisce definitivamente a Venezia. In favore di questa scelta gioca certamente la rocambolesca vicenda dei Sonetti lussuriosi e la rottura dei rapporti con la Curia di papa Clemente VII, il cui esito drammatico va letto nell’attentato subìto dallo scrittore il 28 luglio 1525.
Dopo il Sacco di Roma del 1527, quando era già stabile in Laguna, egli riesce a integrarsi alla perfezione in un sistema politico e propagandistico che lo vede collaborare con Tiziano e Sansovino alla renovatio urbis del Doge Andrea Gritti. D’altro canto, intuendo le potenzialità offerte dall’industria tipografica veneziana, cambia radicalmente la sua singolare carriera di letterato, a questo punto caratterizzata da un rapporto diretto con l’universo delle arti figurative nei panni di accreditato mediatore fra botteghe e committenti. Così negli anni ’30, forte dell’alleanza con l’editore Francesco Marcolini, Aretino riesce a crearsi un profilo di “segretario del mondo” tributato e temuto ovunque, dai piccoli e dai grandi. Il dominio di un eloquio volgare di incomparabile incisività si vuole ora esteso a tutti i generi letterari che pratica simultaneamente con totale disinvoltura: escono così a stretto giro le commedie (l’edizione della Cortigiana è del 1534), i dialoghi pornografici (Ragionamento e Dialogo escono tra il 1534 e il 1536), le Lettere (il primo libro è del 1538), le parafrasi bibliche e le riscritture agiografiche (pubblicate tra il 1534 e il 1543).
Nel 1536 entra definitivamente nell’orbita imperiale diventando pensionato di Carlo V e coltivando un complesso rapporto di patronage con Alfonso d’Avalos, governatore di Milano. Ma è a partire dal 1539, con la nomina cardinalizia di Pietro Bembo nel nuovo clima del pontificato di Paolo III Farnese, che Aretino arricchisce la costruzione del proprio personaggio di un nuovo tassello, alimentando per anni il sogno di pervenire anch’egli alla porpora e rientrare così nei ranghi della Curia romana. Un’ambizione non del tutto priva di fondamento destinata, tuttavia, a fallire definitivamente al principio degli anni ’50, proprio nel momento in cui più forti erano le speranze sotto il quasi conterraneo papa Giulio III Del Monte. La morte lo coglie improvvisa a Venezia il 21 ottobre 1556, con uno strascico di infamie che arrivò, nel tempo, a gonfiare addirittura la favola di un trapasso dovuto a un accesso di risate. Nel 1559, sotto Paolo IV Carafa, tutta la sua opera viene messa all’Indice, pur continuando in realtà a circolare clandestinamente e sotto lo pseudonimo di Partenio Etiro. Ci vorranno secoli per sfatare una leggenda nera che solo di recente la critica è riuscita a dissipare, con la piena restituzione agli studi di un protagonista di punta del nostro Rinascimento.
Annunciato il restauro delle Pietà di Michelangelo dell’Opera del duomo di Firenze, anche detta Pietà Bandini.
E’ giunto il momento che si aspettava da tempo, è iniziato il restauro che permetterà di per poter poi nuovamente ammirare la stupenda Pietà che dopo molte vicissitudini e spostamenti é ora presso il Museo dell’Opera del Duomo.
Il restauro terminerà nell’estate dell’anno prossimo ma i visitatori dell’Opera potranno ammirare l’opera durante le fasi di restauro grazie a un complesso allestimento all’interno del museo che permetterà di seguire in diretta i lavori sia vis a vis sia grazie ai video con ripresa diretta appositamente montati.
Come orami sempre più spesso a Firenze il restauro é stato reso possibile dall’Associazione Friends of Florence che tramite donatori ha raccolto i fondi necessari per l’intervento.
Scolpita in un enorme blocco di marmo bianco di Carrara, tra il 1547 e il 1555 circa, quando Michelangelo era alla soglia di suoi 80 anni, la Pietà dell’Opera del Duomo a Firenze, carica di vissuto e sofferenza, è una delle tre realizzate dal grande artista. A differenza delle altre due - quella giovanile vaticana e la successiva ed ultima Pietà Rondanini - il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato secondo il Vasari e Ascanio Condivi il proprio volto (secondo me il volto di Nicodemo é molto prossimo al Michelangelo che noi conosciamo). La scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, ai cui piedi l’artista avrebbe voluto essere sepolto. La Pietà di Firenze, capolavoro di Michelangelo “è considerata come altre sculture del Buonarroti - afferma Timothy Verdon, direttore del Museo - opera non finita, anche se la dizione che più le competerebbe è quella del XVI secolo quando si diceva ancora opera infinita”.
Il restauro sarà rispettoso della visione oramai consolidata di una superficie visibilmente “ambrata” della Pietà e rispettoso delle patine che nel tempo con il loro naturale processo d’invecchiamento hanno trasformato la cromia originaria del marmo prima un Bianco di Carrara. Il restauro, la cui fase iniziale riguarderà un’ampia campagna diagnostica, ha lo scopo di migliorare la lettura dell’opera che risulta mortificata dalla presenza di depositi e sostanze estranee alle superfici marmoree del gruppo scultoreo.
Non risultano particolari interventi di restauro avvenuti in passato, se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo, entro il 1565 tuttavia negli oltre 470 anni di vita, durante i numerosi passaggi di proprietà e le traumatiche vicende storiche, è presumibile che la Pietà sia stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che però non risultano documentati perché considerati semplici operazioni di routine. Risulta, invece, documentato il calco eseguito nel 1882, di cui rimane la copia di gesso conservata alla Gipsoteca del Liceo Artistico di Porta Romana a Firenze. Probabilmente è proprio in conseguenza di questo intervento ottocentesco che la superficie del gruppo scultoreo si è modificata cromaticamente, soprattutto a causa dell’alterazione delle sostanze utilizzate per l’esecuzione del calco, ma anche di quelle più aggressive impiegate per rimuoverne i residui.
“La storia della Pietà dell’Opera del Duomo di Firenze o Pietà Bandini è degna di un romanzo. Michelangelo non solo non la termina, ma tenta di distruggerla in un momento di sconforto. L’opera danneggiata è da lui donata al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vende al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi, il quale la colloca nel giardino della sua villa romana a Montecavallo. Nel 1649, gli eredi Bandini la vendono al cardinale Luigi Capponi che la porterà nel suo palazzo a Montecitorio a Roma e quattro anni dopo nel Palazzo Rusticucci Accoramboni. Il 25 luglio 1671, il pronipote del cardinale Capponi, Piero, la vende a Cosimo III de Medici, Granduca di Toscana, su mediazione di Paolo Falconieri, gentiluomo alla corte fiorentina. Dopo tre anni di ulteriore permanenza a Roma, per le difficoltà incontrate nel trasportarla, nel 1674 la Pietà viene imbarcata a Civitavecchia, raggiunge Livorno, e da lì, lungo l’Arno, arriva a Firenze dove viene posta nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo. Vi rimarrà fino al 1722, quando Cosimo III la farà sistemare sul retro dell’altare maggiore della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Nel 1933, il gruppo scultoreo viene spostato nella Cappella di Sant’Andrea per renderla più visibile. Dal 1942 al 1945, per proteggerla dalla guerra, la Pietà è messa al riparo in rifugi appositamente allestiti in Duomo. Nel 1949, l’opera ritorna nella Cappella di Sant’Andrea in Cattedrale, dove rimarrà fino al 1981, quando verrà spostata nel Museo dell’Opera del Duomo. La decisione di trasferirla al Museo è motivata dalla necessità di non arrecare disturbo al culto per la grande affluenza di turisti e per ragioni di sicurezza (nel 1972 era stata vandalizzata la Pietà vaticana). Dalla fine del 2015, nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo, la Pietà viene posta al centro della sala intitolata Tribuna di Michelangelo, su un basamento che rievoca l’altare a cui era probabilmente destinata”
Terminato l’attuale restauro sarà possibile ammirare la Pietà girandole intorno e ammirando la maestria e la bellezza di quest’opera che Michelangelo scolpì, quasi come un suo personale piacere, nei ritagli di tempo libero e per distrarsi dai lavori della Cappella Sistina.
Potrà essere questo sia durante che dopo il restauro un motivo in più di visitare il bellissimo Museo dell’Opera del Duomo che, in soli quatttro anni dall’inaugurazione è diventato un polo di attrazione per molti visitatori.
Non di meno da ricordare che dal 6 dicembre sarà presente al Museo anche la restaurata porta Sud del Battistero di San Giovanni.
CB
Uffizi e Accademia gratis domenica - Dal 5 al 10 novembre accesso gratuito nella "Casa del David"
Accesso gratuito previsto domenica prossima per Uffizi, Palazzo Pitti, Giardino di Boboli e Galleria dell’Accademia. Per tutta la prossima settimana, dal 5 al 10 novembre, l'ingresso alla Galleria dell'Accademia sarà gratis.
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Firenze, Santa Croce un restauro pieno di sorprese.
È stato presentato da Irene Sanesi, presidente dell’Opera di Santa Croce, il bel restauro di una grande opera marmorea “La libertà della Poesia” realizzata da Pio Fedi per ricordare il coevo Giovan Battista Niccolini, poeta, drammaturgo, patriota e grande protagonista degli ideali risorgimentali. Tutto il restauro è stato patrocinato da Friends of Florence, la Fondazione che presieduta da Simonetta Brandolini d’Adda, si prodiga da anni per il restauro di molti monumenti fiorentini. Alla presentazione è intervenuta Kathryn A. Rakich, del Consolato Generale Americano a Firenze, che ha ricordato come Santa Croce rappresenti da oltre 200 anni una porta verso gli Stati Uniti. L’attuale restauro, infatti, è collegato alle celebrazioni per il bicentenario della presenza del Consolato a Firenze e delle relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti. Si fa presente che il monumento è stato anche riprodotto in 3D utilizzando un’accurata scansione ad altissima risoluzione, ad opera della Kent State University e a partire dal prossimo 18 ottobre sarà al centro di Sisters in liberty, il progetto espositivo che l’Opera promuove all’Ellis Island Museum of Immigration di New York e che si concluderà il 26 aprile 2020.
Il monumento, realizzato in un unico blocco di marmo bianco di Carrara, rappresenta una figura allegorica di ispirazione classica che nella mano protesa verso l’alto mostra una catena spezzata, mentre nell’altra trattiene la lira e una corona di alloro, appoggiati su una pila di volumi scritti dal Niccolini: l’Arnaldo da Brescia, la Storia della Casa di Svevia, il Canzoniere nazionale e il Giovanni da Procida. Sul capo porta il diadema con nove raggi mentre con il piede calpesta i resti della catena. La figura è posta di fronte all’urna con il ritratto del poeta entro un medaglione e sul basamento porta l’orgogliosa firma dello scultore: “Pio Fedi immaginò e scolpì”.
Fedi aveva curato l’opera nei minimi particolari. Dopo aver portato in Santa Croce la scultura, quasi certamente già finita in atelier dalle sue maestranze, l’artista ha con tutta probabilità ri-lavorato la superficie sulla base dell’illuminazione prodotta dalla luce naturale proveniente dal finestrone laterale. Fedi ha messo la sua firma sulle parti più importanti, scolpendo il volto, le braccia, le mani, i piedi, le corde e le corna della lira. La mano dello scultore è ancora oggi ben riconoscibile anche nei numerosi segni di lapis lasciati sulle arcate sopraccigliari, tra i solchi dei riccioli, sul motivo decorativo del diadema e sul panneggio della veste.
Profondo è il legame di quest’opera, sotto il profilo artistico e ideale, con la Statua della Libertà che illumina il mondo della Liberty Island di New York, realizzata da Frédéric Auguste Bartholdi pochi anni dopo. La similitudine tra le due sculture è da tempo al centro di un dibattito critico: è possibile che la statua di Pio Fedi sia stata la fonte di ispirazione per l’artista francese che realizzò la statua tra il 1877 e il 1886. Bartholdi era in viaggio in Italia nel 1875-76 e avrebbe avuto modo di vedere a Firenze, nell’atelier di Fedi in via dei Serragli, una prima versione della statua (cfr. foto).
Quest’ultimo restauro è comunque un buon pretesto per una nuova visita alla bellissima Santa Croce, che specie al mattino di una bella giornata offe scorci e visioni inaspettate e incredibilmente emozionanti.
Carlo Biancalani
nb - Nella foto di copertina: da sinistra, Emanuela Peiretti e Paola Rosa (restauratrici); Irene Sanesi (Presidente Opera di Santa Croce); Claudio Paolini (Funzionario Sopraintendenza Belle Arti); Simonetta Brandolini d'Adda (Presidente di Friends of Florence); Kathryn A. Rakich (Consolato Generale degli Stati d'America a Firenze).
RIVELATI A BOBOLI I SEGRETI DELLA COLONNA TRAIANA
Immaginate una passeggiata a Boboli, per evitare le code si può accedere dall’ingresso di Via Romana (Annalena) o da quello di Porta Romana, ci si attarda un po’ nel magico e fresco verde che subito ci ristora dall’esterna calura estiva e si ammirano i monumenti sia topiari che lapidei percorrendo i vialetti per arrivare alla grande Limonaia progettata nel tardo Settecento da per volere di Pietro Leopoldo Lorena quale ricovero delle piante tropicali e soprattutto di agrumi. La fioritura esterna della limonaia già ci rasserena per le varietà di fiori e di piante ma ci stupisce il drappeggio che ne contorna l’ingresso con la scritta “L’ARTE DI COSTRUIRE UN CAPOLAVORO: LA COLONNA TRAIANA”.
Si dentro la bella Limonaia dal primo giorno d’estate al 6 ottobre c’è una mostra che ci lega a Roma. Questo non avviene certo per caso naturalmente se si pensa che dall’ingresso a Boboli lato Rondò di Bacco ci sono due sentinelle in porfido che provengono dal Foro di Traiano.
Il monumento innalzato nel cuore di Roma nel 113 d.C. dal primo imperatore di origini iberiche, Traiano, che volle così celebrare la conquista della Dacia vien raccontato nella sua costruzione , le tecniche impiegate per estrarre i ventinove enormi blocchi di marmo nelle cave delle Alpi Apuane, le soluzioni adottate per il trasporto fino a Luni e il carico sulle navi marmorarie per farle arrivare al porto fluviale sul Tevere e così via.
La Colonna Traiana rappresenta l’abilità artistica dell’uomo sia nell’ideazione sia nella realizzazione. Il monumento è arte e lo sono anche le macchine che ne hanno permesso la posa in opera.
La colonna Traiana, lo si vede bene nella mostra corredata da tutti i supporti possibili come video, modelli in scala, supporti storico-artistici di rilievo, documenti e quant’altro, si caratterizza per una complessità architettonica e ingegneristica del tutto rivoluzionaria per il periodo, è espressione degli elevatissimi livelli raggiunti dalla civiltà romana nell’arte del costruire.
Questa mostra va a colmare una lacuna scientifica sull’argomento, siamo nell’anno di Leonardo, in quanto sebbene il repertorio decorativo del monumento sia stato più che studiato a fondo nel tempo, finora non ne è stata esaminata con altrettanta attenzione la realizzazione.
Perché a Firenze questa mostra viene spiegato dal Direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt che fa presente come sono presenti nelle collezioni delle Gallerie degli Uffizi una cospicua collezione di frammenti di quello che fu il Forum Iulium.
Nel percorso espositivo della mostra è possibile ammirare anche molti reperti sia provenienti dalle Gallerie degli Uffizi sia da molti musei (oltre 20) che hanno concesso prestiti: mosaici, un arazzo fiammingo eccezionale che mostra Apollo doro di Damasco che progettò la colonna mentre discute con Traiano.
La mostra ideata da Claudio Capotondi quale realizzatore di molti dei modelli in scala, Giovanni di Pasquale curatore insieme a Fabrizio Paolucci dell’operazione e Paolo Galluzzi per le esperienze messe a disposizione dal Museo Galileo, è veramente avvincente sia per il contesto espositivo, sia per i modelli esposti e i bei reperti che è possibile visionare e non di meno per le curiosità che appagano sia l’ingegno che l’estetica lasciando il visitatore pienamente soddisfatto.
Un invito a tutti a Boboli.
Il costo del biglietto € 10, ridotto a € 2 per i cittadini dell’U.E. tra i 18-25 anni, gratuito per gli under 18 di qualsiasi nazionalità, per insegnanti italiani, per studenti universitari, portatori di handicap,
Ricordo che i residenti nell’area fiorentina possono fare il biglietto costo € 0, senza fare la fila a Palazzo Pitti, entrando con documento di identità anche dagli ingressi di Via Romana (Annalena) e Porta Romana.
Carlo Biancalani
Breve scheda informativa sulla colonna Traiana
Imponente e solenne, la Colonna Traiana domina l’omonimo Foro da quasi due millenni, incurante delle ingiurie del tempo e delle offese degli uomini. Un numero infinito di occhi umani si sono fermati sulla sua superficie cilindrica fittamente istoriata da episodi che evocano in spiraleggiante sequenza le imprese del suo promotore, l’Imperatore Marcus Julius Nerva Traianus.
La colonna coclide, prima colonna unica costruita su una scala a spirale, fu inaugurata nel 113 d.C... con un lungo fregio spiraliforme che si avvolge, dal basso verso l'alto, su tutto il fusto della colonna e descrive le guerre di Dacia (101-106), forse basandosi sui perduti Commentari di Traiano e forse anche sull'esperienza diretta dell'artista. L'iscrizione dei Fasti Ostienses (i giorni in cui i romani potevano trattare affari pubblici e privati) ci ha tramandato anche la data dell'inaugurazione, il 12 maggio.
La colonna aveva una funzione pratica, testimoniata dall'iscrizione, cioè ricordare l'altezza della sella collinare prima dello sbancamento per la costruzione del Foro ed accogliere le ceneri dell'imperatore dopo la sua morte. Inoltre il fregio spiraliforme ricordava a tutti le imprese di Traiano celebrandolo come comandante militare.
La Colonna rimase sempre in piedi anche dopo la rovina degli altri edifici del complesso traianeo e le fu sempre attribuita grande importanza: un documento del Senato medievale del 1162 ne stabiliva la proprietà pubblica e ne proibiva il danneggiamento.
Sotto papa Sisto V, nel 1588, con il restauro ad opera di Domenico Fontana, per motivi politici e di preminenza religiosa si pose sulla sommità del fusto la statua in bronzo di San Pietro e fu eretto un muro di recinzione.
UFFIZI, UN’ESTATE A BOBOLI PER GLI “APPRENDISTI EDUCATORI” DELL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI
Dal 21 giugno al 25 luglio i bambini dei centri estivi fiorentini in visita al Giardino di Boboli saranno accolti da un gruppo di studenti dei dipartimenti di Comunicazione e didattica dell'Arte e di Arti Visive, impegnati per circa un mese in un tirocinio formativo presso l’Area Scuola e Giovani del Dipartimento per l'educazione delle Gallerie degli Uffizi.
Il progetto, coordinato da docenti di Storia dell'Arte, Pedagogia e didattica dell'arte e Illustrazione editoriale per l’Accademia di Belle Arti e da esponenti degli Uffizi, si inserisce nell'ambito della mostra Costruire un capolavoro: la Colonna Traiana.
Nei laboratori didattici, ispirati alla mostra, i piccoli saranno guidati nella rielaborazione artistica della Colonna Traiana e delle macchine che furono costruite e impiegate per innalzarla: con disegni sulle tecniche costruttive dell'opera e la realizzazione di macchine di fantasia. E se la Colonna Traiana è una storia lunga quasi 40 metri e pesante più di 500 tonnellate, i bambini impareranno a costruirsi la propria colonna istoriata con l'ausilio di un solo foglio di carta. Nel corso delle attività i partecipanti saranno, quindi, accompagnati in un percorso di comprensione del valore della resa artistica e della bellezza compositiva e narrativa della figurazione della Colonna Traiana, che con sapienza talora descrittiva o all'occorrenza sintetica, illustra con grande efficacia le campagne militari di Traiano in Dacia.
Fra i temi oggetto dei laboratori anche le fontane del Giambologna e le statue dei giochi antichi collocate nel Giardino.
La collaborazione con l’Area Scuola e Giovani del Dipartimento per l'educazione delle Gallerie degli Uffizi è resa possibile grazie a una convenzione siglata recentemente, che oltre a portare gli studenti a fianco di professionisti dell'educazione museale ha anche il merito di riportare alla luce lo storico legame che sussiste fra le due istituzioni. Dagli anni della rifondazione dell’Accademia di Belle Arti, voluta da Pietro Leopoldo di Lorena nel 1784, e fino all'unità d'Italia, infatti, la carica di presidente dell'Accademia fu unita a quella di direttore della Galleria degli Uffizi.
Per info Didattica 055.294883 o Ufficio Stampa Accademia Belle Arti 320.1611711
Oggi con un titolo che non può che incuriosire é stato presentato il restauro della “Pala di Sant’Ambrogio” che ritornerà ad essere esposta nella sala della Primavera agli Uffizi.
“I TORMENTI CREATIVI DEL GIOVANE BOTTICELLI”
Il grande dipinto del Botticelli venne rimaneggiato profondamente fino alle fasi più avanzate di realizzazione, con interventi in alcuni casi visibili ancora oggi ad occhio nudo. Si notano dopo le analisi diagnostiche personaggi che cambiano posizione; una intera porzione del pavimento sostituita dalla pedana su cui poggia il trono della Vergine, la protagonista dell’opera; dita che scompaiono e persino occhi che, al contrario, appaiono in punti dove non dovrebbero essere, segnalando, evidentemente, modifiche delle posizioni e della postura dei personaggi.
Sono solo alcuni degli elementi che mostrano l’intenso tormento creativo del giovane Sandro Botticelli, durante la realizzazione di uno dei suoi primi grandi capolavori (nonché sua prima commissione di rilievo), la Pala di Sant'Ambrogio, raffigurante la Madonna con Bambino e santi, dipinto intorno al 1470, all'età di circa 25 anni.
Grazie alle analisi e ai restauri dell'Opificio delle Pietre Dure, dove la tavola si trovava dal 2018 in restauro e all’ampia campagna diagnostica, l’opera ha rivelato un numero sorprendente di ripensamenti sostanziali, sia nella fase della pianificazione del disegno, sia nella stesura pittorica, fatto questo, assai insolito per il periodo. La maggior parte di questi cambiamenti sono emersi grazie al confronto fra radiografia e indagini riflettografiche: è stato così possibile visualizzare come Botticelli avesse, ad esempio, cancellato letteralmente un pavimento già strutturato tramite incisioni e dipinto nei dettagli, per sostituirne la parte centrale con una pedana per innalzare la figura della Vergine Maria. Ma non solo: il Bambino, in braccio alla Madonna, durante il processo pittorico, cambia drasticamente posizione, come risulta visibile grazie all'individuazione in riflettografia, della prima impostazione degli occhi, collocati in posizione diversa e ruotata rispetto a quella definitiva, e ad una gamba che muta postura. San Cosma, uno dei santi raffigurati, in origine guardava verso l'alto, come è evidente anche in questo caso dallo spostamento dell'occhio, differentemente orientato in origine, che riemerge 'dalle viscere' del quadro setacciate ancora una volta dalla riflettografia. Con un ulteriore ripensamento, Botticelli decise successivamente di dare a questo personaggio un altro tipo di atteggiamento e dunque, nella versione ultimata, San Cosma, invece di essere rivolto verso la Vergine, tiene la testa più in basso e guarda verso lo spettatore.
Ci sono infine cambiamenti talmente tardivi, da essere stati eseguiti durante la fase di completamento del dipinto, e quindi impossibili da mascherare del tutto: sono quelli che risultano oggi visibili anche ad occhio nudo.
È di nuovo San Cosma a non convincere il dubbioso Botticelli.
La sua veste, nella versione precedente, lo collocava spostato all'indietro, verso sinistra, e l'alone del suo diverso collocamento, non del tutto cancellato, è visibile ancora oggi all'osservatore attento.
Ancora più macroscopici sono gli interventi sulla Santa Caterina d'Alessandria, raffigurata in piedi all’estrema destra della pala: in questo caso Botticelli le 'cancella' letteralmente un pollice (facendolo scomparire sotto un lembo del manto), ma, come per la veste di San Cosma, il 'fantasma' del dito si può vedere ancora oggi. Lo stesso, sia pure in modo lievemente meno riconoscibile, avviene per la punta del mignolo della stessa mano, che il pittore fiorentino decise di 'accorciare' a dipinto pressoché finito.
Infine, l'elemento senz'altro più curioso: un paio di occhi misteriosi, incisi sulla tavola, individuati a metà altezza della figura della Santa Caterina, nell'area centrale della sua veste. Risposte certe al momento non ci sono, ma una delle ipotesi è che Botticelli potesse avere inizialmente immaginato la Santa in posizione inginocchiata, ripensandoci però quasi subito e stabilendo invece di rappresentarla in piedi. Gli occhi potrebbero dunque essere il lascito di questa iniziale, poi abbandonata, impostazione. A dimostrarlo, c’è anche la perfetta sovrapponibilità tra le pupille incise sotto la veste con quelle dipinte sul viso di Santa Caterina nella versione finale, verificata concretamente sull’opera dagli stessi specialisti dell’Opificio.
Come detto all’inizio, la pala a partire dai prossimi giorni tornerà esposta permanentemente nella sala della Primavera agli Uffizi,
Carlo White
NEL GIARDINO DI BOBOLI IL GIOCO DELLA CIVETTA RESTAURATO GRAZIE AI BAMBINI DI FRIENDS OF FLORENCE - https://www.friendsofflorence.org/
Nel Giardino di Boboli, vicino all’ingresso di Porta Romana, la statua in marmo bianco raffigurante “Gioco della Civetta” di Giovanni Battista Capezzuoli è stata restaurata grazie al contributo di Friends of Florence.
L’intervento è stato eseguito sotto la direzione di Alessandra Griffo ed è stato reso possibile grazie al dono dei bambini del Florence Chapter della Fondazione.
“Inaugurare questo restauro è per noi motivo di grande orgoglio, perché questo è il primo progetto sostenuto dai piccoli Friends of Florence – sottolinea la Presidente Simonetta Brandolini d’Adda - Esso rappresenta il futuro non solo della nostra Fondazione, ma anche l’opportunità di proseguire nella nostra missione ossia di conservare per le future generazioni l’importante patrimonio artistico di Firenze e della Toscana”.
L’opera commissionata intorno al 1775 dal Granduca Pietro Leopoldo doveva sostituire un originale in pietra che all’epoca versava in pessimo stato conservativo. L’opera è collocata tra il “Prato delle Colonne” e l’ingresso di Porta Romana all’interno del Giardino di Boboli davanti al gruppo dei Caramogi di Tomolo Ferrucci del Tadda. In origine la statua prevedeva tre figure, ma oggi sono presenti solo due sculture in marmo bianco.
Di nuovo un’opportunità per una passeggiata a Boboli, ricordo che l’ingresso al giardino mediceo è gratuito per tutti i residenti dell’area metropolitana.
Eike Schmidt il 29 maggio ha inaugurato agli Uffizi le nuove sale e i nuovi allestimenti dedicati alla pittura del ‘500.
Il direttore delle Gallerie ha definito queste sale “un secondo museo, nuovo dentro la Galleria” ed ha lasciato che fosse Antonio Paolucci ad illustrare questa operazione di portata gigantesca.
Con il suo immancabile fascino oratorio Antonio Paolucci ha raccontato le sensazioni che ciascuno di noi potrà ritrovare nel nuovo percorso che comprende ben 14 sale, completamente riallestite, 105 opere esposte in oltre 1100 metri quadrati.
Nella sua descrizione Antonio Paolucci si è soffermato su alcuni dipinti facendone rivivere non solo la maestria e la bellezza ma anche l’incisività della loro comunicazione.
E’ il caso della grande pala di Federico Barrocci la “Madonna del Popolo” dove la Vergine che intercede presso Dio Padre in favore del popolo domina una scena di credenti di ogni età, ceto e condizione che si affolla davanti ad architetture della città e dove persino il cane, un bastardino, figura e sembra riflettere.
Non di meno si troveranno dopo Allori, Commodi, Bronzino e così via molte sale destinate alla pittura veneta per tanto tempo in disparte agli Uffizi (beh siamo fiorentini!). Troviamo quindi Lorenzo Lotto, Veronese, Tintoretto e Tiziano.
Proprio di Tiziano la bellissima “Venere di Urbino” una donna nuda , una giovane sposa che attende di essere abbigliata dalle ancelle, ma che maliziosamente si posa su lenzuola sgualcite, forse per una notte agitata o passata insieme al compagno, con le mani che appena coprono l’intimità e un mazzolino di fiori fra le mani, c’è da chiedersi chi lo avrà donato!?
Anche qui ai piedi un cagnolino che pare dormire ma con un occhio quasi socchiuso come chi sorveglia.
Non mi soffermo di più, al solito l’invito è di andare per godere di magnifiche emozioni e scoprire dettagli in un museo che credo sia uno dei più belli del mondo.
CB
NOTTE DEI MUSEI, UFFIZI DI SERA AL PREZZO
DI 1 EURO
La Galleria aperta dalle 19 alle 22 per iniziativa Mibac
La Galleria degli Uffizi aperta di notte. È quanto avverrà questo sabato (18 maggio), nell’ambito dell'iniziativa del Mibac La Notte dei Musei: in via straordinaria, dalle 19 alle 22, gli Uffizi saranno visitabili al costo simbolico di un euro a persona.
DUE MOSTRE DA VISITARE
Ci sono spesso a Firenze artisti contemporanei che lasciano il segno. Immersi come siamo nell'arte suprema del passato che ci circonda succede di rado che dedichiamo anche solo uno sguardo di pura curiosità alle opere che non seguono in qualche modo i modi della nostra tradizione.
Invece forse proprio noi dovremmo ricordarci che stili ormai affermati sono riusciti a conquistarci e si sono inseriti nel nostro concetto di arte del bello spesso solo grazie al coraggio di grandi artisti di incamminarsi per nuove strade sostenuti da grandi committenti, da "Signori”, ossia governanti di patrimoni, di stati o esponenti religiosi.
Pare strano ma l’Arte, anche quella “povera”, è cortigiana del potere, della ricchezza o di entrambi.
Oggi la divulgazione mediatica rappresenta il vero fulcro e potere della notorietà artistica e spesso l’accelera: ricchezza e comunicazione sono un matrimonio vincente.
A differenza del passato, tuttavia, questa unione non riesce a creare quella certezza che prima l’arte ci forniva.
Si pensi a quanto erano lente e sconvolgenti le innovazioni artistiche dei secoli corsi e quanto effimere e veloci sono quelle attuali! È come se anche l’Arte fosse un oggetto di puro consumo e anch’essa dovesse correre- purtroppo - senza avere una meta certa.
Come possiamo comunque restare indifferenti agli sforzi di artisti che tanto lavorano per comunicare concetti spesso fondamentali e impegnano le loro energie e le loro risorse per affermare la loro “Arte” ?
Queste poche parole sono un invito a visitare, prima che si spostino altrove, due delle tante mostre o allestimenti che la città di Firenze offre ai suoi visitatori.
La prima, "ESSERE", è agli Uffizi e termina il 26 maggio. La mostra riunisce alcune opere di Antony Gormley, realizzate in diversi materiali e dimensioni, che esplorano il corpo nello spazio e il corpo come spazio.
L’esposizione si interseca con le opere della Galleria, la più nota delle quali è l’uomo sul parapetto della terrazza posta sopra la Loggia dei Lanzi.
Al centro della mostra il dialogo in atto tra Passage e Room, due sculture realizzate a trentacinque anni di distanza l’una dall’altra. Entrambe affrontano la questione dello spazio del corpo: Passage (2016) è un tunnel in acciaio Cor-Ten dalla forma umana lungo 12 metri che potrà essere percorso dai visitatori; e Room (1980) – una serie di abiti dell’artista tagliati in un nastro continuo largo 8 millimetri che definisce un recinto quadrato di 6 metri per 6, non accessibile al pubblico. Tante altre sono le opere esposte e le sensazioni sono notevoli, specie se riusciamo a liberaci dagli schemi che ci circondano per entrare in un nuovo ma non meno importante dialogo con l’arte.
La seconda, ospitata nello spazio dell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, è "What I Saw on the Road", di Kiki Smith, prima mostra monografica in Italia dedicata a questa artista statunitense nella cornice di un’istituzione pubblica. La mostra riunisce una quarantina di opere che offrono un quadro esaustivo della produzione dell'artista nel corso degli ultimi vent’ anni, tra coloratissimi arazzi in cotone jaquard, fragili sculture in bronzo, argento e legnoe opere su carta.
La comunicazione dell’artista in questo periodo si è spostata dal proprio corpo agli altri, la sua riflessione si è allargata invece a considerare in maniera più articolata ciò che accade fuori dal corpo: What I saw on the road (quello che ho visto sulla strada). E' ciò che capita di osservare e interagisce con la nostra esistenza se si presta attenzione e si considera con sguardo poetico il rapporto tra corpo e mondo e tra uomo, natura e cosmo. Un’artista che si presenta con opere che personalmente considero “eleganti”.
La mostra chiuderà il 2 giugno.
CB
Maxi campagna di interventi per il parco mediceo
Per la prima volta apre in via ordinaria
il Giardino della Botanica. E presto ci sarà
la ‘Gelateria Buontalenti’
Un piano di restauri e riassetto del verde, installazione di nuove panchine, l’apertura quotidiana, per la prima volta da sempre, dell’esotico giardino della Botanica superiore, e perfino il progetto di apertura di una gelateria ‘medicea’: è il Rinascimento di Boboli, vasto programma di interventi per rendere ancora più suggestivo e godibile il giardino storico che nell’Oltrarno fiorentino cinge e abbraccia Palazzo Pitti, l’ex reggia dei Granduchi.
Prima, e centrale tappa nel progetto di rilancio del parco è la restituzione al pubblico, a partire da oggi, del Giardino della Botanica Superiore, detto anche degli Ananassi, finora mai stato accessibile in via ordinaria ai visitatori: ora lo sarà, dal lunedì al venerdì, in orario 9-13. Lo spazio, assai suggestivo, accoglie nel suo ettaro di estensione centinaia di specie diverse di piante acquatiche, tropicali e subtropicali. Unico esempio di giardino in stile romantico all’interno di Boboli, il suo restauro è durato molti anni ed ha riguardato sia l’aspetto architettonico che botanico. Ora tutti potranno ammirare ogni giorno le forme sinuose delle aiuole e i coloratissimi tesori naturalistici ivi racchiusi.
Nel parco, intanto proseguono lavori di miglioramento di tutte le
aree. Lungo i sentieri sono state posizionate 46 nuove panchine in pietra serena, proveniente dalle cave Santa Brigida sui colli fiorentini, e l’obiettivo è arrivare in breve tempo a 60. E’ partita una serie di restauri sulle statue del giardino: nelle scorse settimane sono stati completati i lavori di recupero delle prime due, Hera e Pudicizia. Presto partiranno inoltre gli interventi sulle quattro colonne dell’isola centrale e sui basamenti, ed è imminente anche l’avvio di ristrutturazione dei bagni storici, quello della Meridiana e quelli di Annalena, oltre al ripristino della Fontana delle Scimmie.
Non solo. A Boboli è in fase di avvio un ulteriore grande progetto di restauro (finanziato in parte con fondi della Regione Toscana), quello del Giardino “segreto” delle Camelie, anch’esso come la Botanica Superiore mai aperto in via ordinaria al pubblico. Con una superficie complessiva di oltre 300 metri quadrati, il giardino si erge su un lembo di terra stretto e lungo, situato sul lato di ponente di Palazzo Pitti. Nato nella prima metà del XVII secolo come spazio di pertinenza esclusiva dell’appartamento del principe Mattias, fratello minore del Granduca Ferdinando II, rimane nel corso della storia uno spazio defilato e riservato ai soli membri della famiglia e della corte. Oggi versa in stato di abbandono ed i suoi bastioni sono afflitti da problemi di tenuta strutturale: per questo è già stata effettuata un’accurata campagna di rilievi in loco, operazione propedeutica alla elaborazione del piano di restauro. Al momento in corso la redazione del progetto. I lavori sono previsti nel biennio 2020 -2021.
Continuano inoltre gli interventi previsti dal progetto "Primavera di Boboli", con la donazione da parte di Gucci di 2 milioni di euro destinati ad una serie di interventi nel Giardino che è sotto tutela Unesco dal 2013. Oltre a quanto già completato (consolidamento del cipresso monumentale dell'Anfiteatro, interventi sul sistema di drenaggio del Giardino, acquisto di nuova vaseria e conche in cotto imprunetino per la collezione medicea di agrumi) attualmente sono in corso altre azioni: in particolare a partire dal 6 maggio inizieranno i lavori di consolidamento e restauro della serra calda delle orchidee al Giardino della Botanica Superiore, successivamente sempre alla Botanica Superiore si avvieranno i lavori per il restauro della vasca delle piante acquatiche e del passaggio "segreto" retrostante, ora in avvio di gara. E sono nella stessa fase (con partenza prevista il prossimo autunno) i lavori di restauro botanico del Viottolone dei Cipressi e del Viale dei Platani, per cui è stato completato il progetto esecutivo. Verranno in tal modo ricostituite le composizioni storiche dei filari alberati che negli anni hanno subito forti perdite, con la nuova piantagione di 53 cipressi e 25 platani.
Grande cura è ovviamente dedicata al patrimonio arboreo di Boboli, che conta centinaia di alberi plurisecolari: è in corso un accurato programma di monitoraggio e valutazione di stabilità delle piante di alto fusto, con la sostituzione di eventuali esemplari che non rispondono ai requisiti di sicurezza o arrivati a fine ciclo.
Infine, c’è un’ultima novità: in aggiunta al restauro del Giardino delle Camelie e quello, da tempo annunciato, della Kaffehaus (il padiglione risalente al 1776, realizzato su disegno di Zanobi del Rosso, l’architetto del Granduca Pietro Leopoldo, che a lavori finiti tornerà ad essere un punto di sosta e ristoro), è stato messo in cantiere il progetto di apertura nel giardino della ‘Gelateria Buontalenti’ (dal nome del celebre architetto che proprio a Boboli creò la ‘Grotta Grande’, e che nel ‘500 inventò il ‘dolce ghiacciato’, precursore del gelato moderno): sorgerà nel prato dei Castagni, collocato nella parte alta del parco, in un edificio di fine ‘800. E magari, tra i gusti che sarà possibile scegliere, ci sarà anche quello alle arance amare coltivate direttamente all’interno di Boboli.
“Diamo il via ad una grande campagna di interventi che renderanno lo scrigno naturalistico di Boboli ancora più bello - commenta il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt – e con la riapertura dello splendido giardino degli Ananassi, con i suoi tesori esotici, restituiamo a tutti i visitatori un altro frammento meraviglioso di Firenze che diventa quotidianamente visibile e disponibile a tutti. Nel complesso, un intervento di rilancio così ampio del Giardino non veniva programmato da oltre 80 anni”.
Intanto, il parco mediceo continua ad essere sempre più apprezzato e visitato da parte del pubblico: “Nei primi tre mesi di quest’anno - aggiunge il direttore - abbiamo avuto un aumento di presenze superiore al 20% rispetto allo stesso periodo del 2018”.
Boboli richiede una cura costante ed un lavoro grande, continuo e spesso silenzioso, con l’apertura del Giardino della Botanica Superiore di recupera un’altra delle identità di Boboli, al valore dell’educazione alla bellezza il Giardino da una mano e sempre di più rappresenta un luogo dove aver voglia di sostare e trattenersi, per poterne comprendere gli equilibri avvicinandosi con la giusta attenzione e rispetto.
IL GIARDINO DI BOBOLI: UN PO’ DI STORIA
Giunto con il tempo all’ampiezza di circa 30mila metri quadrati, furono i Medici per primi, dal 1500, a curarne la sistemazione, creando il modello di giardino all'italiana che divenne esemplare per molte corti europee. La vasta superficie verde suddivisa in modo regolare, costituisce un vero e proprio museo all'aperto, popolato di statue antiche e rinascimentali, ornato di grotte, prima fra tutte quella celeberrima realizzata da Bernardo Buontalenti, e di grandi fontane, come quella del Nettuno e dell’Oceano. Le successive dinastie Lorena e Savoia ne arricchirono ulteriormente l’assetto, ampliandone i confini che costeggiano le antiche mura cittadine fino a Porta Romana. Di notevole suggestione visiva è la zona a terrazzamenti ove si trova il settecentesco padiglione del Kaffeehaus, raro esempio di architettura rococò in Toscana o la Limonaia, costruita da Zanobi del Rosso fra il 1777 e il 1778.
IL GIARDINO DI BOBOLI: UN PO’ DI NUMERI… E QUALCHE CURIOSITA’
Estensione del parco: circa 30 ettari
Avvio della costruzione: nel corso del 1500 (fu acquistato da Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, nel 1550; il progetto fu affidato a Niccolò Pericoli detto il Tribolo).
Dinastie che hanno contribuito alla realizzazione e all'ampliamento del parco: 3 (Medici, Lorena, Savoia)
Piante ad alto fusto presenti: oltre 3000
Statue presenti: circa 300
Visitatori: 1.188.409 nel 2018 (+9% rispetto all'anno precedente)
CURIOSITA'
- A Boboli ci sono circa 500 piante di agrumi coltivate in vaso, appartenenti a circa 60 varietà diverse. Oltre una ventina di queste sono antiche varietà medicee. La collezione di agrumi di Boboli è una delle più importanti in Europa a livello botanico.
- Come nasce il nome 'Boboli'? vi sono varie ipotesi, ma tra le più accreditate c'è quella secondo cui derivi dal nome della famiglia ‘Borgolo’, ‘Borgoli’ o ‘Borgolini’, proprietaria dell'appezzamento dove fu realizzato il giardino. Il terreno fu acquistato nel 1418 da Luca Pitti, colui che iniziò la costruzione dell'omonimo palazzo, destinato in seguito a divenire Reggia dei Granduchi.
Carlo Biancalani
LE GALLERIE DEGLI UFFIZI CELEBRANO LA PASQUA CON UNA MOSTRA VIRTUALE DI CAPOLAVORI
Tiziano, Perugino e Rubens tra le opere scelte per l’esposizione visitabile sul sito del complesso museale
Una mostra virtuale di capolavori, tra i quali dipinti di Tiziano, Perugino e Rubens, per celebrare nel segno dell’arte la ricorrenza della Pasqua. È ‘La passione, la morte e la resurrezione di Gesù’, esposizione online visitabile da oggi sul sito delle Gallerie degli Uffizi (www.uffizi.it/mostre-virtuali/pasqua-2019, per la versione in inglese www.uffizi.it/en/online-exhibitions/easter-2019). Ad esserne protagonisti, 12 dipinti presenti nelle collezioni delle Gallerie degli Uffizi, realizzati tra il Medioevo e l’Ottocento, raffiguranti i più significativi episodi della Passione e Resurrezione di Cristo. La selezione comprende l’Ultima cena di Leandro Bassano (Palazzo Pitti, Galleria Palatina), l’Ecce Homo di Tiziano, (Palazzo Pitti, Galleria Palatina), l’Ecce Homo di Antonio Ciseri, (Palazzo Pitti, Galleria Arte Moderna), la Crocifissione di Agnolo Gaddi (Galleria degli Uffizi), il Crocifisso con la Maddalena di Luca Signorelli (Galleria degli Uffizi), il Cristo nell’orto degli ulivi di Perugino (Galleria degli Uffizi), la Predella con le Scene della Passione di Luca Signorelli (Galleria degli Uffizi), la Deposizione di Ludovico Cigoli (Galleria Palatina, Palazzo Pitti), la Pietà di San Remigio di Giottino (Galleria degli Uffizi), il Trasporto di Cristo al sepolcro di Antonio Ciseri (Galleria di Arte Moderna), la Deposizione nel Sepolcro di Rogier Van der Weyden (Galleria degli Uffizi), la Resurrezione di Rubens (Galleria Palatina), il Cristo Risorto di Tiziano (Galleria degli Uffizi).
Grande successo, con svariate migliaia di visualizzazioni, aveva ottenuto nel dicembre scorso un’analoga iniziativa dedicata al tema del Natale sul sito delle Gallerie, ‘Oggi è nato per voi un Salvatore’. In quel caso, l’esposizione narrava tre secoli di rappresentazioni della Natività, a partire dall’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano del 1423, passando per quella celeberrima e recentemente restaurata di Leonardo da Vinci e quelle di Hugo van Der Goes, Amico Aspertini, Albrecht Dürer, Gherardo delle Notti e Livio Mehus, fino ad arrivare alla versione tardo seicentesca di Luca Giordano (1683-85 circa).
“L’universale valore culturale, oltre che religioso, delle celebrazioni pasquali suggerisce di accostarsi alle opere d’arte con occhio attento alle tematiche e al loro significato – commenta il direttore degli Uffizi Eike Schmidt - Con queste mostre periodiche dedicate alle feste più importanti dell’anno, il sito web delle Gallerie degli Uffizi si rivolge ai visitatori virtuali e reali attraverso “itinerari” inediti, che offrono ulteriori spunti di riflessione artistica e spirituale”.
Carlo Biancalani
Passione di Cristo sul Calvario: Grassina e la magia secolare
della Rievocazione Storica
Si è svolta ieri sera. 19 aprile 2019, la Rievocazione Storica preceduta dal Corteo attraverso le strade di Grassina. Il successo di pubblico è stato garantito dalla professionalità di tutti i 600 partecipanti, che con il massimo impegno e la dovizia di particolari sia nei dettagli deicostumi che nell'espressività della recitazione, hanno incantato le oltre tremila persone che vi hanno assistito.
Prima corteo per le strade del paese,
a seguire le scene della vita e della crocifissione di Gesù.
Con uno speciale omaggio a Leonardo da Vinci .
Per saperne di più si può consultare anche l'excursus storico della manifestazione su https://www.pensionatibt.it/index.php?callpage=moduli
scritto magistralmente e sinteticamente da Marco Lepri, ex Presidente del Centro Attività Turistica di Grassina.
Seicento figuranti in costume, un paese intero con indosso vesti dalle fattezze antiche e la magia di una tradizione secolare. Torna anche quest'anno la Rievocazione Storica della Passione di Cristo a Grassina, atteso e coinvolgente appuntamento in programma la sera del Venerdì Santo, che mette in scena la vita di Cristo e la Via Crucis con una suggestiva ed emozionante rappresentazione di comunità.
La manifestazione, organizzata dal Centro Attività Turistica Onlus di Grassina, richiama ad ogni edizione migliaia di spettatori, accompagnando le celebrazioni della Pasqua e coniugando l'elemento spirituale e religioso alla componente teatrale e spettacolare. La rappresentazione, in programma il prossimo venerdì 19 aprile, come sempre si compone di due parti: il corteo storico per le strade del paese preceduto, nella piazza centrale del paese da due scene strettamente collegate: il Discorso della Montagna ed il Processo da parte di Ponzio Pilato a Gesù (inizio alle 21) e le scene della vita e della Passione di Cristo sulla collina di “Mezzosso” chiamata dai Grassinesi il Calvario, nella località di Bubè, a pochi passi dal centro cittadino e con la partecipazione di almeno 100 figuranti in costume d'epoca (inizio alle 21.15). In questa edizione, in omaggio ai cinquecento anni dalla morte di Leonardo Da Vinci, all'interno delle scene della Rievocazione sarà ricreata la rappresentazione dell'Ultima Cena leonardiana.
La regia delle delle scene della Rievocazione è affidata a Paolo Barbieri, mentre Alessio Antongiovanni curerà la regia del corteo storico. Si conferma ricco anche il calendario di eventi collaterali, tra concerti, mostre e la tradizionale “sfida” delle vetrine dei negozianti di Grassina.
La Rievocazione Storica di Grassina, candidata al riconoscimento di Patrimonio immateriale dell'Umanità Unesco, si svolge con il patrocinio dell'Unione Europea, della Regione Toscana, della Città Metropolitana di Firenze e dei Comuni di Firenze e Bagno a Ripoli. Il 30 marzo scorso, nell'ambito delle attività dell'Europassione per l'Italia di cui fa parte, la Rievocazione Storica di Grassina è stata protagonista con una delegazione di figuranti della suggestiva rappresentazione della “Passione dei Sassi” a Matera, in occasione delle celebrazioni per la nomina della città lucana a Capitale europea della Cultura 2019.
Sul tema della Crocifissione, tra le opere che ne illustrano l'avvenimento, ci fa piacere segnalare che ultimamente il Museo degli Uffizi si è arricchito di due nuove opere, e più precisamente:
Sono recentemente entrati a far parte del patrimonio artistico degli Uffizi i disegni preparatori fatti da Luigi Ademollo (Milano 1764-Firenze 1849) per gli affreschi che adornano la Cappella Palatina di Palazzo Pitti
Luigi Ademollo, Cappella Palatina Palazzo Pitti
Rientrando in tema, si sottolineano alcune cose importanti.
Questa edizione della Rievocazione Storica è dedicata ad alcune figure recentemente scomparse che hanno avuto un ruolo importantissimo per rendere più grande la manifestazione: il Maestro Silvano “Nano” Campeggi, artista di fama internazionale che ha realizzato il logo della Rievocazione; Umberto Sardelli, imprenditore e storico presidente della Rievocazione; Stefania Michelini, consigliera del Cat, che per molti anni ha interpretato la figura di Maria madre di Gesù; Vinicio Catelani, tra i fondatori del Cat, recentemente scomparso.
“Negli ultimi quattro anni – dice Daniele Locardi, presidente del Cat - abbiamo apportato numerose innovazioni per rendere la Rievocazione Storica di Grassina sempre più moderna e vicina ai possibili fruitori, sia italiani che stranieri. La determinazione non ci manca per proseguire. A breve partiranno i lavori che, grazie ai comuni intenti tra amministrazione comunale, Cat e la famiglia proprietaria del terreno su cui si svolge la manifestazione, daranno un nuovo assetto alla collina di Mezzosso rendendola più accessibile sia ai mezzi tecnologici sia a quelli pratici. Un ringraziamento profondo ai figuranti agli attori e a tutti coloro che dedicano il loro tempo affinché la Rievocazione si rinnovi anno per anno. E ovviamente al consiglio del Cat, per il grande lavoro svolto, esempio costante per determinazione e capacità”. “Non esiste famiglia di Grassina che non dia il suo contributo alla Rievocazione – dice il sindaco di Bagno a Ripoli -, tra chi partecipa come figurante, chi aiuta nella realizzazione dei costumi, chi allestisce le scenografie e la regia, chi seleziona le musiche. Questa manifestazione dimostra la grande bellezza di una comunità unita, oltre ad essere un'importantissima occasione di promozione del territorio. Mi auguro che presto la Rievocazione ottenga il riconoscimento meritato di Patrimonio immateriale dell'Umanità Unesco. A breve si concretizzerà la previsione urbanistica per la realizzazione sulla Collina del Calvario di un luogo sempre più adeguato a questa storica rappresentazione, fortemente voluto dalla nostra amministrazione su sollecitazione della comunità. Ringrazio di cuore chi tutti gli anni fa in modo che la Rievocazione riesca a compiersi, dal Cat e ai moltissimi volontari che impiegano energie e tempo, superando con il loro impegno anche ostacoli e difficoltà. Da parte nostra, la garanzia di un sostegno che si rinnoverà per promuovere e tenere vivo questo tesoro collettivo”.
Da sinistra: il regista delle scene della Rievocazione Paolo Barbieri, il presidente del Cat Daniele Locardi, il sindaco Francesco Casini, il regista del corteo storico Alessio Antongiovanni
(tratto dal sito web del Comune di Bagno a Ripoli)
Per uno storico dell’arte questa mostra è un sogno che si avvera” - afferma Arturo Galansino, Direttore di Palazzo Strozzi - “Realizzare la prima rassegna su Andrea del Verrocchio, padre nobile del Rinascimento, rappresenta un’impresa unica e ambiziosa, resa possibile grazie alla collaborazione con i Musei del Bargello e agli eccezionali prestiti provenienti da musei di tutto il mondo. Abbiamo lavorato per oltre quattro anni per portare a Palazzo Strozzi questa grande esposizione che, presentando l’attività multiforme di Verrocchio e della sua bottega, indaga al contempo gli esordi del genio di Leonardo da Vinci, proprio nell’anno in cui Firenze e la Toscana diventano luoghi simbolo delle celebrazioni internazionali a lui dedicate. Con questa mostra Palazzo Strozzi consolida il suo ruolo di centro espositivo leader in Italia, in grado di creare valore per la città di Firenze e per il suo territorio”. La mostra è promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi e dai Musei del Bargello con la collaborazione della National Gallery of Art di Washington DC (che sarà la seconda sede dell’esposizione dal 29 settembre 2019 al 2 febbraio 2020).
Un’occasione unica per vedere a confronto capolavori di autori contemporanei e discepoli del Verrocchio come Desiderio da Settignano, Domenico del Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Pietro Perugino, Sandro Botticelli e altri ancora fra i quali, non certo ultimo, Leonardo da Vinci che di Verrocchio fu discepolo e del quale nel 2019 si commemora il cinquecentesimo anniversario della morte.
Il legame instauratosi tra il giovane Leonardo e il rinomato pittore e scultore fiorentino Andrea di Michele di Francesco di Cione, detto Verrocchio nasce e matura grazie al padre dello stesso Leonardo: infatti, secondo le parole del Vasari, fu proprio ser Piero, notaio di discreta importanza, a mostrare dei disegni del figlio al celebre maestro, il quale decise di accogliere Leonardo come apprendista presso la propria bottega a Firenze a partire dal 1462, avendo percepito in quei disegni uno straordinario talento.
Nell’ambito della mostra di “Strozzi” sarà esposta una delle opere più ammirate di Andrea del Verrocchio. Si tratta del celebre bronzo, raffigurante un fanciullo alato che, in bilico su una calotta sferica, stringe tra le braccia un pesce guizzante.
Un’occasione unica per vedere a confronto capolavori di autori contemporanei e discepoli del Verrocchio come Desiderio da Settignano, Domenico del Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Pietro Perugino, Sandro Botticelli e altri ancora fra i quali, non certo ultimo, Leonardo da Vinci che di Verrocchio fu discepolo e del quale nel 2019 si commemora il cinquecentesimo anniversario della morte.
Il legame instauratosi tra il giovane Leonardo e il rinomato pittore e scultore fiorentino Andrea di Michele di Francesco di Cione, detto Verrocchio nasce e matura grazie al padre dello stesso Leonardo: infatti, secondo le parole del Vasari, fu proprio ser Piero, notaio di discreta importanza, a mostrare dei disegni del figlio al celebre maestro, il quale decise di accogliere Leonardo come apprendista presso la propria bottega a Firenze a partire dal 1462, avendo percepito in quei disegni uno straordinario talento.
Nell’ambito della mostra di “Strozzi” sarà esposta una delle opere più ammirate di Andrea del Verrocchio. Si tratta del celebre bronzo, raffigurante un fanciullo alato che, in bilico su una calotta sferica, stringe tra le braccia un pesce guizzante.
L’opera era stata realizzata, secondo le fonti, per la villa medicea di Careggi su commissione di Lorenzo de’ Medici.
Nel 1557 Cosimo I fece trasferire il Putto in Palazzo Vecchio quale coronamento della fontana in marmo e porfido che abbellisce tutt’ora il primo cortile del palazzo.
Il Putto rimase lì per 4 secoli, fino a quando, nel 1959, visti i danni subiti, dovuti agli agenti atmosferici, oltre che allo zampillo ininterrotto dell’acqua che usciva dalla bocca del pesce e che provocò un accumulo di calcare, ne venne deciso il trasferimento all’interno e la sostituzione con una copia.
Ora il Putto è in fase finale di restauro, grazie al sostegno della fondazione “Friends of Florence”, in particolare di due donatori: Ellen e James Morton, e sarà pronto a tornare al passato splendore per essere ammirato alla Mostra in allestimento a Palazzo Strozzi che verrà poi ripresentata anche a Washington DC.
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Carlo Biancalani
PS
Ricordo che al Museo Del Bargello c’é una commovente sezione della mostra che si incentra sull’originale dell’”Incredulità di San Tommaso “ (opera collocata in una delle nicchie di Orsanmichele ricoverata all’interno e sostituita con una copia);
L’opera viene messa a confronto con i panneggi e i volti di artisti allievi o che dal Verrocchio hanno preso spunto ...era di allievi o artisti☝
Museo della Moda e del Costume | Palazzo Pitti - Animalia Fashion
Prima che chiuda il 5 Maggio vale la pena visitare questa interessante mostra che si tiene nella Galleria del costume di Palazzo Pitti a Firenze.
Una mostra che prendendo spunto da collezioni del museo di storia naturale “La Specola” e da reperti naturalistici del Museo degli Argenti e degli Uffizi e dimostra quanto i grandi stilisti abbiano mutuato dalla natura per le creazioni di moda.
Prada, Valentino, Dolce e Gabbana, Versace, Karl Lagerfeld, Chanel, Cavalli, Armani, Ferragamo e tanti altri.
Nella mostra, curiosa e divertente, la natura è la moda si intrecciano e si interpretano. I bei locali, ex appartamenti dei Savoia, aiutano la comprensione nell’intimità delle tappezzerie, delle luci e della serenità che trasmettono.
Carlo Biancalani
LESSICO FEMMINILE 1861-1926 7 marzo-26 maggio 2019
In una mostra a Palazzo Pitti 70 anni di emancipazione femminile tra Otto e Novecento, dalle lotte per il lavoro al Nobel per la Deledda
Quest'anno le Gallerie degli Uffizi celebrano le donne anche con una mostra dedicata all’impegno professionale e al talento delle donne in Italia, tra Ottocento e Novecento. I termini cronologici si riferiscono a due eventi precisi: l’iscrizione di alcune lavoratrici alla Fratellanza Artigiana nel 1861, e il premio Nobel conferito a Grazia Deledda nel 1926 per il romanzo Canne al Vento. Sono due date simboliche, che tuttavia segnano la storia di un riscatto dell’immagine femminile e del ruolo pubblico delle donne nel periodo post-unitario. Opere d’arte, fotografie ed oggetti illustrano le diverse forme di operosità dell’universo muliebre, descrivendo energie e risorse spesso non riconosciute. Le contadine ad esempio, dedite alle pratiche agricole collegate al ciclo delle stagioni dovevano anche occuparsi degli animali nella fattoria. E nei momenti di sosta dal lavoro più duro, rammendavano, lavoravano a maglia o intrecciavano la paglia, come si può vedere in numerosi dipinti di Silvestro Lega esposti in galleria.
Altro futuro attendeva le donne borghesi, che potevano studiare e intraprendere una carriera scolastica, diventare artiste e perfino scrittrici. In quest’ultimo caso, tuttavia, venivano limitate a generi e argomenti considerati specificamente femminili: la scrittura per l’infanzia o per libri di scuola, o articoli in periodici per le giovinette sulle ultime novità della moda, sull’economia domestica, sull’etichetta e le buone maniere.
Alle donne la società non permetteva se non a scapito di una relegazione sociale di avvicinarsi all'arte. Non potevano avere modelli o modelle a disposizione per dipingere o scolpire. Non erano prese in considerazione dalla società, femminile e maschile, se si addentravano nel mondo dell'arte lo dovevano fare senza farsi notare e per esprimere il loro talento dovevano spesso ricorrere ad altre forme che tuttavia non riuscivano a soddisfare la volontà di esprimersi. Animali da compagnia, nature morte a volte paesaggi erano le poche cose permesse che una donna allora poteva dipingere. Pensiamo quindi quanto più aperta fosse in quest'ambito la società del primo Seicento e settecentesca con pittrici quali Artemisia Gentileschi o Rosalba Carriera.
Tuttavia, la quiete apparente dei salotti della seconda metà dell'Ottocento offrì spesso copertura, invece, a pensieri rivoluzionari e patriottici, e fu terreno per una fervida vita intellettuale. In quel periodo Firenze fu meta prediletta e luogo di incontro per figure di spicco nel mondo femminile non solo della letteratura e dell’arte, ma anche dell’impegno sociale e politico, su scala internazionale: qui vissero donne formidabili quali, tra le altre, Elizabeth Barrett Browning, Jessie White Mario, Teodosia Garrow Trollope, Margaret Fuller.
La mostra, realizzata in collaborazione con Advancing Women Artists, si sviluppa scenograficamente attorno ad un nucleo centrale di opere di grandi dimensioni, così da far emergere le protagoniste femminili come sul palcoscenico di un teatro. Il percorso prosegue nelle collezioni della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti - dove è custodita una delle più significative raccolte sul tema del lavoro delle donne nei campi fra Ottocento e Novecento – attraverso un fil rouge visuale con didascalie e focus, oltre a una proiezione multimediale dedicata alle donne nei loro ambienti di lavoro.
Il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt afferma “Nell’arco cronologico di poco più di mezzo secolo considerato nella mostra, maturano i presupposti per il riscatto sociale e per una nuova autonomia della donna, non più solamente ancorata al ruolo di angelo del focolare. Le opere esposte raccontano una realtà in cui si affaccia la questione femminile, quando l’impegno nel lavoro, gli interessi politici, la vita intellettuale e l’indipendenza erano ancora un privilegio, o il risultato di una lotta” e Simonella Condemi, curatrice della mostra e responsabile della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, aggiunge: “La donna ha dovuto costruirsi una propria identità in ambito sociale e lavorativo mantenendo comunque l’impegno quotidiano tra le mura domestiche e la cura della famiglia. Abbiamo voluto rendere onore alla fatica sempre sostenuta dalle donne, documentando insieme la varietà di modi in cui si esprime e il talento femminile nel campo dell’arte, della fotografia, della scrittura, dell’insegnamento, della politica, e in molti altri settori”.
Firenze è stata una calamita per le artiste straniere che cercavano di ritagliarsi 'una stanza tutta loro' nei salotti e negli atelier visto che le donne straniere godevano di un certo livello di libertà in Italia, cosa che non avveniva nei loro paesi di origine. Ne sono alcuni esempi la simbolista tedesca Julia Hoffmann Tedesco, che condivideva lo stesso interesse per la sfera femminile di suo marito, esponente dei Macchiaioli, la ritrattista e poetessa irlandese Louisa Grace Bartolini, paladina per la causa italiana, Mary Egerton Bracken, una pittrice inglese dell’alta società che frequentava l’entourage di Browning a Casa Guidi, e l’artista Nabis francese Elisabeth Chaplin, la più giovane e prolifica artista tra quelle rappresentate nella collezione delle Gallerie degli Uffizi”.
Ma anche le donne italiane si muovevano andando all'estero per superare le barriere e i pregiudizi dei luoghi di origine. È il caso delle sorelle Caira, originarie della Media Valle del Liri (Frosinone) che modelle andarono a Parigi e dove fondarono una propria scuola di pittura privata denominata Accademia Vitti, indirizzata soprattutto alle donne. Le sorelle lavoravano sia come modelle che come insegnanti e l'Accademia Vitti ebbe una sua propria fama e anche molti noti pittori dell'epoca la frequentarono. Ad Atina (Frosinone) è visitabile dal 2013 la casa museo che ricorda l'Accademia.
Oltre a questa curiosità sono tante le scoperte che i visitatori della mostra avranno il piacere di fare.
Carlo Biancalani
PRONTO IL PROGETTO PER LA RIAPERTURA DEL CORRIDOIO VASARIANO
Presentato il progetto esecutivo, un anno e mezzo di lavori per 10 milioni di euro, ma non si sa ancora quando i lavori avranno inizio.
Il direttore degli Uffizi Eike Schmidt:
“Sarà una passeggiata panoramica ad accesso democratico affacciata sul cuore di Firenze, dal 2021 - se i tempi verranno rispettati - lo visiteranno 500mila persone all’anno”
Il Corridoio Vasariano del complesso museale degli Uffizi, chiuso alle visite dal 2016 per ragioni di sicurezza quando riaprirà al grande pubblico in via ordinaria, sarà completamente riallestito e avrà con un percorso ed un biglietto speciale. I visitatori di tutto il mondo potranno così godere di una passeggiata panoramica unica, affacciata sul cuore di Firenze, che, partendo da un ingresso ad hoc al piano terra dalla Galleria delle Statue e delle Pitture, passerà sopra il Ponte Vecchio, per raggiungere di là dall'Arno il giardino mediceo di Boboli e la reggia granducale di Palazzo Pitti.
IL PERCORSO E GLI ALLESTIMENTI
Al nuovo percorso del Corridoio Vasariano si accederà dal piano terreno,con un ascensore i visitatori saliranno al primo piano, dove avverrà l'ingresso vero e proprio nel Corridoio. Sarà percorribile in una sola direzione, cioè dagli Uffizi (entrata) verso Palazzo Pitti (uscita), ed è previsto al momento che al suo interno possa contenere, in base alle disposizioni a tutela della sicurezza, un massimo di 125 persone in contemporanea. Al termine dell'itinerario, i visitatori potranno scegliere se uscire nel giardino di Boboli oppure proseguire all'interno di Palazzo Pitti, in prossimità della Galleria Palatina.
Quanto agli allestimenti, non faranno più parte dell'itinerario gli oltre 700 dipinti, tra i quali un corposo nucleo di autoritratti, che negli scorsi decenni erano appesi alle pareti del Vasariano. Rimossi nei mesi scorsi, gli autoritratti verranno esposti in una serie di sale di prossima apertura al primo piano della Galleria delle Statue e delle Pitture. Alla luce della sua nuova funzione di passeggiata panoramica sopra Firenze, verranno ‘aperte’ le 73 finestre collocate lungo il percorso (delle quali molte finora oscurate a protezione dei dipinti) in modo da consentire ai visitatori di ammirare il più possibile la bellezza del centro storico osservato dalla singolare e suggestiva visuale del camminamento. A decorare il Vasariano resteranno comunque circa 30 sculture antiche, e una raccolta di iscrizioni greche e romane (attualmente in deposito dagli anni '80 dell'Ottocento). Ci sarà poi uno spazio dedicato agli affreschi cinquecenteschi, realizzati per volontà dello stesso Giorgio Vasari, che un tempo decoravano l'esterno delle volte del Corridoio al Ponte Vecchio: staccati dalla loro collocazione alla fine dell'Ottocento, sono stati restaurati negli anni '60 del secolo scorso e poi esposti nell'ambito di mostre temporanee per poi tornare in deposito, dove si trovano tuttora.
Oltre a quella panoramica, il percorso avrà però anche una vocazione storica. Per questo due punti del camminamento accoglieranno memoriali: il primo, in corrispondenza di via Georgofili, da dove è possibile vedere il punto in cui esplose l'ordigno che causò la strage nel 1993, ospiterà gigantografie metalliche con riproduzioni fotografiche di quei drammatici momenti ed i dipinti degli Uffizi danneggiati dallo scoppio della bomba (tra i quali il recentemente restaurato 'Giocatori di Carte' di Bartolomeo Manfredi e la 'Natività' di Gherardo delle Notti); il secondo si troverà appena passato Ponte Vecchio, e verrà dedicato al tema della devastazione da parte delle truppe naziste del centro storico di Firenze (in particolare nella Notte dei Ponti, 4 agosto 1944), anche in questo caso ricordata attraverso gigantografie metalliche di foto del tempo.
APERTURA E BIGLIETTI
Il Corridoio sarà aperto in via ordinaria, benchè su prenotazione. L'idea è di garantirne l'accessibilità tutti i giorni di apertura degli Uffizi (cioè dal martedi alla domenica) con l'aggiunta dei due lunedi al mese in cui resta aperto anche il giardino di Boboli. Le stime per i flussi di visita sono di circa 500mila persone all'anno. Per accedere occorerà acquistare un biglietto speciale: il costo sarà di 45 euro in alta stagione, 20 in quella bassa. Le scolaresche entreranno gratis. Allo studio anche l'idea di un ticket integrato 'XXL', che consentirà la visita di Palazzo Vecchio, Uffizi, Corridoio Vasariano, Palazzo Pitti, Giardino di Boboli, Forte Belvedere e Giardino Bardini (per un totale di oltre 10 km di musei e spazi culturali fiorentini).
Una piccola Mostra molto raffinata a Palazzo Pitti. Si inaugura oggi la mostra
"Il Carro d'oro di Johann Paul Schor. L'effimero splendore dei carnevali barocchi"
In esposizione insieme ad altre opere il grande dipinto del ‘Carro d’oro’ di Johann Paul Schor, dal 19 febbraio fino al 5 maggio.
La mostra trae origine da due recenti acquisizioni del Polo Museale fiorentino che hanno reso Firenze protagonista, la mostra verrà riproposta successivamente a Roma.
L’acquisizione, da parte delle Gallerie degli Uffizi, del grande dipinto di Johann Paul Schor e di una bellissima culla d'orata del periodo barocco. Quest'ultima andrà poi ad arricchire l'allestendo Museo delle Carrozze.
La mostra ha l'intento di fornire una visione delle feste che nel periodo Barocco venivano allestite, specie per il carnevale, dalle classi gentilizie. Famose quelle dei Barberini, dei Colonna e come in questo caso dei Borghese. Spesso le feste erano un fenomeno sociale e politico e venivano riservate solo ai ceti più elevati. Per gli allestimenti, i costumi e gli arredi e quant'altro occorrevano spesso mesi e mesi di preparazione per eventi della durato di poche ore.
A ben pensare è così che veniva stimolato l'artigianato e non solo: lo stile di costumisti, l'ingegno di architetti, la sapienza di cuochi, l'arte di pittori, la maestria degli intagliatori ecc. cose che ancora ci portiamo dentro, anche se purtroppo mancano le giuste leve e valorizzazioni.
La mostra darà modo di pensare e anche di riconoscere nelle tante illustrazioni provenienti dal Gabinetto di disegni e Stampe degli Uffizi maschere orami dimenticate ma che spesso fanno parte del nostro gergo o lontane conoscenze: Franca Trippa e Frittellino, Razullo e Curucucù, Scapino e Capitan Zerbino e tanti altri.
Una visita a Palazzo Pitti vale sempre la pena.
PRESENTATO IL CALENDARIO 2019 DELLE GIORNATE AD INGRESSO GRATUITO PER TUTTI NELLE GALLERIE DEGLI UFFIZI
Dodici aperture nel segno della storia e delle tradizioni di Firenze e della Toscana, ciascuna con eventi speciali e spettacoli
Saranno numerose quest'anno le giornate di ingressi gratuiti, legate alla storia ed alle tradizioni di Firenze, nel complesso museale degli Uffizi, istituite sulla base delle nuove norme del Mibac, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Le 12 date di accesso libero si dividono in tre tipologie: quelle che riguarderanno tutti gli spazi delle Gallerie - Uffizi, Pitti e il Giardino di Boboli - quelle che varranno solo per gli Uffizi e quelle che invece saranno attive solo a Palazzo Pitti e al Giardino di Boboli.
GIORNATE GRATUITE IN TUTTO IL COMPLESSO. La prima sarà il 24 marzo, la domenica di vigilia del Capodanno fiorentino, e della nascita di Francesco I de' Medici (nel 1541), il 'fondatore' degli Uffizi come spazio museale e di ricerca. La seconda sarà il 23 giugno, vigilia di San Giovanni, patrono di Firenze; ad ottobre ve ne saranno due, dedicate a due grandi donne. L'11 ottobre sarà in omaggio a Vittoria Della Rovere, ultima discendente della nobile casata dei duchi di Urbino, quinta granduchessa di Toscana e moglie di Ferdinando II dei Medici, nella ricorrenza del suo arrivo a Firenze, da Pesaro, insieme alla madre Claudia, quando aveva appena un anno. Il 31 ottobre invece ricorderà il Patto di Famiglia stretto dall'ultima discendente medicea, l'Elettrice Palatina Anna Maria Luisa con Francesco Stefano di Lorena nel 1737, grazie al quale le collezioni ed il patrimonio culturale dei Granduchi venivano permanentemente vincolati a restare a Firenze ed in Toscana.
GIORNATE GRATUITE NELLA GALLERIA DELLE STATUE E DELLE PITTURE. Si parte il 26 maggio, per la commemorazione della Strage dei Georgofili, nel segno della memoria del tragico evento avvenuto il 27 maggio del 1993 e in omaggio al valore della Legalità. Secondo appuntamento il 2 giugno, Festa della Repubblica, e terzo l’11 agosto, alla vigilia della ricorrenza del tragico incendio che il 12 agosto 1762 devastò parte della Galleria distruggendo anche molte delle opere custodite. Il 6 novembre, infine, accesso gratuito per festeggiare il compleanno di Leopoldo de' Medici (nato nel 1617), cardinale, uomo di scienza e cultura e appassionato collezionista, che contribuì nel corso della sua esistenza ad ampliare grandemente il patrimonio artistico della Galleria.
GIORNATE GRATUITE A PALAZZO PITTI E NEL GIARDINO DI BOBOLI. Ingresso gratis il 17 marzo, nel 1861 data dell' Unità d'Italia: la giornata gratuita in questo caso rende omaggio, oltre che all'unificazione, anche al ruolo di Palazzo Pitti, dal 1865 reggia sabauda, dove Vittorio Emanuele II risiedette nei sei anni in cui Firenze fu Capitale d'Italia, fino al 1871 Il 4 agosto nuova possibilità di accedere gratis a Palazzo e Giardino: la ricorrenza è la drammatica notte dei Ponti, del 4 agosto 1944, quando l'esercito nazista che occupava Firenze fece saltare con gli esplosivi svariati ponti sull'Arno, incluso quello di Santa Trinita, ideato da Michelangelo e realizzato per ordine di Cosimo I da Bartolomeo Ammannati, ed anche molti palazzi storici affacciati su entrambe le rive dell'Arno. Sempre ad agosto, ci sarà un nuovo giorno di visite libere il 27, data, nel 1569 dell'incoronazione a granduca di Cosimo I, evento che segnò la nascita del Granducato in Toscana. Fu proprio Cosimo, peraltro, a commissionare la costruzione dell'edificio che avrebbe dovuto accogliere le Magistrature, cioè le funzioni della macchina statale fiorentina, in seguito noto come Uffizi, a portare al completamento i lavori per il giardino di Boboli e ad ampliare la Reggia stessa di Pitti.
Quindi, il 30 novembre, per la festa della Festa della Toscana, celebrata in occasione della ricorrenza dell'abolizione della pena di morte nel granducato decisa nel 1786 nell'ambito della riforma penale da Pietro Leopoldo di Lorena.
"Le giornate scelte per questa iniziativa sono ricorrenze altamente simboliche ed evocative non solo per la storia di Firenze ma anche per quella della Toscana e dell'Italia - commenta il Direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt - il programma di ingressi gratuiti nei nostri musei potrà dunque anche avere un valore formativo, ed essere utile affinché tutti i cittadini possano ricordare e celebrare nel segno dell'arte e della cultura alcuni dei momenti e personaggi più importanti del passato di noi tutti".
La tavola quattrocentesca con Sant’Antonio Abate torna nella basilica di San Lorenzo
Dopo un accurato restauro la tavola quattrocentesca con Sant’Antonio Abate torna nella basilica di San Lorenzo. Il restauro ha fornito l’occasione di analisi e ricerche ed è stato reso possibile grazie al contributo dei Friends of Florence. La Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, ha seguito i lavori avvalendosi della direzione della dott.ssa Monica Bietti.
Simonetta Brandolini d’Adda, presidente dei Friends of Florence, ha espresso il suo vivo compiacimento per il lavoro fatto sottolineando come il compito della fondazione sia proprio quello di collaborare con le istituzioni e i professionisti per consentire alle generazioni presenti e future di fruire di questo patrimonio e crescere nei valori della cultura occidentale. I problemi principali, che hanno convinto ad un tempestivo intervento sull’opera, consistevano in un vistoso attacco di insetti del legno, dimostrato dai numerosi fori di uscita presenti sulla superficie dipinta e l’estrema fragilità della pellicola pittorica che si era sollevata in una serie di bolle e crestine diffuse su tutta la superficie. Oltre a questi problemi, strettamente conservativi, la pregevole pala d’altare ne presentava anche altri di ordine estetico, legati alle incaute puliture del passato, che avevano impoverito la pittura, soprattutto per ciò che riguarda la figura di San Leonardo sulla sinistra.
Nell’ambito dell’intervento conservativo è stato anche eseguito il recupero della grande cornice all’antica, pesantemente ridipinta di colore grigio per imitare l’architettura della chiesa in pietra serena. La complessa pulitura ha permesso di recuperare la decorazione sottostante, frammentaria ma preziosa, a base di azzurrite e foglia d’oro zecchino, che è stata quindi completata con gli stessi materiali, per riconsegnare l’opera alla cappella in tutta la sua importanza di pala rinascimentale. L’opera e l’artista E’ qui raffigurato sant’Antonio Abate in trono tra San Leonardo, nelle sembianze di un giovane diacono che regge le tenaglie che liberavano dalle manette i carcerati e San Giuliano ospitaliere, in veste di cavaliere con la spada. Storie dei tre santi si leggono nella predella con Sant’Antonio scappa dalla tentazione del monte d’oro al centro, San Leonardo che libera i carcerati a sinistra e San Giuliano che uccide per sbaglio i genitori a destra.
L’opera è da ricondursi nel catalogo del cosiddetto Maestro del Tondo Borghese, che prende il nome da un tondo con la Sacra Famiglia della Galleria Borghese di Roma. Varie ipotesi sono state avanzate per identificare l’ignoto pittore, ma nessuna risulta del tutto convincente. Attivo fra Quattro e Cinquecento, a Firenze e forse in Romagna - dove lascia opere a Bagno di Romagna - il pittore rivela una cifra stilistica che sembra indicare una frequentazione dell’ambito dei Ghirlandaio e dei Rosselli. Lavorò in chiese e conventi di Firenze e della sua periferia, interprete di un filone essenzialmente devoto. La sua maniera è assai ripetitiva, quasi del tutto esente da scarti stilistici, che non rendono facile l’inquadramento cronologico delle sue opere. Nella tavola di San Lorenzo, tuttavia, i modi legnosi, incisi, asciutti del Maestro, acquistano una qualità inusitata, una morbidezza e un agio compositivo che evocano lo stile di Domenico Ghirlandaio e inducono a ipotizzare una collaborazione con quest’ultimo, alla cui bottega la pala era in passato attribuita. Tale collaborazione non presuppone necessariamente un’appartenenza del pittore alla bottega, tuttavia tangenze con l’atelier ghirlandaiesco sono frequenti nella sua intera attività. La tavola è attualmente collocata nella cappella Da Fortuna proprio di fronte alle cappelle con la pregevole Annunciazione di Filippo Lippi.
Questo restauro è solo un appiglio per richiamare l’attenzione sulla basilica che oltre al culto rappresenta un armonioso contenitore di opere, in gran parte commissionate dalla famiglia de’ Medici e dalla loro cerchia. Affreschi, tavole e dipinti, statue e bronzi e marmi, opere architettoniche di artisti che hanno fatto grande storia la storia dell’arte italiana nel mondo sono qui presenti: Donatello, Rosso Fiorentino, Filippo Lippi, Rossellino, Ghirlandaio, Desiderio da Settignano e tanti ancora.
Carlo White.
Collezione di gemme antiche dei Medici e dei Lorena
la nuova sezione museale del MAF
Una nuova opportunità per i fiorentini, i toscani e i turisti in genere che amano Firenze e l’arte.
Dopo brevi saluti di Stefano Casciu e Simonetta Brandolini d’Adda, il direttore Mario Iozzo del MAF, Museo Archeologico Nazionale di Firenze, parlando della nuova sezione ha esordito che questa è una nuova occasione di vedere gli sviluppi del Museo Archeologico che sta diventando sempre più bello e affascinante. Ben 104 metri è lunga la nuova sezione finanziata da Friends of Florence, 104 metri di gemme bellissime ben 432 quelle selezionate, gemme babilonesi, greche, etrusche, romane e post-classiche dall’epoca Carolingia al Rinascimento. Un arco cronologico che va dal 2300 a.C. fino agli inizi del Settecento.
L’esposizione è stata creata per vedere le gemme in tutti i loro dettagli e angolazioni, sono stati studiate luci e retroilluminazioni, fatti calchi per mettere in luce le trasparenze, ognuno può soffermarsi su ogni tavola esposta
Riccardo Gennaioli, esperto in gemme e ora funzionario all’Opificio delle Pietre Dure, ha raccontato con dovizia di particolari la storia delle collezioni che ha catalogato con le difficili scelte fatte per l’esposizione.
La collezione nasce a partire da Lorenzo il Magnifico, che aveva acquistato alcuni esemplari della pregevole raccolta del cardinale veneziano Pietro Barbo che sarà poi Papa Paolo II (1464-1471), raccolta che fu continuata da tutti i Medici Cosimo I e la moglie Eleonora da Toledo fino Gian Gastone e Anna Maria de’ Medici l’ultima della casata Medici e Elettrice Palatina che fece dono di molti dei beni e delle collezioni dei Medici a Firenze […] levare fuori della Capitale e dello Stato del Granducato, Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioje ed altre cose preziose, della successione del Serenissimo GranDuca, affinché esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri
Da notare che molte di queste gemme erano montate in preziose cornici rinascimentali attribuite anche a Benvenuto Cellini e alla sua bottega
Il tutto è esposto ora nel corridoio riservato di Maria Maddalena de’ Medici che portava verso la Santissima Annunziata. Maria Maddalena che nata deforme o forse ritardata, fu battezzata solo quando aveva 9 anni. Il 24 maggio 1621 entrò nel Convento della Crocetta, sebbene non prese mai i voti
Avendo grande difficoltà a salire le scale, la sua residenza venne dotata, dall'architetto Giulio Parigi di una serie di passaggi sopraelevati attraverso i quali essa poteva spostarsi senza incontrare gradini sul suo tragitto e, soprattutto, senza bisogno di scendere per strada dove avrebbe attratto gli sguardi dei curiosi.Oggi restano quindi quattro archi sopraelevati di passaggio, uno verso l'ospedale degli Innocenti, uno sopra via della Pergola, uno su via Laura (per raggiungere un altro monastero) e uno che entrava nella basilica della Santissima Annunziata, da dove la sventurata assisteva alla messa attraverso una grata nella navata sinistra, posta dietro a un piccolo vano al termine del passaggio.
Prima dell’ingresso nel corridoio è stata allestita una saletta dotata di fotografie retroilluminate e di filmati e lo stesso nell’ultima saletta al termine del corridoio.
Un perfetto sistema di touch-screen consente di avere informazioni precise e dettagli su ogni gemma esposta, la sua storia, il suo significato e tante altre notizie stoiche e artistiche e i video sono chiari ed esplicativi nonché particolarmente belli.
Da rimarcare che ogni tavola di gemme esposta nei 104 metri del corridoio, sono ben 34, è preceduta da informazioni e all’interno vi sono ricche didascalie e dettagli delle gemme esposte (se si prende nota dei numeri le si possono facilmente ritrovare sui touch-screen e approfondire al massimo per saperne di più)
Insomma, una gioia per gli occhi e per la bellezza che l’uomo nei secoli è riuscito a produrre e tutto questo è possibile in un museo che negli ultimi anni ha fornito trasformazioni veramente interessanti.
C.B.
Una mappa degli organizzatori e dei personaggi
Il Polo museale della Toscana, istituito nel 2014 e diretto da Stefano Casciu, gestisce, tutela e valorizza quarantanove luoghi della cultura di proprietà statale, alcuni dei quali inseriti nella lista Patrimonio mondiale dell‘Umanità dell’Unesco. Presente su tutto il territorio regionale nelle province di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Pisa, Pistoia, Prato, Siena, coordina una rete museale vasta, diffusa e capillare straordinaria per ricchezza e densità del patrimonio, espressivo delle principali civiltà e dominazioni, correnti artistiche e culturali, che attraverso i secoli testimoniano la lunga storia della Toscana. Musei e aree archeologiche, pinacoteche, cenacoli, ville medicee, parchi e giardini storici, fortezze, case-museo, edifici di destinazione religiosa, compongono un intenso racconto corale valorizzando la ricchezza del patrimonio culturale trasversale presente sia nei grandi musei sia nelle eccellenze meno conosciute, ma non meno importanti, distribuite tra le città d’arte e i preziosi borghi della provincia.
Friends of Florence è una Fondazione non-profit Internazionale, che nasce nel 1998 negli Stati Uniti costituita da persone di tutto il mondo che si dedicano a preservare e a valorizzare l’integrità culturale e storica delle arti a Firenze e in Toscana e fornisce sostegno finanziario direttamente ai laboratori di restauro della città per rinnovare, salvaguardare e rendere disponibile al pubblico una vasta gamma di opere d’arte: dipinti, sculture, elementi architettonici e collezioni di oggetti più piccoli. La fondatrice e Presidente è Simonetta Brandolini d’Adda.
Dal 1998 Friends of Florence è fra le principali fonti di finanziamento dei tanti laboratori di restauro
e dei professionisti qualificati che in città lavorano per garantire la sopravvivenza dell’arte e dell’architettura a Firenze e in Toscana. La Fondazione è impegnata a sostenere la salvaguardia
e la conservazione del patrimonio artistico e culturale delle opere d'arte a Firenze ed in Toscana
e, per fare ciò, ha sviluppato negli anni collaborazioni stabili e continuative con enti pubblici e privati che operano in ambito artistico.
La scelta dei progetti di restauro avviene con il supporto di esperti e storici dell’arte di fama
internazionale che, riuniti in un Comitato tecnico, seleziona quei progetti che saranno finanziati. In
questo modo molte opere artistiche e architettoniche possono essere restaurate, tutelate e finalmente rese visibili al pubblico. In moltissimi casi la Fondazione continua a mantenere i progetti restaurati per anni dopo il completamento del lavoro.
Ogni progetto di restauro è seguito dalla produzione e dalla realizzazione di libri o di materiale
multimediale come: DVD, CD Rom contenenti la storia, le immagini, le interviste a studiosi e restauratori e la documentazione delle fasi del restauro dell’opera in questione.
La Fondazione, pur utilizzando al meglio queste tecnologie, promuove con le Università, le scuole,
le associazioni culturali e i circoli privati, conferenze e incontri a tema. Durante l’anno organizza
diversi programmi con storici e donatori per studiare artisti o temi particolari. Negli ultimi anni
questi programmi sono stati organizzati anche per musei e istituti internazionali come il Chicago
Art Institute e The Aspen Institute.
La formazione del MAF Museo Archeologico Nazionale di Firenze, uno dei più antichi in Italia, diretto ora da Mario Iozzo, risale al 1870, quando con “regio decreto” fu istituito nel cd. “Cenacolo di Foligno”, in via Faenza, con le collezioni del Museo Etrusco, che comprendeva anche le antichità greche e romane ereditate delle collezioni medicee e lorenesi.
Nella stessa sede di via Faenza era già stato allestito, nel 1855, il Museo Egizio, secondo in Italia solo a quello di Torino, che comprendeva alcune antichità già presenti dal XVIII secolo nelle collezioni medicee, ma ampiamente incrementato per merito del Granduca di Toscana Leopoldo II, che finanziò insieme a Carlo X, re di Francia una spedizione scientifica in Egitto, diretta da Jean-
François Champollion, il decifratore dei geroglifici, e dal pisano Ippolito Rosellini. I numerosi oggetti raccolti durante il viaggio, sia eseguendo scavi, sia acquistando reperti da mercanti locali, furono equamente suddivisi al ritorno tra il Louvre di Parigi e Firenze.
L’incremento delle collezioni rese presto inadeguati i locali di via Faenza e nel 1880 il Museo Archeologico fu collocato nella sede attuale del Palazzo della Crocetta, seguito dal Museo Egizio nel 1883. Qui giunsero, tra il 1890 e il 1898, alcuni dei grandi bronzi etruschi, greci e romani e numerosi bronzetti greci e romani delle collezioni medicee e lorenesi conservati agli Uffizi, oltre alla raccolta numismatica (1895) e a quella glittica (1898).
Nel cortile del palazzo furono allestiti i resti dei monumenti romani venuti alla luce nel corso dei lavori di ristrutturazione effettuati nel centro di Firenze alla fine del XIX secolo.
Da Luigi Adriano Milani fu inaugurata la sezione topografica etrusca, che nello spazio di diciassette sale illustrava la storia degli Etruschi attraverso i materiali raccolti nel corso degli scavi condotti nel territorio dell’antica Etruria; nel Giardino storico, aperto al pubblico nel 1902, furono ricostruite con i materiali originali alcune tombe monumentali, per documentare i principali tipi architettonici funerari impiegati dagli Etruschi. L’alluvione del 1966 ha completamente distrutto il Museo Topografico e attualmente più di centomila oggetti di straordinario valore sono depositati nei magazzini e per mancanza di adeguati spazi espositivi sono fruibili al pubblico solo in occasione di mostre temporanee.
Oggi nella bellissima Chiesa di Sant’Andrea a Pistoia è stato presentato il progetto di restauro del famosissimo pulpito realizzato da Giovanni Pisano negli anni a cavallo tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo.
In restauro che verrà finanziato dai Friends of Florence, questa volta fuori Firenze come già successo nel restauro del cenacolo di Badia a Passignano.
L’occasione è nata da una visita di Andrea Pessina, Soprintendente all’archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Firenze, e le Province di Pistoia e Prato, nel cui corso fu sensibilizzato alla precaria situazione di questo pregiato manufatto artistico che si colloca nelle prime pagine dell’arte pistoiese, toscana e italiana.
Il progetto di restauro sarà affiancato da un ìmportante documentazione che verrà ottenuta attraverso diagnostica affidata ai più moderni apparecchi tecnici disponibili e oltre a fornire notizie sullo stato dei lapidei farà si che il restauro sia conservativo e reversibile senza incorrere nei molti errori fatti con interventi del passato (uno fra tutti il rafforzamento con ossatura metallica che ossidandosi si espande e rende fragile il lapideo).
Sia il Vescovo di Pistoia, SE Mons. Fausto Tardelli sia il Soprintendente Andrea Pessina hanno ringraziato Firends of Florence e la sua Presidente Simonetta Brandolini d’Adda per la tempestività con la quale l'Associazione ériuscita a raccogliere i fondi per questo importante progetto.
Non ci resta ora che aspettare per rivedere al più presto il capolavoro di Giovanni Pisano restaurato.
Carlo Biancalani
https://www.facebook.com/groups/568234949933831/
Si ricorda che il 3 Novembre alle ore 17,30 presso la Chiesa di S. Maria in Campo (Firenze Via del Proconsolo) si terrà una commemorazione in memoria di tutti i defunti del nostro Istituto.
Il Consiglio Direttivo
Conviti e Banchetti fino al 6 gennaio 2019 Uno spettacolo per gli occhi ...
Apparecchiare la tavola ha assunto nei secoli significato di gioia, celebrazione di eventi ed esibizione di ricchezza.
La tavola apparecchiata da sempre richiama momenti di festa e condivisione, e il mangiare insieme va ben oltre il semplice atto della nutrizione del corpo.
Nella casa-museo Stibbert, oltre alla attività di un grande collezionista, si svolgevano anche quotidiane funzioni della vita della famiglia: si cucinava, si ricevevano gli amici, si pranzava assieme, e oggi con la mostra “Conviti e Banchetti” torna questa grande tradizione di imbandire le mense.
Nella splendida cornice del museo Stibbert, mirabilmente diretto da Enrico Colle, dal 30 marzo è in corso una mostra molto
particolare che collegandosi alle collezioni di Frederick Stibbert le amplia e le contestualizza fornendoci una sintetica ma meravigliosa
storia dello stare a tavola dell’aristocrazia e della borghesia dal Quattrocento fino ai primi decenni del XX secolo.
La mostra è un vero spettacolo per gli occhi, percorrendo l'evoluzione del banchetto come arte, come rito, secondo regole e stili
differenti che segue le mode e i costumi delle varie epoche.
Il banchetto come momento di socializzazione e soprattutto di rappresentazione di ricchezza o potere, politica e in definitiva di cultura.
La mostra ci offre anche una visione delle stratificazioni sociali durante le varie epoche.
Attraverso descrizioni, documenti, dipinti e altre forme visive di rappresentazione si ricava una interessante e godibilissima panoramica
attraverso il tempo della teatralità del banchetto con i suoi protagonisti ma anche con tutto lo stuolo dei suoi attori o comparse,
dagli architetti inventori di strabilianti ambientazioni, ai cuochi creatori di pietanze ricercate e scenografiche, giù giù fino agli sguatteri e servitori.
La musica seguendo anch'essa le convenzioni e gli stili delle varie epoche, è elemento essenziale del banchetto, al pari delle pietanze,
e delle immaginifiche ambientazioni, degli allestimenti della tavola, dei preziosi servizi di piatti e posate.
I modi del banchetto cambiano e si raffinano. Si pensi che nel Quattrocento, essendo ancora sconosciuto l'uso delle posate, la tavola veniva
imbandita con una semplice tovaglia bianca con solo una striscia di stoffa preziosa nel centro al fine di permettere ai commensali, che
mangiavano usando solo tre dita della mano destra, di potersi asciugare dopo averle lavate in bacili, quando presenti, collocati
sulla tavola o portati dai servitori.
Difficile rendere a parole il racconto della mostra, per me è stata una piacevolissima scoperta.
Invito invece, e caldamente, a visitare e a godere con i vostri stessi occhi e poi continuare con la visita al museo, unico nel suo genere,
nel caso qualcuno ancora non lo conoscesse, e infine una passeggiata attraverso il vasto e bel giardino, molto ben mantenuto,
per apprezzarne le delizie.
Carlo Biancalani
Ci è pervenuta da Ferdinando Berti, nostro collega, un invito, per chi fosse interessato, a partecipare ad un convegno molto attuale, del cui esito daremo successivamente conto.Vi invitiamo a legere attentamente la locandina che troverete in forma completa nella sezione MODULI E DOCUMENTI.
Il Consiglio Direttivo.
Associazione Culturale "Capanna Europa"
O.P.S.E. -Osservatorio Permanente
Socio Economico
VENERDI 12 OTTOBRE 2018 - ore 17:00
Circolo S.M.S. di Mezzomonte
Via Imprunetana per Pozzolatico, 199 - Impruneta
Dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019 Palazzo Strozzi ospita una grande mostra dedicata a Marina Abramović, una delle personalità più celebri e controverse dell’arte contemporanea, che con le sue opere ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione.
L’evento si pone come una straordinaria retrospettiva che riunisce oltre 100 opere offrendo una panoramica sui lavori più famosi della sua carriera, dagli anni Sessanta agli anni Duemila, attraverso video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni e la riesecuzione dal vivo di sue celebri performance attraverso un gruppo di performer specificatamente formati e selezionati in occasione della mostra. (tratto dalla locandina di presentazione).
Non posso e non voglio giudicare o farne elogi o critiche perché per farlo rischio di farmi travolgere da quello che si racconta, fra altre performance fatte, dai video e dai filmati senza tuttavia conoscere l’artista ma solo quello che dice o si dice di lei.
Posso invece dire che sono uscito dalla mostra contento per l’esperienza osservata e vissuta pur non sapendo se mi stavano prendendo in giro o se erano dal “cuore” dell’artista che venivano quelle performance.
Credo che anche questa mostra svolga il suo ruolo di farci pensare a forme diverse di arte e comunicazione alle quali non siamo se non sporadicamente abituati e che ci rimane, sto parlando di molti delle correnti generazioni, difficile chiamare ARTE (carlo white)
E voi ... che ne pensate ? Scriveteci le vostre impressioni a: info@pensionatibt.it
Si scoprono sempre nuovi legami fra Arte, la già Banca Toscana e Firenze
E’ stata presentato al MAF il restauro della bellissima statua marmorea di Afrodite. Il MAF (acronimo di Museo Archeologico Fiorentino) al quale da tanto tempo si accede da Piazza Santissima Annunziata è uno dei musei archeologici più importanti e meglio conservati d’Italia molto migliorato per merito dei restauri e di nuovi allestimenti. Un museo che comunque è in via di continue trasformazioni e innovazioni intese a renderlo più fruibile a tutti.
Friends of Florence, spesso presente nei restauri di opere d’arte conservate a Firenze è arrivata al MAF da tempo patrocinando sia restauri che nuovi allestimenti museali.
Simonetta Brandolini d’Adda, l’attivissima Presidente di Friends of Florence, grazie al contributo di Michael e Sandy Collins, ha finanziato il restauro di questo pregiato marmo che guarda caso fino al 1882 quando venne acquistato dall’allora Soprintendenza, era conservato presso un Palazzo Da Cepparello da noi ben conosciuto, situato al n. 6 di via del Corso, a Firenze. Il palazzo, abitato originariamente dalla famiglia Portinari (quella della Beatrice di Dante) e passato successivamente alla famiglia Salviati (quella di Maria moglie di Cosimo I de' Medici), appartenne in ultimo ai Da Cepparello, per poi divenire sede di Banca Toscana e oggi di appartamenti in via di progettazione.
Ma torniamo all’Afrodite, la statua in marmo che da li proveniente venne inizialmente interpretata come Leda ma dopo il restauro si è rivelata con certezza Afrodite. Gli interventi hanno restituito la scultura all'originario splendore, facendo riemergere il candore del marmo in cui è stata scolpita, svilito dal grigio della polvere accumulata nei secoli.
La scultura è stata riconosciuta come una copia, di buona qualità, di età romana, risalente al I secolo d.C. tratta da un originale greco di età ellenistica, datato attorno al 300 a.C. La composizione del marmo (proveniente dall’isola di Paros) in cui è realizzato il corpo è diverso da quello della testa, e ha rivelato che quest'ultima, sebbene antica, non è pertinente, così come braccia e gambe, che sono di restauro probabilmente del XVII o XVIII secolo: una pratica, quella di integrare reperti lacunosi aggiungendo sia parti antiche che parti create appositamente, che aveva lo scopo di restituire ad essi l'integrità (e la bellezza, nello spirito dell'epoca). Il risultato del restauro appare comunque evidente e fa apprezzare l’opera nel suo insieme.
Aggiungo che molti toscani e anche molti fiorentini non conoscono il bellissimo Museo Archeologico che ora più di prima vale la pena di un’accurata visita.
Teniamo sempre presente che la bellezza, l’arte e la cultura in genere sono qualità che si godono spesso in età avanzata ma è da piccoli a conoscerle per poi riconoscerle. Cultura, arte e bellezza, così come la bontà e l’onestà, il rispetto e le buone maniere e tanti altri valori si imparano molto meglio fra i 5/6 e i 10/12 anni.
Un invito quindi ai genitori e ai nonni a portare non solo a fare sport ma anche a “fare cultura” i loro figli e nipoti.
Carlo Biancalani
L'IMMACOLATA CONCEZIONE DI AGNOLO BRONZINO RESTAURATA E' TORNATA VICINO ALLA NOSTRA EX DIREZIONE
Ritorna la tavola di Agnolo Bronzino raffigurante l’Immacolata Concezione, nella chiesa della Beata Vergine Maria Regina della Pace a Firenze, tanto per intendersi la chiesa vicina alla ex Direzione Generale di Banca Toscana a Firenze Nova. La pala d'altare dopo un attento lavoro di restauro, reso possibile grazie alla Fondazione Friends of Florence e dopo l’esposizione alla mostra “Cinquecento a Firenze” tenutasi a Palazzo Strozzi è ritornata in questa chiesa della prima periferia fiorentina-
“Rivedere l’opera riacquistare la propria bellezza e la luminosità dei colori sotto la coltre di vernici e polvere che l’aveva mortificata per anni, è per noi davvero un motivo di grande orgoglio” Spiega Simonetta Brandolini d’Adda Presidente di Friends of Florence che continua ringraziando la Curia per la grande disponibilità offerta di restaurare l’opera nella Chiesa di S. Agata. I fondi necessari sono stati raccolti da Friends of Florence da benefatori statunitensi della città di Omaha, Nebrask e dal Council for the Future che hanno individuato questo grande dipinto di Bronzino e anche da parte di Antonio Natali, Carlo Falciani, e la direzione di Palazzo Strozzi che con lungimiranza hanno incluso questa opera tardiva del pittore fiorentino nella mostra sul Cinquecento,
La pala prima collocata nei depositi degli Uffizi venne concessa in deposito nel 1951, alla chiesa della Beata Vergine Maria Regina della
Pace: la prima chiesa edificata a Firenze dopo la seconda guerra mondiale .
Il Bronzino (probabilmente vezzeggiativo dovuto al colore bronzeo dei suoi capelli) che morì a 69 anni di un "malaccio" diremmo ora, non smise mai di lavorare e lasciò quasi terminata ma comunque incompiuta questa pala d'altare che gli era stata commissionata per un monastero. Alacre pittore soprattutto per i Medici, Agnolo nato a Monticelli, prima cerchia fuori Firenze, proveniva da una famiglia di macellai ma la sua passione per l'arte lo fece ben presto crescere per aver imparato modi e tecnica, appena 13enne, prima con Raffaellino del Garbo e poi collaborando col Pontormo alla Certosa del Galluzzo. Sempre con il Pontormo collaborò a diverse altre opere per poi spostarsi a Pesaro dai Della Rovere e quindi, ormai pittore di successo rientrò a Firenze per dipingere fra l'altro il bellissimo ritratto di Eleonora da Toledo in occasione delle nozze con Cosimo I. Possiamo ben definire Agnolo Bronzino uno dei più grandi e raffinati esponenti del Manierismo fiorentino.
La pala restaurata dell'Immacolata concezione riassume un po' tutti i canoni del manierismo e anche ricorda molti altri lavori già realizzati dal Maestro fiorentino eccetto forse la voluta e composta ieraticità della Madonna che ha uno sguardo fortemente rivolto al cielo quasi lo bramasse. Guardandola e riflettendo sul pittore ci sarebbe da pensare al suo sentire la vicinanza della fine e la speranza di un "oltre" forse anche desiderato. Ma questa è solo una mia personale riflessione basata sull'empatia che ho provato nei confronti dell'immagine e del pittore.
Carlo Biancalani
Riceviamo e pubblichiamo volentieri una locandina del collega Moreno Cheli per l'invito ad una mostra storico-ricostruttiva sulla "Grande Guerra", che si volgerà a Chiesanuova - S. Casciano Val di Pesa - dal 10 al 24 giugno 2018.
PRESENTATO IN QUESTI GIORNI IL RESTAURO DEL CIBORIO
“CAPPELLA DEL CROCIFISSO” IN SAN MINIATO A MONTE
Premetto, prima della stesura di questo breve pezzo, che vivendo a Firenze non sono a conoscenza di molti restauri o eventi culturali in altri territori coperti dalla nostra associazione. Territori che, come l’Italia tutta, hanno una ricchezza artistica, antropologica e culturale in genere che ci fa spesso dimenticare anche i guai logistici o amministrativi che da abitanti sempre più spesso subiamo.
Invito quindi tutti coloro che ne hanno modo e voglia di comunicare con i mezzi a disposizione notizie sugli eventi di cui sono a conoscenza allo scopo di ampliare il panorama e arricchire le nostre menti con la cultura che sappiamo è ottima medicina per molti mali.
Anche questa volta Friends of Florence, mettendo insieme donazioni diverse hanno realizzato questo intervento di restauro. Quindi un plauso ai donatori e a Simonetta Brandolini d’Adda che presiede la Fondazione.
I lavori di restauro sono durati circa 14 mesi ed hanno interessato tutte le opere che si trovano nella magnifica edicola e per la precisione il Ciborio di Michelozzo (l’architetto che costruì per Medici Palazzo Medici Riccardi) e Luca Della Robbia, le aquile bronzee dell’Arte di Calimala di Maso di Bartolomeo e l’articolato Polittico di Agnolo Gaddi.
Una sensazione bellissima entrare ora in San Miniato a Monte e vedere nella penombra stagliarsi il grande ed elegantissimo ciborio con le sue luminescenze e con qualche raggio di luce che fa risplendere i fondi oro.
San Miniato a Monte è da sempre una fonte inesauribile di emozioni, vuoi per la sua antichità e per la sua storia fatta di apprezzamento e vicissitudini anche avverse.
Quest’anno San Miniato che appartiene all’ordine dei Benedettini Olivetani (la Casa Madre è a Monte Oliveto Maggiore vicino a Buonconvento in provincia di Siena) commemora i ben mille anni dalla nascita (1018-2018) quando il vescovo fiorentino Idelbrando il 27 aprile del 1018 rintracciate fra le macerie della chiesa carolongia precedente recuperò le reliquie del protomartire Miniato e le fece collocare in un altare.
Il Ciborio restaurato rientra in una serie di interventi che quest’anno trovano il loro compimento.
L’Arte di Calimala, la potente corporazione fiorentina che riuniva i mercanti, ebbe un ruolo fondamentale nell’amministrazione del complesso monastico di San Miniato fino alla soppressione del 1770 quando dai Lorena fu avviata la soppressione delle arti di origine medioevale che vennero sostituite dalla Camera di Commercio. Lo stemma dell’Arte, raffigurante un’aquila dorata che tiene con gli artigli un torsello (ndr balla tela o lino arrotolato) in campo rosso, domina la cuspide della facciata della chiesa di San Miniato così come il Ciborio.
Il Ciborio venne costruito anche per ospitare il miracoloso Crocifisso, dipinto da San Giovanni Gualberto (fondatore dell’ordine dei Vallombrosani), e Piero dei Medici si rese disponibile nel 1447 a finanziare la costruzione dando incarico all’architetto Michelozzo del progetto.
Il crocifisso nel 1671 fu trasferito in Santa Trinita che è sotto giurisdizione Vallombrosana.
Non mi dilungo nel racconto dei restauri e propongo invece qualche foto fatta per l’occasione.
Carlo Biancalani
Per chi è interessato segnaliamo il sito www.sanminiatoalmonte.it dove si trovano gli innumerevoli eventi per i festeggiamenti dei 1000 anni di san Miniato al Monte.
Novità al Museo Archeologico Nazionale di Firenze
Venerdì 6 aprile Stefano Casciu, Direttore del Polo Museale della Toscana, Mario Iozzo e la Curatrice della Sezione Etrusca del Museo, G. Carlotta Cianferoni, insieme a Simonetta Brandolini d’Adda dei Friends of Florence, hanno aperto le nuove sale dedicate al Vaso François, al Sarcofago delle Amazzoni e ai Bronzetti greco-romanirealizzate grazie alla generosa donazione di Laura e Jack Winchester, liberalmente offerta al Museo Archeologico Nazionale.
Per me è stato un evento importante perché il Vaso Francois fa parte dei miei ricordi di infanzia, una delle prime cose che il babbo Ottavio mi portò a vedere una domenica quando ancora avevo i pantaloni corti, un avvenimento che come tutte le visite ai musei fatte col babbo mi sono rimaste impresse nella memoria.
Il celebre Vaso François, capolavoro dell’arte vascolare greca è statocollocato ora in una nuova sala, in una nuova vetrina, con un allestimentodi fregi retroilluminati, con apparato didattico bilingue (in italiano e in inglese) e con due postazioni informatiche nelle quali i visitatori possono scorrere le immagini, approfondire i miti, le saghe e le storie degli antichi dei ed eroi della Grecia classica e della Guerra di Troia, scoprendo così quale fu il fascino che il Rex Vasorum (il Re dei Vasi) esercitò sugli aristocratici etruschi della potente città di Chiusi, che tra il 565 e il 550 a.C. lo acquistarono e lo posero in una grande tomba a sette camere.
Accanto al grande cratere solo ora, sono esposti Ergotimos e Kleitias due vasi figurati (della bottega del pittore Lydos) che solo recenti ricerche d’archivio hanno individuato come possibili elementi del corredo funerario di cui il Vaso François faceva parte. Uno di essi raffigura il Giudizio di Paride sulla bellezza delle tre dee Era, Atena e Afrodite, mito all’origine della Guerra di Troia che va a completare il ciclo mitologico della saga, integrandolo così con la parte iniziale della storia.
Il Direttore del Museo, Mario Iozzo, ha realizzato la guida del Vaso François, dettagliata e ampiamente illustrata destinata al pubblico anche non specialistico, disponibile sia in italiano che in inglese.
Il rinnovamento dell’apparato espositivo riguarda anche il Sarcofago delle Amazzoni, esempio unico al mondo di sepolcro di marmo dipinto (350 a.C.), destinato a una aristocratica dama di Tarquinia, nonna di un alto magistrato che l’ha onorata commissionando la splendida sepoltura anch’esso corredato di un nuovo apparato didascalico e didattico in doppia lingua, chiaro e comprensibile a tutti, che illustra le scene figurate e traduce le iscrizioni incise sulla sua superficie, spiegando anche il motivo per cui sono doppie. Due postazioni informatiche offrono ai visitatori la possibilità di scorrere le immagini e di avere approfondimenti (sia in italiano che in inglese) sulle raffigurazioni, la scoperta, lo stile, le pitture e i loro colori, le scene e i miti raffigurati.
Un importante settore che si aggiunge ai capolavori già esposti nella Sezione delle Collezioni, negli splendidi ambienti realizzati all’epoca di Pietro Leopoldo di Toscana, è costituito dalle nuove sale allestite da G. Carlotta Cianferoni e dedicate ai Bronzetti grecoromani. Tre ambienti e undici vetrine che accolgono 180 pregiatissime statuette di bronzo, sia originali greci che copie di età romana, un tempo parti della grande collezione mediceolorenese e in parte restaurate e integrate da artigiani e artisti della loro corte (tra i quali Benvenuto Cellini). Ad esse si accompagnano ritratti di tragediografi, poeti e filosofi greci e parti di grandi statue in bronzo, nonché, a completamento dell’esposizione, statue in marmo e oreficerie che permettono un confronto tra quanto raffigurato su alcune opere in bronzo e gli oggetti reali.
Particolare la storia del Vaso Francois, il nomeè stato attribuito a questo pregevole reperto perché trovato dall’archeologo Alessandro Francois che lo scoprì nel 1845 a Chiusi (archeologo che nonostante il cognome era toscano, fiorentino per l’esattezza), ed è un grandecratere a volute con figure nere di produzione attica, capolavoro della ceramografia arcaica, datato intorno al 570 a.C. Si tratta del più antico cratere a volute attico conosciuto. Le sue dimensioni si sviluppano su un'altezza di 66 cm e un diametro massimo di 57 cm.
I numerosi frammenti del vaso furono rinvenuti dal Francois,l’archeologo già aveva scoperto la famosa tomba di Vulci, nellanecropoli etrusca di "Fonte Rotella" a Chiusi. I cocci del vaso che erano dispersi in due tumuli funerari saccheggiati già in antico e, nonostante ripetute ricerche, non sono mai stati interamente ritrovati, furono inviati a Firenze dove un accurato restauro permise un'ottima ricostruzione dell'oggetto che fu acquisito ed esposto presso il Museo Archeologico Nazionale.
Dopo la prima ricomposizione, il 9 settembre del 1900, il vaso fu vittima della collera di un custode del museo che lo disintegròvilmente in 638 pezzi; si rese necessario quindi un secondo restauro e la conservazione che gli fece tuttavia superare indenne l’alluvione del 1966.
La decorazione comprende la raffigurazione di scene mitologiche o decorative, i cui temi sono incentrati sul ciclo narrativo del personaggio Achille e del padre Peleo (mitico Re di Ftia). Le scene si dispiegano su sette registri sovrapposti. Sono presenti 270 figure e 121 iscrizioni esplicative. La dimensione verticale delle bande decorative è variabile per adattarsi con maestria alla tettonica del vaso e contribuendo così a conferire movimento alla decorazione. La narrazione si dipana linearmente su ciascuna banda, in senso antiorario, senza contrapposizioni antitetiche, fluida e narrativa, priva di ogni rigidità.
Un oggetto da vedere o da rivedere e che potrà certamente suscitare ora, nel nuovo allestimento e con le nuove spiegazioni, emozioni che potranno far rivivere attimi del nostro passato.
Carlo Biancalani
Simonetta Brandolini d’Adda Presidente di Friends of Florence ha presentato oggi, alla vigilia del del Giovedì dedicato ai Sepolcri e del Venerdì Santo, la restaurata Cappella Capponi nella Chiesa di Santa Felicita a Firenze.
La Cappella Capponi è stata interamente restaurata grazie a Kathe e John Dyson, già appartenenti all’associazione Friends of Florence, che per ricordare il loro anniversario di matrimonio con il loro contributo hanno coperto l’ingente spesa .
Un bel gesto a favore di Firenze che ha potuto così esporre la restaurata pala d’altare della cappella di Japoco Carrucci il “Pontormo” nell’ambito della bellissima mostra che si è da poco conclusa a Palazzo Strozzi sul Cinquecento a Firenze.
auro non ha però solo interessato la famosa deposizione del Pontormo ma il restauratore Daniele Rossi e la sua squadra di collaboratori hanno anche restaurato e sistemato l’intero e armonico complesso dell’intera Cappella come per esempio l’Annunciazione sempre del Pontormo, i lapidei, la cupola e la ripulitura degli affreschi o la splendida cornice lignea del dipinto.
Il lavoro è stato ricco di scoperte e sorprese, le indagini strutturali hanno portato a accertare l’esistenza di una parte di cupola antica, realizzata dal Brunelleschi sopra quella attuale con i mattoni a lisca di pesce, e addirittura l’impronta digitale che potrebbe essere dello stesso Pontormo in quanto lasciata sulla vernice ancora non asciutta proprio per testare il suo stato e soprattutto su quel personaggio, Nicodemo, che Luciano Berti indicò come essere l’autoritratto dell’artista.
Insomma qualcosa che è da vedere o da rivedere perché quello che si presenta agli occhi del visitatore è un piccolo scrigno di eccezionale compostezza e bellezza.
Per chi non fosse a conoscenza l’opera del Pontormo fu commissionata nel 1525 da Lodovico di Gino Capponi, un nobile e ricco fiorentino molto vicino ai Medici, che acquistò la Cappella precedentemente appartenuta ai Barbadori. Il Capponi rinnovò la cappella arricchendola e chiese appunto al Pontormo, già famoso, di realizzare la pala. Il Pontormo, con l’aiuto del suo fidato allievo Bronzino (!) fece lavorò all’opera nella cappella che fece chiudere con paratie perché l’opera non fosse vista e per non essere disturbato.
Il risultato è stato un capolavoro che come è stato scritto appare quasi come la ricerca innovativa di emozioni più che un’opera manierista.
La resa è drammatica e credibile, vi è attonimento e mutismo seppur in un movimento “immobile e statico” come se il tempo avesse colto l’attimo veicolando tuttavia il tema funebre ma anche la speranza o la promessa della resurrezione.
Carlo Biancalani
AVVISO IMPORTANTE
Abbiamo ottenuto una proroga al 23 marzo 2018 della possibilità di confermare la polizza assicurativa con la Sanint. Ricordiamo che, per gli aventi diritto, in mancanza della lettera, è possibile accedere direttamente al link www.marshaffinity.it/mpsbancatoscana e completare il percorso di rinnovo, seguendo le istruzioni.
Il Consiglio Direttivo
Il Direttore Responsabile della rivista Voce Nostra, Dr. Carlo Biancalani, ci invita tutti a visitare la bellissima mostra d'arte contemporanea, della quale ne anticipiamo alcuni spunti, in corso di svolgimento a Firenze, Palazzo Strozzi.
NASCITA DI UNA NAZIONE
Tra Guttuso, Fontana e Schifano Palazzo Strozzi 16 marzo – 22 luglio 2018
Una mostra che racconta una parte di storia contemporanea d’Italia, la parte forse più vicina e a volte incompresa o non amata perché distante dal conservatore ma tesa al futuro.
Una storia della quale siamo intrisi, per ricordi di giovani, adolescenti o bambini che in quel periodo eravamo.
Una mostra che ha l’importanza della memoria che non è solo guerra, campi di concentramento o foibe, ma è anche rinascita con valori spesso incompresi o sottaciuti ma comunque nostri, della società che ci circondava e della quale facevamo parte spesso come figli più che come genitori. Non vale la pena rinnegare quei tempi ma vale invece la pena analizzarli, capirli, accettarli e se del caso modellarli sempre a fin di bene per chi ci seguirà. Quello che la mostra racconta è, almeno in parte, la nostra storia.
Arturo Galansino, giovane e capacissimo direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze, che appena quarantenne ha fatto di Strozzi in pochi anni uno dei luoghi espositivi più apprezzati d’Italia ma, soprattutto, ha portato a Firenze quello che a Firenze spetta di diritto “l’arte contemporanea” seppur spesso inframezzata da esposizioni, sempre e comunque magnifiche di altri periodi e tanto per citare: Pontormo e Rosso, Ai WeiWei, Bill Viola, da Kandinski a Pollock, tra Van Gogh, Chagall e Fontana, ha presentato anche quest’ultima mostra dando subito spazio alle autorità istituzionali e politiche e allo sponsor per poi passare la parola al curatore Luca Massimo Barbero, attualmente direttore del settore artistico della Fondazione Cini di Venezia e apprezzato critico d’arte.
Proprio Luca Massimo Barbero ha detto una cosa che mi è rimasta impressa circa questa mostra che nonostante gli ampi spazi, non può raccontare o dire tutto di questo nostro periodo. Troppe sono le connessioni fra Arte e Cultura, Società e Politica, troppe le connessioni e la ricerca che si è sviluppata in quel periodo ricco di nuovi elementi di comunicazione, cinema , televisione, musica, ecc. che ha reso l’Italia Leader mondiale della creatività e non solo.
Luca Massimo Barbero, quasi a scusarsi , ha detto che questa mostra è forse solo una piccola sintesi di un periodo ed ha citato il grande scultore Arturo Martini che in altra occasione ebbe a dire “E’ come voler friggere un uovo al tegamino sulla bocca di un vulcano”, non so se sono le parole esatte ma in sostanza è questo per far capire come sia stato difficile racchiudere in una sola mostra un periodo storico quale l’Italia non aveva da tempo e che ha influenzato quasi fino ad oggi la nostra storia e le nostre menti.
La mostra intende mettere a fuoco il rapporto tra l’arte e la cultura, la società e la politica italiana a partire dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta: in particolare, tra “miracolo economico” (1958-1963) e Sessantotto.
Nascita di una Nazione intende descrivere la nascita di nuove concezioni artistiche e per fare questo procede per opere e figure emblematiche di quella che allora costituiva l’alterità delle ricerche di avanguardia, e che oggi (come sempre solo dopo) retrospettivamente rileggiamo come il territorio più fecondo ad aver tracciato una via italiana nella contemporaneità.
La mostra oltre ad opere di estrema importanza, dipinti, sculture, allestimenti, presenta molti video storici e da un senso reale ai nostri ricordi o all’immaginazione delle nuove generazioni.
Questa mostra comunica emozioni in modo diverso a ciascuno di noi perché
fondamentalmente è un racconto per i giovani e i giovanissimi. La
narrazione ad altre generazioni di un periodo che non è stato da loro
vissuto ma, spesso, solo a volte raccontato dai genitori o dai nonni.
Con occhi molto personali e diversi - in questo anche per le
considerazioni artistiche - la mostra di rivolge invece alle generazioni
che in qualche modo hanno vissuto quel periodo! Non a caso l’inizio
della mostra, con l’enorme opera di Guttuso che rappresenta Garibaldi
e la sua guerra ma che in realtà mima altre guerre ben più vicine ed
evoca invece la migrazione di oltre due milioni di persone dal Sud alla
ricerca di lavoro e, spesso, sopravvivenza al Nord è stato affiancato da
bellissimi video prodotti dal mitico Istituto LUCE con Kennedy, Papa
Giovanni XIII, Carosello e anche l’alluvione di Firenze. Momenti
importanti che io, da ragazzo, ho vissuto solo marginalmente ma che per
molti di noi rappresentano pietre miliari della vita. Con questo spirito
è futile dire se la “cacca di autore” in scatola di Piero Manzoni è
arte, espressione o piuttosto provocazione d’epoca. Sempre citando
Arturo Martini che provocatore diceva: l’artista che scolpisce una
venere in marmo può con la stessa arte esprimersi scolpendo una mela.
Il mio è un invito e uno stimolo a visitare la mostra con serenità per
ricordare ma anche per rivedere le considerazioni che spesso abbiamo
costruito in noi stessi pregni di una cultura che giusta o sbagliata che
fosse era costruita su valori che spesso ora ci vengono negati.
Carlo Biancalani
Pubblichiamo volentieri i risultati del Convegno OPSE, "La Toscana negli anni della crisi. Confronto con Regioni Europee" organizzata con il contributo del Dr. Ferdinando Berti. che ringraziamo.
Buongiorno,
desidero ringraziare l'Associazione Pensionati Banca Toscana, al Direttore della Rivista "Voce Nostra" per aver voluto mettere sul proprio sito la locandina relativa all'incontro che O.P.S.E. ha tenuto ieri mattina sulla Toscana presso la Sala ex Leopoldine, Piazza Tasso, 7 - Firenze.
Non disponendo di tutte gli indirizzi mail dei colleghi che fanno parte degli Organi Direttivi dell'Associazione, invio i ringraziamenti all'indirizzo di posta dell'Associazione e quella dei colleghi dei quali ne dispongo.
Grazie veramente anche ai colleghi che, nonostante la giornata gelida, hanno voluto ascoltare le considerazioni svolte dai componenti il "gruppo".
Per chi è interessato a conoscere le sintesi delle analisi presentate dai singoli relatori, segnalo - al momento - il sito www.gonews.it. Allego comunque il comunicato stampa finale ed una foto.
Dovrebbe comunque uscire il comunicato stampa anche su qualche quotidiano cittadino, qualche radio e qualche Tv (es. TV Gold).
Quanto emerso dalle indagini svolte è la realtà sul quale sta "navigando" la nostra Regione: ci sono ancora tante spine da risolvere, tante realtà da finire di scoprire (malavita), tanti nodi di Aziende, decisive per la sopravvivenza di interi territori (es.Acciaierie di Piombino, Magona d'Italia, etc.), da sciogliere in maniera definita e favorevole al "lavoro". In prospettiva l'Osservatorio effettuerà l'esame di vari territori della nostra Regione, i cari e noti "distretti" per mettere "a nudo" la realtà e fornire proposte e suggerimenti di ripartenza.
Grazie di nuovo, buona giornata a tutti e alla prossima Assemblea.
Con i migliori saluti,
Ferdinando Berti
OPSE – Osservatorio Permanente Socio Economico
La Toscana negli anni della crisi. Confronto con le Regioni Europee.
Firenze 27 febbraio 2018 – Sala ex Leopoldine, Piazza Tasso, 7
I relatori del convegno hanno messo alla luce i dati, le conseguenze e gli effetti della crisi nella nostra Regione, parlando della storia economica del nostro territorio, della forte vocazione artigianale e industriale, in rapporto ai paesi e alle regioni europee.
Il dott. Ferdinando Berti ha evidenziato le difficoltà che persistono nel ciclo economico della Toscana. Il fattore più colpito è chiaramente il lavoro. La ripresa del ciclo oltre ad essere molto lenta, non ha purtroppo ancora basi solide. Gli interventi attuati sono ancora purtroppo pagliativi rispetto alla cura necessaria a livello di sistema economico locale e mondiale. E’ necessaria una vera nuova rivoluzione economica, un cambiamento di rotta a 180°, per salvare quello che ci è stato dato in uso e non in proprietà: il nostro territorio. Sono necessari robusti interventi di politica keynesiana per cercare di riportare un po' di equilibrio in un contesto che definire “medioevale” è un complimento.
Il prof. Nigro ha ripercorso la grande storia economica toscana, dalla primaria vocazione agricola della regione, alle riserve minerarie delle Colline Metallifere e dell’isola d’Elba, alla via Volterrana del sale, all’attività tessile e della produzione dei cappelli di paglia di Firenze. Rileva come, indubbiamente, la formazione culturale e tecnica dei giovani dovrà essere più forte e aggiornata per superare la crisi economica toscana.
Il dott. Alessandro Valentini, Responsabile dell’Ufficio Territoriale Istat per la Toscana, Marche e Umbria, riporta che la Sede Istat ha confrontato un set di indicatori statistici con quelli delle altre regioni europee: ne emerge che all’inizio della crisi economica (2008) l’asse di somiglianza della Toscana si collocava nella Mittle Europa, mentre in periodi recenti il profilo si è avvicinato a quello di alcune aree settentrionali della Spagna, delle regioni della Finlandia e della Svezia.
Il tasso di crescita delle imprese evidenzia un marcato rallentamento in corrispondenza delle due fasi recessive (2008-2009 e 2012-2013), ed una dinamica più sostenuta durante la ripresa dal 2014 in poi. L’andamento si è attestato al +0,7% fra il 2008 e il 2017, e dunque ad un livello sensibilmente inferiore rispetto ai valori pre-crisi (+1,4% la media annua relativa al settennio 2000-2007). Particolarmente critica appare, la situazione delle imprese artigiane. La demografia imprenditoriale della regione è stata trainata soprattutto dalle aree urbane: fra il 2008 e il 2016, il tasso di crescita imprenditoriale è infatti cresciuto del 7,3% nei sistemi locali del lavoro dei comuni capoluogo, e del 2,7% nei restanti sistemi locali. Una crescita più sostenuta è stata inoltre rilevata nei sistemi locali non manifatturieri ed in quelli caratterizzati da una maggiore vocazione all’export. Nel 2017 le nuove iscrizioni sono così scese sotto quota 25mila , toccando un minimo storico e penalizzando soprattutto le iniziative imprenditoriali avviate da giovani. Persistono difficoltà soprattutto per le imprese più piccole: l’occupazione delle micro-imprese ha continuato a diminuire fino al 2016, evidenziando una marginalissima inversione di tendenza solo nel 2017.
La Prof.ssa Maria Pia Maraghini, quale sintesi delle tre Università Toscane, ha precisato che rende sempre più urgente ed indispensabile l’attivazione di continui ed efficaci processi di innovazione, i quali fanno emergere la necessità di instaurare un differente rapporto tra mondo della ricerca e tessuto produttivo. In Toscana, questi devono tener conto della natura di imprese spesso piccole, sottocapitalizzate e perlopiù operanti in mercati tradizionali, che è propria del tessuto economico regionale, non sempre in grado di assorbire o sviluppare la ricerca di eccellenza prodotta negli Atenei.
Guglielmo Barone, responsabile della Divisione di analisi e ricerca economica della Sede di Firenze della Banca d'Italia, ha relazionato sulle dinamiche del credito alle imprese. Con l'avvio della grande crisi il tasso di crescita dei finanziamenti alle imprese si è ridotto fino a diventare negativo durante la crisi dei debiti sovrani. Il credito è poi tornato a crescere tra il 2015 e il 2016 per stabilizzarsi nel periodo più recente. Tali andamenti sono il risultato di politiche dell'offerta caratterizzate da un'intonazione prudente dall'inizio della crisi fino al 2013-2014 e da una sostanziale neutralità successivamente; tali politiche sono state anche la reazione alla via via crescente rischiosità del credito.
Relatori: Dott.ssa Bianca Maria Martelli, ex direttrice di Istat Toscana e Marche, presidente OPSE; Dott. Ferdinando Berti, economista e portavoce OPSE; Prof. Giampiero Nigro, Presidente Associazione Storici Eonomici Europei, già Preside della Facoltà di Economia e Pro-Rettore dell’Università degli Studi di Firenze; Dott. Alessandro Valentini, Direttore Istat Toscana, Umbria e Marche; Dott. Riccardo Perugi, economista; Prof.ssa Maria Pia Maraghini, docente dell’Università degli Studi di Siena; Dott. Guglielmo Barone, Responsabile Ufficio Studi Banca d’Italia in Toscana; Col. Pierluigi Sozzo, Comandante di Stato Maggiore Guardia di Finanza Italia Centrale; Dott. Stefano Casini Benvenuti, Direttore Irpet; Dott.ssa Nicoletta Matteuzzi, Direttore Sistema Museale del Chianti e Valdarno Fiorentino.
Ci è gradito segnalare un interessante evento organizzato dal nostro collega, Dr. Ferdinando Berti, per il giorno 27 febbraio 2018.
OPSE – Osservatorio Permanente Socio Economico
La Toscana negli anni della crisi. Confronto con Regioni Europee.
Martedi 27 febbraio 2018 ore 9,00
Sala ”Ex Leopoldine”
Piazza Tasso, 7 - Firenze
Programma
9,00 - Registrazione dei partecipanti
9,15 - D.ssa Bianca Maria MARTELLI, ex Responsabile Ufficio Territoriale Istat per la Toscana e l’Umbria, Presidente OPSE
Apertura dei lavori
9,20 - Dr. Ferdinando BERTI, Economista, Portavoce OPSE
Considerazioni introduttive e coordinamento dei lavori
9,30 - Prof. Giampiero NIGRO, Direttore Scientifico dell’Istituto Internazionale di Storia Economica “Francesco Datini” - già Preside della Facoltà di Economia e Pro-Rettore dell’Università di Firenze
La lezione della Storia: cenni sulla formazione economica della Toscana
9,50 - Dr. Alessandro VALENTINI, Responsabile Ufficio Territoriale Istat per la Toscana, le Marche e l’ Umbria
Raffronti significativi nel decennio e con Regioni Europee
10,10 - Dr. Riccardo PERUGI, Economista
Evidenze emergenti tra le PMI Toscane
10,30 - Prof.ssa Maria Pia MARAGHINI, Docente Università di Siena
Collaborazione tra Università e tessuto produttivo in Toscana
10,50 - Dr. Guglielmo BARONE, Responsabile Ufficio Studi Banca d’Italia, Toscana
Il credito in Toscana: recenti dinamiche
11,10 - Dr. Stefano CASINI BENVENUTI, Direttore Irpet
Considerazioni sulla Toscana di oggi e di domani
11,30 - D.ssa Nicoletta MATTEUZZI, Coordinatore scientifico del sistema museale del Chianti e del Valdarno fiorentino
Alcuni tesori simbolo e altri tesori nascosti nella nostra Toscana
11,50 – Brevi interventi programmati e domande da parte dei partecipanti
12,30 - Dr. Ferdinando BERTI
Considerazioni conclusive e chiusura dei lavori
Di seguito riportiamo alcune note esplicative:
O.P.S.E. – Osservatorio Permanente Socio Economico
L’Osservatorio nasce dalla variazione della denominazione del precedente Gruppo “SanDonato”, costituito dall’ Economista dr. Ferdinando Berti nell’autunno del 2014, quando convocò la prima riunione presso la stupenda Pieve di San Donato in Poggio, a Tavarnelle in Val di Pesa (Chianti).
All’incontro aderirono economisti, economisti aziendali, sociologi, statistici, storici economici, tutti autorevoli esperti nel proprio campo. Si tratta di professionisti che erano stati colleghi di studio, o conoscenze acquisite durante il percorso lavorativo o contattate in quanto ritenute particolarmente competenti in specifici campi.
Nell’autunno 2016 è stato presentato il primo studio svolto dal Gruppo: “Come sta e dove va il Chianti?”. Una scelta naturale per un territorio noto in tutto il mondo e con un forte grado di omogeneità settoriale, pur con peculiari ed originali ambiti di attività. L’evento risultò un successo al là di qualsiasi più rosea aspettativa (su internet i resoconti giornalistici dell’epoca). All’evento avevano aderito anche Enti quali Istat, Ice, Unioncamere Toscane, Irpet, Università di Firenze, Università di Pisa, Università di Siena, Associazione Storici Economici Europei, Storici dell’Arte.
Successivamente hanno dato la loro disponibilità: Inps Regionale, Banca d’Italia Toscana, Comando Guardia di Finanza Italia Centrale.
La presenza di tutte queste professionalità consente a O.P.S.E. di effettuare una approfondita analisi dei territori, con visioni del tutto originali e complementari, rendendo possibile una analisi a 360°, e riuscendo a coordinare ragionamenti complessivi con indagini tra di loro complementari. In sintesi una verifica approfondita con investigazioni nei settori di maggiore interesse.
L’ulteriore scopo dell’Osservatorio è di verificare e sollecitare la nascita, nei vari distretti, di realtà - condotte da giovani laureati delle nostre 3 Università e diplomati delle nostre Scuole Superiori – che delineino e concretizzino attività in comune tra le imprese presenti nei singoli “distretti” o “bacini di gravitazione” presenti sul territorio toscano.
Adesso - martedì mattina 27 febbraio 2018 alle ore 9,00 presso la Sala ex Leopoldine , Piazza Tasso, 7 – Firenze - vengono presentate le analisi sulla Toscana, con gli interventi indicati in Agenda.
Auspichiamo di sollecitare un dibattito sui vari temi sul tappeto e che riguardano aspetti di fondamentale importanza per la vita della nostra Regione e, soprattutto, per le prospettive che vengono disegnate per le generazioni future.
PREVIDENZA a cura di gb/
Pensioni
Dopo due anni di stop, nel 2018 sarà applicata la perequazione, cioè quel meccanismo per rivalutare annualmente l’importo in base all’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (Indice Foi). Si tratta di aumenti veramente modesti in quanto l’indice Istat provvisorio per il 2018 è pari a +1,1% e, quest’anno viene recuperata la differenza dello 0,1% relativo ai ratei di pensione dell’anno 2015 , che doveva essere recuperato nel 2016, rinviato al 2017, e recuperato quest’anno.
Riporto la tabella con le variazioni delle pensioni contenuta nella circolare 186/2017 dell’Inps relativa appunto al rinnovo delle pensioni per il 2018.
Rivalutazione pensioni anno 2018 | Fasce di | ||||
Fasce importi lordi | Variazioni | Rival/ne | garanzia | ||
Fino 1.505,67 ( 1) | 100% | 1,10% | 1.522,23 | ||
Da 1.505,67 fino a 2.007,56 (2) | 95% | 1,05% | 2.028,54 | ||
Da 2.007,56 fino a 2.509,45 (3) | 75% | 0,83% | 2.530,15 | ||
Da 2.509,45 fino a 3.011,34 (4) | 50% | 0,55% | 3.027,90 | ||
Oltre 3.011,34 senza limiti (5) | 45% | 0,50% | |||
Legenda
(1) Fino a 3 volte il trattamento minimo – (2) Da 3 a 4 volte il trattamento minimo
(3) Da 4 a 5 volte il trattamento minimo – (4) Da 5 a 6 volte il trattamento minimo
(5) Oltre 6 volte il trattamento minimo – Trattamento minimo = 501,89
Le fasce di garanzia sono applicate quando, calcolando la perequazione con la percentuale della fascia, il risultato ottenuto è inferiore al limite della fascia precedente perequato. Il trattamento minimo 2017 è pari ad € 501,89; quello del 2018 ad € 507,42.
Pensioni di reversibilità
Riporto la tabella con gli scaglioni e le percentuali delle riduzioni da applicare quest’anno se il beneficiario ha altri redditi (Legge 395/1995 – Legge Dini).
Pensionato con altri redditi |
Riduzione |
|
Fino ad Euro 19.789,38 |
Nessuna |
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Da Euro 19.789,38 fino ad Euro 26.385,84 |
25% |
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Da Euro 26.385.84 fino ad Euro 32.982,30 |
40% |
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Oltre Euro 32.982,30 |
|
50% |
Dette riduzioni non vengono applicate se il beneficiario fa parte di un nucleo familiare con figli, minori, studenti o inabili, individuati secondo la disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria.
Giancarlo Ballerini
Riceviamo e, volentieri, Vi proponiamo una nuova pubblicazione del Direttore della Rivista Voce Nostra Carlo Biancalani, che sicuramente riscontrerà il gradimento di noi tutti.
LA PALA D’ALTARE DI GIOVANNI DELLA ROBBIA
“MADONNA COL BAMBINO E SANTI” DI SANTA CROCE
RESTAURATA GRAZIE A FRIENDS OF FLORENCE
Il 14 dicembre è stato presentato il restauro conservativo della pala in terracotta invetriata di Giovanni della Robbia che torna visibile nella cappella Pulci Berardi della Basilica di Santa Croce.
Un restauro veloce ma particolarmente accurato che ha visto i restauratori impegnarsi non solo nella pulitura ma anche nello studio, nel consolidamento, nel ripristino e in alcuni casi nel completamento con le tecniche ora a disposizione (puntinatura, rifacimento con resine movibili, ecc) della bellissima e pregiata robbiana.
La pala d’altare, raffigurante la Madonna col Bambino e santi, è databile agli anni Venti del Cinquecento e fu commissionata per il convento femminile domenicano di Santa Lucia di Camporeggi, posto vicino a San Marco, soppresso nel 1808. Un convento di fede savonaroliana, cui ben si adatta la scelta di un’opera di Giovanni della Robbia (Firenze 1469-1529), la cui famigliaera profondamente legata alla spiritualità del frate ferrarese.
In Santa Croce, dove pervenne nei primi anni dell’Ottocento, la pala fu collocata negli sguanci della finestra della cappella Pulci Berardi, nel transetto sinistro. Smontata e ricollocata sopra l’altare che venne avanzato, fu lambita da acqua mista a fango nel corso dell’alluvione del 1966. I segni del livello dell’Arno sono visibili ancora oggi sul retro della predella.
La pala è di notevoli dimensioni, altezza mt. 250 e larghezza mt. 1,82. La Madonna in trono è affiancata da angeli e santi: a sinistra Giovanni Evangelista, riconoscibile per l’aquila, stringe un calice da cui fuoriesce una serpe alata o drago, riferimento alla Legenda Aurea secondo la quale il santo bevve da una coppa avvelenata rimanendone illeso. A destra Maria Maddalena ha un vasetto di unguenti e il Libro, simbolo di conoscenza. Gli angeli della parte superiore sostengono una corona sopra la testa di Maria, e superiormente appare la colomba simbolo dello Spirito Santo.
I due piccoli angeli alle spalle di Giovanni e della Maddalena recano vasi in cui in origine probabilmente venivano inseriti fiori in stoffa o candele. Alla base del trono il testo riporta la prima parte dell’antifona mariana del Regina Caeli: “REGÍNA CAELI LAETÁRE, ALLELÚIA. QUIA QUEM MERÚISTI PORTÁRE, ALLELÚIA. RESURRÉXIT, SICUT DIXIT, ALLELÚIA. ORA PRO NOBIS DEUM, ALLELÚIA”.
La predella raffigura la Vergine annunciata e l’Angelo annunciante uniti da un vaso di fiori e i santi Domenico e Lucia, a sinistra e Tommaso d’Aquino e Caterina d’Alessandria, a destra.
Il restauro effettuato sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e leProvince di Prato e Pistoia è stato reso possibile grazie al contributo della Fondazione Friends of Florence che ha trovato egli sponsor californiani. ...
Carlo White.
L'IBAN dei conti correnti di molti Soci, a seguito della chiusura di varie Filiali è variato. Invitiamo i medesimi a comunicare all'Associazione il loro nuovo IBAN sul quale poter addebitare annualmente la quota sociale. Ricordiamo di segnalare anche le variazioni di indirizzo, telefono fisso e cellulare al fine di avere sempre aggiornato il relativo schedario: se disponibile, anche l'e-mail.
Segnaliamo che è stato ripristinato il vecchio numero telefonico 055 282925 e che il FAX non è più operativo.
Potete comunicare con la nostra Associazione, oltre che telefonicamente ogni mercoledì mattina, anche mediante l'E-mail info@pensionatibt.it tutte le volte che ne avete necessità.
Potete trovare VOCE NOSTRA in formato digitale sul sito www.pensionatibt.it dal nr. 165 - Settembre 2016 in poi.
A tutti Voi giunga il nostro più caloroso augurio di Buon Natale e di Felice Anno Nuovo.
Il Consiglio Direttivo.
Sabato 2 dicembre 2017, a partire dalle ore 15
Presso la Sede del Cral già Banca Toscana – Via Giovanni del Pian dei Carpini, 25 - Firenze
Al canto del foco….
….. aspettando il Natale
Ricordate: Ucci ucci, sento odor di cristianucci! O ce n’è, o ce n’è stati, o ce n’è di rimpiattati!
La Compagnia delle Seggiole ci farà rivivere antiche emozioni, quando al canto del foco gli anziani si rivolgevano agli esterrefatti bambini con fantasiose quanto educative novelle. Queste emozioni vogliono essere il “nostro” regalo di Natale per i Soci. (ore 17,30)
Seguirà un momento richeativo-sportivo comprende un minitorneo di calcetto (inizio ore 15), un mercatino con idee per i regali di Natale (piccoli oggetti artigianali e le nostre Proposte di Lettura, dalle 15 alle 19), biliardino e … inaugurazione del tavolo da ping-pong.
Poi … i droni nel campo di calcetto; ... forse un'anticipazione dello sport del futuro?
Metteremo a dimora una pianticella che viene da Monte Morello, dono de La Racchetta a testimoniare la riconoscenza della “montagna” verso coloro che “insieme … incontri con il cuore”, hanno consentito alla Racchetta di acquistare un defibrillatore e formare adeguatamente i sui operatori.
Al termine del programma (ore 19), merenda/cena con i prodotti di stagione offerta dai volontari de La Racchetta: fettunta e fagioli con l’olio novo, salsicce, caldarroste e vin brulé.
Termineremo tutti insieme con un brindisi di auguri per un Buon Natale e Serene Festività.
I partecipanti sono invitati a lasciare un piccolo contributo a titolo di partecipazione alle spese sostenute da La Racchetta per l’allestimento della merenda/cena.
Per la migliore organizzazione dell’iniziativa, per quanto non impegnativa, vi chiediamo di segnalarci la presenza mediante la scheda (Prenota Adesso).
Sarà ben accetta la partecipazione non solo dei familiari ma anche degli amici!
A FIRENZE IL CHIOSTRINO DEI VOTI IN SANTISSIMA ANNUNZIATA FINALMENTE COMPLETATO IL RESTAURATO
“Meno male che ci sono gli Americani!” E’ così che Antonio Natali, già Direttore della Galleria degli Uffizi, storico dell’arte, scrittore e studioso, curatore fra l’altro di molte mostre fra le quali l’ultima in corso e bellissima ora in corso a Palazzo Strozzi sul “’500 fiorentino”, ha iniziato il suo commento sul restauro del Chiostro dei Voti.
Infatti solo grazie agli “stranieri” - ovviamente non quelli dei tour scappa e fuggi -che molto più dei fiorentini e degli italiani, viaggiano leggendo le guide e che sono abituati ad osservare oltre che a vedere e guardare (n. 1)si è potuti giungere al termine di questo lungo restauro.
Dopo un meticoloso restauro durato quattro anni il Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata di Firenze torna a mostrarsi nel pieno della sua bellezza.
Il Chiostrino dei Voti si trova all’interno della Basilica della Santissima Annunziata: il santuario mariano è una delle 10 chiese fiorentine che appartiene Fondo Edifici di culto del Ministero dell’Interno la cui missione è quella di assicurare la tutela, la valorizzazione, la conservazione e il restauro dei beni di sua proprietà ha spiegato Anna Mitrano, che ama la nostra città e che è stata a lungo Presidente dell’Opera del Duomo.
I lavori sono stati effettuati sotto la Direzione lavori del Comune di Firenze con l’Alta Sorveglianza della Soprintendenza.
L’intervento agli affreschi e a tutto l’apparato decorativo, realizzato dal 2013 al 2017, è stato reso possibile grazie a una donazione di 467.000,00 € da parte della Fondazione non profit Friends of Florence, gli Americani appunto.
Luogo ricco di capolavori e di storia, il Chiostrino dei Voti, è stato realizzato su disegno di Michelozzo a partire dal 1447, ed è considerato la culla della maniera fiorentina: il nome deriva dagli ex-voto alla Vergine Annunziata che un tempo erano donati ed esposti proprio qui. Il ciclo pittorico, è costituito da dodici lunette affrescate realizzate da alcuni dei più importanti artisti attivi a Firenze fra Quattro e Cinquecento: in particolare, oltre ad Alessio Baldovinetti che realizzò nel 1460 l’Adorazione dei Pastori, vi lavorarono Pontormo, Rosso Fiorentino e il loro maestro Andrea del Sarto. A caratterizzare inoltre l’ambiente concorrono anche una decorazione costituita da un fondo a stemmi, griglie e grottesche eseguita tra il 1510 e il 1514 da Andrea Feltrino, e svariati elementi lapidei, quali colonne, portali, stemmi, il bassorilievo della Madonna della Neve (attribuito a Luca della Robbia) e il busto di Andrea del Sarto.
La Presidente di Friend of Florence, Simonetta Brandolini d’Adda, ha spiegato come questo restauro ha consentito di salvaguardare un intero luogo del complesso della Santissima Annunziata riconosciuto come fondamentale per la città e per la storia dell’arte mondiale. Nei suoi affreschi si conserva l’origine di quella maniera moderna che ha ispirato per secoli artisti e devoti.
È importante che siano mantenute alte l’attenzione e la cura non soltanto del luogo, ma dell’intera Piazza della Santissima Annunziata affinché sia possibile conservare questi capolavori di Firenze per gli anni a venire, mantenendone decoro, sicurezza e pulizia.”
IL RESTAURO DEL CHIOSTRINO DEI VOTI
Il ciclo pittorico, costituito da dodici lunette affrescate, è da sempre stato considerato la culla del manierismo fiorentino in quanto ospita opere dei più importanti artisti di quella corrente, che lavorarono sotto la guida di Andrea del Sarto.
L’ambiente è inoltre caratterizzato, nella parte alta del chiostro, da una decorazione costituita da un fondo a stemmi, griglie e grottesche eseguita tra il 1510 e il 1514 da Andrea Feltrino, e da svariati elementi lapidei, quali colonne, portali, stemmi, il bassorilievo della Madonna della Neve (attribuito a Luca della Robbia) e il busto di Andrea del Sarto.
Le vicende conservative di questo importante apparato decorativo possono essere ricondotte principalmente a due fattori determinanti: il primo la sua specifica ubicazione in un ambiente originariamente aperto e il secondo il fatto di appartenere ad una delle basiliche più importanti e frequentate della città, quella che divenne dopo San Marco, legata alla famiglia Medici, la Chiesa più ricca e facoltosa della città.
Come accade in generale a tutte le pitture murali di ambienti simili, ha comportato, nel tempo, il verificarsi di solfatazioni, imbianchimenti, distacchi di varia entità, oltre al normale accumulo di materiali incoerenti e depositi superficiali.
Nel caso specifico più volte in passato sono stati presi provvedimenti per limitare il degrado di queste importanti pitture (nel 1833 furono chiusi gli intercolunni a spese del Granduca Leopoldo e nel 1913 furono realizzate la bussola e il lucernario rimuovendo di conseguenza le imposte di legno e cristalli) senza tuttavia ottenere risultati stabili e duraturi.
Per quanto riguarda il secondo fattore determinante per lo stato di conservazione, va tenuto conto che questo luogo è sempre stato il passaggio obbligato per l’accesso alla basilica, il cui particolare carattere devozionale, non si è mai interrotto nei secoli.
Com’è noto era pratica comune esporre all’interno della chiesa e nel chiostro grande ex voto di ogni tipo, corredati di lampade a olio e candele in offerta alla Vergine ed è noto anche che nel 1630 si procedette ad un primo sistematico spostamento degli ex voto dal Chiostro grande all’atrio, che così prese appunto il nome di Chiostro dei Voti,( soprattutto in corrispondenza della lunetta non dipinta del alto destro, ai lati della tavola del Beato Angelico che all’epoca occupava tale zona.)
Con questo spostamento la pratica di accendere lampade votive passò quindi in questo luogo favorendo lo scurimento degli affreschi e causando anche numerose lesioni per appendere sia gli ex voto che le lampade.
Tale usanza divenne sempre più radicata e invadente, tanto che, nel 1785, il granduca Pietro Leopoldo ordinò la rimozione di tutti gli ex voto che vennero poi bruciati in piazza.
L’importanza religiosa della basilica e il livello qualitativo delle pitture hanno comportato inoltre nei secoli una particolare attenzione rivolta alla tutela e alla continua manutenzione. Ma il susseguirsi di tali interventi ha prodotto esiti discutibili e spesso conseguenze negative.
L’alternarsi di restauratori e manutentori che venivano periodicamente chiamati a “rinfrescare” le pitture mediante l’utilizzo di sostanze organiche (beveroni) in grado di attenuare gli imbianchimenti e gli offuscamenti provocati dall’umidità di risalita e di condensa, ha comportato infatti la saturazione del colore che, reso meno poroso, è diventato soggetto ad ancor più gravi fenomeni di esfoliazione e degrado.
Ma è sul finire degli anni ’50 che il ciclo subisce l’intervento più traumatico e cioè il distacco di tutte le lunette (nonché dei tondi con Profeti dipinti da Andrea Feltrino e delle pitture attribuite al Baldovinetti nelle bifore della parte alta).
Per la loro conservazione nel 1957 si iniziò con la tecnica degli strappi degli affreschi. Le prime lunette strappate furono pulite solo sommariamente (a causa di esfoliazioni e sollevamenti del colore) e preconsolidate con resina polivinilica (Vinavil), all’epoca ritenuta affidabile e inalterabile.
Negli stacchi del ’65 la pulitura risulta ancora molto sommaria, eseguita con acqua satura di ammonio carbonato solo sulle zone maggiormente coese, si riscontra ancora l’uso di resina polivinilica per il preconsolidamento del colore ma per l’adesione delle tele a tergo si recupera la metodologia più tradizionale con caseinato di calcio. Si sostituiscono infine i supporti in masonite con i più moderni e stabili in vetroresina. Malgrado i tentativi di perfezionare la metodologia si ha l’impressione che l’intera campagna di stacco abbia creato non pochi problemi.
La documentazione fotografica in bianco e nero, presente all’Archivio Fotografico della Soprintendenza, precedente agli strappi evidenzia in molti casi perdite o comunque assottigliamento della materia originale. Gli strappi sono in generale molto sottili, indice di un lavoro difficile ed ostacolato da molte e negative variabili.
A tutto ciò si sommavano quasi mezzo secolo di incuria, di depositi di polvere, di squallore e di decadimento di tutto l’ambiente. Solo nel 2008 era stato effettuato un intervento di studio e di manutenzione sulla Visitazione del Pontormo con un finanziamento privato.
In quell’occasione la campagna di indagini diagnostiche aveva fornito importanti informazioni sui materiali impiegati nel restauro e sulle difficoltà che si sarebbero incontrate in fase di lavoro. Purtroppo, non avendo la possibilità di intervenire su tutto il ciclo, fu deciso di non procedere ad una pulitura definitiva per non creare uno squilibrio nel contesto generale. Nel 2013, grazie al finanziamento di Friends of Florence, è iniziato il recupero di tutto l’apparato decorativo del Chiostro (elementi pittorici e lapidei). Lavoro è stato particolarmente lungo e meticoloso. Il restauro del Chiostro dei Voti ha occupato in modo quasi continuativo quattro anni di attività di 3 restauratori e di loro coadiuvanti.
Note:
1 - Vedere: dal latino Videre, cogliere con gli occhi, quindi con la percezione visiva;
- Guardare: dal francone Wardon, stare in guardia, soffermare lo sguardo su qualcosa, spesso a scopo difensivo;
- Osservare: dal latino observare, comp. di ob- e servare “serbare, custodire, considerare”
Carlo Biancalani
Poichè la banca MPS sta migrando il servizio di Internet Banking nel nuovo e più moderno Digital Banking, riteniamo di far cosa utile inserire nella sezione DOCUMENTI un piccolo vademecum per effettuare l'accesso e le variazioni da effettuare, con un po' più di informazioni. Al seguente link potete trovare anche il video relativo del MPS:
Associazione Pensionati Banca Toscana
Il Crocifisso del Sangallo
Il Crocifisso, datato fra il 1480 e il 1500, è attribuito ai fratelli Giuliano e Antonio il Vecchio da Sangallo, famosi architetti e scultori fiorentini. Si tratta di uno spettacolare prodotto della bottega dei Sangallo, una delle più¹ rinomate scuole di artisti del periodo, che aveva già prodotto opere del tipo.
Il Crocifisso era all'origine nella chiesa di San Iacopo tra i Fossi a Firenze (ora chiesa Evangelica vicino all'incrocio fra Via Verdi con Via dei Benci). Dopo la interdizione della chiesa nel 1849, il Crocifisso, assegnato all'Accademia, fu collocato nel vestibolo della Cappella dei Pittori. Di questo straordinario ambiente ha la titolarità l'antica Accademia delle Arti del Disegno, proprietaria delle opere d'arte ivi contenute.
Nell'Ottocento, il Crocifisso fu totalmente ridipinto con una coloritura marrone scuro, a simulare il bronzo, considerato allora materiale più¹ nobile. Il restauro, promosso a seguito di un concorso da Friends of Florence, ha riportato l'opera che nel frattempo era malamente stata attaccata dai tarli, ad un rinnovato splendore. La policromia originale è stata in gran parte recuperata, in particolare le vene e i rivoli di sangue, realizzati direttamente dall'intaglio nel legno, e il colore livido delle ferite. Come afferma Giorgio Bonsanti "la figura che alterna parti eseguite con minuta attenzione ai particolari, con altre lasciate assai più sbozzate, il tutto in funzione di un'espressività coinvolgente. La qualità finale è assolutamente superba"
Particolarmente rispondente all'identità storica dell'Accademia delle Arti del Disegno, fondata nel 1563 dal Vasari nel nome di Michelangelo, è la presenza nel patrimonio artistico dell'Accademia di un'opera della dinastia dei Sangallo, strettamente legata al Buonarroti da numerose connessioni personali e artistiche fra la fine del Quattrocento e la metà inoltrata del secolo successivo.
Il restauro, eseguito da Francesca Spagnoli diplomata all'Opificio delle Pietre Dure, Ãèstato seguito da Giorgio Bonsanti (già soprintendente dell'Opificio delle Pietre Dure e ordinario di Restauro alle Università di Torino e Firenze), responsabile della conservazione del patrimonio artistico dell'Accademia delle Arti del Disegno.
Carlo Biancalani
Nella sezione DOCUMENTI troverete la lettera di convocazione dell'Assemblea dei Pensionati della Banca Toscana del 6 maggio p.v., lettera che sta per essere ricevuta da tutti gli Associati, direttamente al proprio domicilio. Nella stessa sezione troverete i bilanci d'esercizio dell'Associazione e della Dotazione Terrosi al 31/12/2016.
L'Associazione pensionati Banca Toscana
Informiamo che nello spazio MODULI E DOCUMENTI troverete IMPORTANTI COMUNICAZIONI inerenti le NORME ed i CONTENUTI sulla POLIZZA SANITARIA per l'anno 2017.
IL CONSIGLIO DIRETTIVO
È legge la nuova riforma della sanità toscana, approvata la scorsa notte a maggioranza al termine di una seduta fiume del Consiglio regionale proseguita a oltranza per 5 giorni consecutivi. Il provvedimento, che porta a compimento il percorso di riordino sanitario avviato da una prima legge approvata a primavera, al termine della legislatura, punta a una semplificazione del modello organizzativo ora incentrato sulle aree vaste.
Tra i punti cardine c'è infatti l'accorpamento delle dodici aziende sanitarie locali in sole tre aziende, una per ciascuna area vasta (azienda Usl centro, azienda Usl Toscana Nord Ovest, azienda Usl Toscana Sud Est). Il provvedimento cancella la precedente legge e rende così più difficile lo svolgimento del referendum abrogativo per il quale erano state raccolte 55 mila firme.
Dal 1° gennaio, dunque, le 12 Asl diventano 3, sparisce l’esercito di direttori generali, commissari, sub commissari con relativi stipendi. Si riorganizzano i servizi su base territoriale, attraverso le zone distretto e la medicina generale assumerà un peso maggiore nelle scelte. È questa, in sintesi, la sostanza della riforma sanitaria. Si tratta di una legge priva di 56 articoli che svecchiano anche tutti gli organismi e le strutture «di contorno» alla sanità toscana, dal Consiglio sanitario regionale alla commissione terapeutica. La riforma di questi organismi è rimandata a gennaio.
LE TRE NUOVE ASL
- Nord Ovest: ingloba le ex Asl di Massa, Versilia, Lucca, Pisa e Livorno;
- Centro: ingloba le ex Asl di Pistoia, Prato, Empoli, Firenze;
- Sud Est: ingloba le ex Asl Arezzo, Siena e Grosseto.
25 ZONE DISTRETTO
Le tre maxi Asl saranno organizzate per zone distretto. Oggi esistono 32 zone distretto in Toscana: entro 6 mesi dall’approvazione della legge verranno ridefiniti i confini e il numero di queste zone su proposta dei sindaci. Si prevede che le nuove zone distretto, dopo gli accorpamenti, diventino 25. L’Elba resterà una zona distretto indipendente.
COMPITI ZONE DISTRETTO
Le zone distretto avranno rapporti con i medici di medicina generale, con le Rsa, le case di riposo, gli ospedali di comunità, le farmacie; si occuperanno di servizi per anziani, disabili, non autosufficienza, ambulatori, laboratori analisi decentrati, servizi socio-sanitari, sert e così via
I NUOVI DIRIGENTI
Ogni Asl avrà 1 direttore generale, un direttore sanitario, un direttore amministrativo e per la prima volta, un direttore dei servizi socio-sanitari (che avrà rapporti anche con i Comuni) e un direttore della rete ospedaliera. In più è previsto un direttore per ogni zona distretto istituito che avrà il compito di definire le politiche di sanità territoriale e un direttore per ciascun presidio ospedaliero
MEDICI DI FAMIGLIA
Nasce il dipartimento della medicina generale. Si tratta di un organismo composto dai referenti delle Aft, le Aggregazioni funzionali territoriali nelle quali già oggi sono organizzati i medici di famiglia. Ogni Asl consulterà questo organismo per interventi e decisioni da adottare a livello territoriale. Il dipartimento servirà soprattutto per fare da filtro prima dei ricoveri e per garantire l’assistenza dopo le dimissioni dall’ospedale
DIPARTIMENTO INFERMIERISTICO-OSTETRICO
L’altro dipartimento nel quale investe la Regione per migliorare la qualità dell’assistenza ai pazienti
Generalmente siamo abituati a mangiare la tradizionale farina di grano tenero bianca 0, o 00 con la quale produciamo pane, pasta, prodotti da forno, dolci, ecc. Questa farina però è ricavata da un grano prodotto su larga scala, selezionato e modificato nel corso degli anni per rendere più ricca e abbondante la produzione, un grano tra l’altro molto povero dal punto di vista nutrizionale. Ecco allora che è arrivato il momento di riscoprire i grani antichi!
QUALI SONO
I grani antichi altro non sono che varietà del passato rimaste autentiche e orginali, ovvero che non hanno subìto alcuna modificazione da parte dell’uomo per aumentarne la resa. Tra questi il più noto e diffuso è il canadese Kamut®, ormai diventato un vero e proprio brand registrato e un business mondiale. Anche l'Italia, però, ha le sue varietà antiche da riscoprire.
Un esempio tra i più conosciuti a livello nazionale è il Senatore Cappelli ma ne esistono molti altri a seconda della regione di produzione. Esistono ad esempio il Saragolla, la Tumminia, il Grano Monococco, il Gentil Rosso, la Verna, il Rieti, ecc.
Tanti i motivi per cui bisognerebbe consumarli più spesso:
1) NON HANNO SUBÌTO ALTERAZIONI
I grani antichi non sono stati rimaneggiati geneticamente dall’uomo e per questo hanno una resa molto minore rispetto al più diffuso e moderno grano. Le loro spighe solo alte con sfumature scure e chicchi irregolari. Non vengono lavorati a livello intensivo e tutto ciò giustifica anche un prezzo di vendita più alto, a fronte però di un prodotto più sano e genuino.
2) SONO MENO RAFFINATI
I grani antichi vengono generalmente lavorati con la macinazione a pietra, la farina che si produce è quindi molto meno raffinata rispetto a quella prodotta con grano moderno. Grazie a questo tipo di lavorazione, infatti, si ha un prodotto che potremmo considerare semi-integrale, ovvero rispetto alle farine 0 o 00 si mantengono molto di più le proprietà nutrizionali presenti nel chicco.
3) HANNO MENO GLUTINE
La modificazione del grano moderno ha fatto sì che esso diventasse molto più ricco di glutine, con tutti gli svantaggi che ciò comporta per il nostro organismo. I grani antichi, invece, mantengono un rapporto più equilibrato tra presenza di amido e presenza di glutine, contenendo una percentuale minore di questa proteina di cui ultimamente tanto si discute.
4) SONO PIÙ LEGGERI E DIGERIBILI
La minore presenza di glutine all’interno dei grani antichi, rende la farina da loro prodotta e di conseguenza tutti i prodotti che vi si possono ricavare, molto più leggeri, digeribili e assimilabili di quelli realizzati con il grano moderno. I grani antichi sono adatti a tutti i tipi di preparazione e sono ottimi anche da integrare nell’alimentazione dei bambini.
5) EVITANO LO SVILUPPO DI INTOLLERANZE
La gluten sensitivity, ovvero la sviluppata sensibilità al glutine che si riscontra sempre più frequentemente negli ultimi anni, è probabilmente dovuta ad un consumo eccessivo del grano moderno ricco in maniera smisurata di glutine. Il vantaggio di utilizzare grani antichi, meglio ancora se variando la propria alimentazione con cereali senza glutine, scongiura o quanto meno allontana, la possibilità di sviluppare intolleranza al glutine. I celiaci invece, così come non possono consumare grano moderno, non possono neppure inserire grani antichi nella propria alimentazione.
6) SONO PIÙ BUONI E PREGIATI
I grani antichi hanno sfumature di odori e sapori che l’industriale grano moderno può solo sognare. Se fate in casa del pane con una farina ricavata da un grano antico (meglio se utilizzando pasta madre come lievito naturale) vi renderete conto della differenza. Inoltre, essendo il più delle volte frutto di piccole produzioni agricole, sono di qualità migliore e più pregiati.
7) SI AIUTANO I PICCOLI PRODUTTORI
La riscoperta dei grani antichi è merito soprattutto dei piccoli produttori agricoli che ogni giorno con coraggio affrontano la concorrenza del grande mercato e scelgono comunque di produrre grani di qualità anche se non sempre gli conviene. E’ per questo che vanno aiutati a sopravvivere, acquistando, anche se sono un po’ più costosi, i loro prodotti.
8) FILIERA CORTA
Acquistare grani antichi è un ottimo metodo per scegliere la filiera corta ed evitare di prendere prodotti che arrivano da chissà dove. Ovviamente, data la varietà dei grani antichi, è consigliato prediligere e acquistare quelli tipici del proprio territorio. Si può chiedere a degli agricoltori di zona qualche consiglio in merito.
9) TUTELA DELLA BIODIVERSITA’
Un discorso molto importante da fare è anche quello legato alla biodiversità. Acquistare almeno ogni tanto grani antichi significa tutelare la biodiversità del proprio territorio o di altre zone di Italia. Questi grani infatti, proprio perché i costi di produzione sono più elevati a fronte di una resa più bassa, rischiano di scomparire e ciò ovviamente sarebbe un vero peccato!
10) VALORE STORICO E CULTURALE
Accanto al valore della riscoperta di questi grani antichi in termini di biodiversità, altrettanto importante è cercare di continuare a farli vivere e crescere per il loro valore storico e culturale. Le popolazioni antiche si sostentavano prevalentemente con questi cereali che variavano da zona a zona a seconda delle condizioni ambientali. Un bel patrimonio da tutelare insomma, per non dimenticare mai l’origine delle nostre terre.
DOVE TROVARLI
I grani antichi, purtroppo, non sono sempre di facile reperibilità. Generalmente si trovano nei negozi di alimentazione biologica, nei mercati contadini, in alcuni alimentari molto forniti o specializzati in prodotti artigianali. Le alternative sono due: individuare sul proprio territorio un’azienda agricola che li produce e rifornirsi lì, oppure acquistare su internet. Ci sono vari siti dove troverete diverse possibilità per acquistare grani antichi, tra questi: Tibiona e BioLand.
In un precedente articolo abbiamo cercato di giustificare il mancato appuntamento con gli affezionati lettori per il preannunciato articoli di apertura su COME SAREMO. Tra l'altro accennavamo ad alcuni dei grandi temi che caratterizzano il tempo in cui viviamo, e citavo le trasmigrazioni dal continente africano verso l'Europa, in particolare verso l'Italia. Nel contempo ammettevo l'intrinseca inidoneità di questo spazio ad affrontare certi temi che, peraltro, trovano largo spazio in tutti i media.